avvenimenti di 50 anni fa ....... 1957
...questi gli accadimenti e gli argomenti di cui si parla in quest'anno:
-
continua la "campagna" pro-organo,
facendo anche leva "sull'orgoglio paesano" nei confronti di Costalta
che lo sta realizzando;
- la massiccia emigrazione;
- il viaggio di don Aurelio in Svizzera, Germania, Belgio, per incontrare i
nostri emigranti;
- il rientro in patria della salma del Caduto De Mario Vittorio;
- si auspica l'asfaltatura della Casada-Costalissoio;
- varie
...dal Bollettino Parrocchiale " STELLA
ALPINA" redatto da don Aurelio Frezza
del gennaio 1957
...a proposito di organo...
Comitato pro organo
In data 20 gennaio, finalmente è stato costituito il
COMITATO PRO ORGANO. In una riunione, indetta su invito del Parroco e col previo
consiglio della Fabbriceria e di altre persone, hanno accettato di far
parte del Comitato i sigg. De Mario Enrico (anche in rappresentanza
della Amministrazione Regoliera), De Mario Duilio, De Lenart Fiorenzo, Pomarè
Pasquale, Zaccaria Silvio.
Funzionerà da collegamento con la Fabbriceria il sig. De
Mario Bettina Angelo. Il Parroco è stato sollecitato di assumere la presidenza.
Questi signori hanno dimostrato subito buone disposizioni e sono stati larghi di
suggerimenti e di proposte, il che fa ben prevedere per l'esito dell'iniziativa.
Hanno voluto subito sapere dove si deve arrivare ed hanno
preso in visione i modelli di organi e prezzi, concludendo che, per la chiesa di
Costalissoio, è necessario provvedere un organo di una certa efficienza, di cui
un dato può essere indicato dal numero di canne: 750.
Si è visto poi che, approssimativamente, il costo medio per
ogni canna sonora è di 4.000 lire.
Hanno poi esaminato il progetto, già pronto ed approvato
dalla Commissione d'Arte Sacra, della cantoria, che verrebbe costruita sopra la
porta maggiore della chiesa, in tutto legno, sorretta da due colonne, uguali per
stile e materiale a quelle esistenti, con una scala a chiocciola in ferro.
Hanno preso atto inoltre che esiste un libretto postale,
intestato al Comitato pro Organo, con un fondo di 70.000 lire.
Riservandosi di prendere una decisione in una prossima
riunione, hanno intanto ventilato la proposta di passare ad una sottoscrizione
presso le famiglie residenti in paese, di sollecitare i regolieri residenti a
S.Stefano e quanti si trovano' all'estero. Si tenterà inoltre di interessare il
Comune ed altri enti.
Intanto il Comitato fa voti che quanti sono bene animati
debbano far affluire la propria offerta spontaneamente e direttamente anche per
dare l'esempio e incoraggiare gli incerti
°°°
Nelle conversazioni, ho raccolto qualche proposta un po'
forte. Mi si è detto: se l'organo è necessario, deve pensare la Regola a
comperarlo col denaro di tutti. Non occorre seccare la gente.
D'altra parte mi si è fatto presente che la Regola naviga
ora in cattive acque e che, per qualche anno, non potrà uscire dal bilancio
ordinario.
Altri ancora sono del parere, come ho detto sopra, di
incominciare con le offerte private. Sono anch'io di questo parere.
Così si è fatto per il Monumento ed è stato un bel
plebiscito di adesioni, che ha reso onore al paese. Così sarà bello e
meritorio se l'organo sarà voluto da tutti e se tutti contribuiranno a farlo
saltar fuuori.
Parecchi mi hanno detto ormai che saranno pronti a dare il
proprio aiuto. Più tardi, quando sarà possibile, anche la Regola sarà
interpellata e siamo certi che non vorrà tirarsi indietro.
...dal bollettino dell'aprile 1957
Campagna pro-organo.
......
Un compaesano di Milano inviava L. 5.000 commentandole con un
" ecco una canna!".
La somma era un po' superiore al costo approssimativo di una
canna, il quale costo anche ora, non sappiamo precisare, ma potrà aggirarsi
sulle 3.000 lire.
Il Comitato ha sotto gli occhi diversi preventivi, che vanno
da L. 1.800.000 a lire tre milioni, di diverse case, che hanno diversi sistemi
di costruzione.
Ancora non si è deciso su quale tipo di organo orientarsi.
Questa decisione dipenderà molto dalla somma di denaro su cui si potrà
contare.
......
Nella seduta di domenica 7 c.m. il Comitato, fra l'altro, ha
ancora discusso sulla opportunità di approntare il legname (larice) occorrente
per la costruzione della cantoria, perchè abbia tempo di stagionarsi a dovere
prima di essere messo in opera, e anche sulla necessità di costruire la
cantoria prima che venga commissionato l'organo.
° ° °
Da uno scherzo
si può arrivare a cose serie. Questa volta però lo scherzo non
degenerò in una tragedia, ma portò ad adottare una idea brillante.
La sera in cui vennero sorteggiati i biglietti dei "colonelli",
qualcuno ebbe a chiedere ad un altro: " tu potresti cedere la bora per
l'organo!". Ma anzichè la risposta negativa, come si aspettava, si ebbe
quest'altra: " E perchè no? Credi che io sia contrario?". E colui che
così rispondeva, tirò fuori il suo biglietto e lo consegnò nelle mani
dell'altro.
Si sa che da cosa nasce cosa. E così, un po' per scherzo e
un po' sul serio, quelle due persone raccolsero, tra quella sera e i giorni
seguenti, una trentina di biglietti.
....
La chiesa di Costalta era dotata di un armonium-organo, che
parecchi di voi hanno sentito in occasione di feste e funerali.
Ebbene, quelli di Costalta, non appena hanno sentito che noi
di Costalissoio ci muovevamo e avevamo costituito il Comitato pro organo, si
sono detti: come, ci lasceremo passar avanti da quelli di Costalissoio?
Fatto stà che anch'essi si sono mossi tanto rapidamente che,
mentre scrivo, essi hanno già firmato il contratto con una casa costruttrice di
Padova e, per S. Anna, avranno il loro organo nuovo fiammante.
...dal bollettino
dell'agosto 1957
...
COSTALTA, il giorno di S. Anna, ha inaugurato solennemente il
suo Organo....
CONSTATAZIONI
Non sono io solo che lo dico, voi stessi me l'avete fatto
rilevare ed altri ancora, che ci osservano dal di fuori, constatano come la
situazione a Costalissoio sia molto cambiata oggi in confronto agli anni
passati.
Intendo riferirmi all'ambiente sociale e politico e quindi ai
rapporti tra le persone e tra correnti: rapporti, una volta, inaspriti
all'eccesso dalle questioni di partiti o di Regola, oggi, per grazia, assai
mitigati. Oggi, si dice, si trova più tranquillità e quiete a Costalissoio,
oggi si vive un po' più in pace.
C'è , si, ancora qualche residuo di fanatismo o di cecità
ostinata o di odio che cova sotto la cenere. Ma sono eccezioni, che possono
essere anche trascurate.
Il tempo è un buon medico. Ma è sempre necessario
coadiuvarlo; e penso che un mezzo efficace possa essere questo: bandire l'odio
nelle nostre relazioni con le persone che ci hanno forse offeso e, nelle
discussioni, instaurare serenità, che disarma anche i più duri a morire.
L' EMIGRAZIONE
Mai dal dopoguerra a questa parte, abbiamo
notato una così forte emigrazione dei giovani e delle ragazze come l'anno
scorso. Fenomeno poi, che continua tutt'ora.
Certamente, le migliori prospettive economiche che offre
particolarmente la Svizzera, da una parte, l'insicurezza di occupazione qui sul
posto dall'altra, hanno favorito il fatto emigratorio oltre il previsto.
Durante le feste ultime, quando molti sono rientrati in
famiglia, per le ferie, abbiamo raccolto i giudizi e le impressioni sul lavoro e
sul guadagno che offre la Svizzera, impressioni e giudizi più che favorevoli,
per cui altri si sono sentiti invogliati a chiedere il passaporto.
Con tutto ciò non è detto che l'emigrazione non sia un
fatto doloroso, sia per chi parte, sia per chi li vede partire.
Dunque la nostra terra, in nostri paesi non offrono una
occupazione sicura e permanente a tutti, e gli eventuali posti di lavoro non
possono gareggiare, quanto a salari, con i posti di lavoro svizzeri.
° ° ° °
Il problema è assai complesso e generale,, non solo locale,,
quindi non siamo noi che potremo trovare la soluzione.
M certamente, restringendo l'osservazione alla nostra
vallata, una parola la possiamo dire ed è questa: perchè non si cerca di
favorire il sorgere di permanenti posti di lavoro?
Se diamo uno sguardo in giro, possiamo vedere che parecchie
piccole fabbriche o industrie sono sorte ad opera di privati, i quali hanno dato
la possibilità a parecchia gente di lavorare presso la loro casa. E' una
fortuna per quanti vi sono stati accolti, anche se i guadagni non sono favolosi.
Però si è ben lontani dall'aver assorbito tutta la
manodopera locale.
Certamente gli Enti Locali non sono tagliati per fondare e
gestire in proprio una industria, ma potrebbero interessare e insistere presso
uomini d'affari perchè la zona possa essere scelta per l'impianto di succursali
o di aziende atte a sfruttare le materie prime locali. E quando spuntassero
uomini intraprendenti e capaci, si dovrebbe incoraggiare e anche, se occorresse,
aiutare.
So che su questo ultimo punto cozzo contro posizioni mentali
preconcette, difficili a demolirsi. Un fallimento potrebbe essere portato come
prova che non si deve rischiare il denaro pubblico, oppure si dovrebbe
obiettare: chi vuol fare faccia con il suo. Ma per parte mia, non condividerò
mai simili paure o l'indifferenza di chi dice: staremo a vedere.
Dirò sempre che il denaro pubblico più ben speso è quello
speso per incoraggiare l'iniziativa privata, perchè so che, se
l'imprenditore coraggioso domani ne trarrà un utile personale, altri ancora che
sono stati a vedere, ne avranno un vantaggio, nel lavoro, che saranno andati a
sollecitare e, talvolta a pretendere.
...dal bollettino dell'agosto 1957
L'EMIGRAZIONE
Quest'anno, anche in conseguenza della
cessazione dei lavori in paese e nei dintorni,, l'emigrazione ha assunto
proporzioni rilevanti. La corsa alla Svizzera non è cessata. Quattro giovani
hanno affrontato l' Atlantico e sono ora in Canada (Zaccaria Giuseppe, De Mario
Eliseo, Doriguzzi Antonio e Doriguzzi Ferruccio).
Scrivono che stanno bene e si trovano bene. E' sperabile che
sia vero, dato le assistenze e le maggiori garanzie cher si offrono oggi agli
emigranti.
Non ci resta, come dive l'altra volta, che augurar loro buona
salute e raccomandare che si comportino bene.
.....
Quando, questa primavera, alcuni sono venuti a salutarmi
prima di partire per la Svizzera, avevo fatto loro una mezza promessa che sarei
andato a trovarli. Mentre scrivo, sto decidendo che vi andrò davvero.
Dopo la Madonna di Agosto, partirò e punterò subito sul
Belgio. Mi accompagnerà Filiberto De Mario, che sta preparandosi il passaporto.
Dopo aver sbrigato una faccenda a Bruxelles, faremo il giro dei vari posti dove
si trovano i nostri (Ivoir, Montignies, Namur, Baulet). Poi scenderemo in
Svizzera e faremo delle tappe a Olten, Derendinghen, Lugano, Bellinzona ecc.
Non ho l'indirizzo di tutti. Potrà succedere che qualcuno
resti fuori dal nostro giro. Mi dispiacerà. Comunque prima di arrivare
sul posto, farò avvertire qualcuno che si premurerà di avvertire gli altri per
un incontro la tal sera nel tal luogo.
...dal bollettino di ottobre 1957- tutto improntato al rendiconto del viaggio per incontrare i nostri emigrati.
RICORDI E IMPRESSIONI DI UN VIAGGIO
Mentre scrivo, nella quiete del mio
studio, un turbinare di ricordi e di impressioni mi passa per la mente. Ricordi
e impressioni tutti egualmente importanti, che domandano di essere citati, ma
che non sarà facile riferire con ordine e tradurre in buone parole. Anche qui
occorre dire: son cose che bisogna averle viste e vissute per capirle.
Quando avrò finito questa relazione, sarò insoddisfatto
perchè non avrò detto tutto e l'avrò detto male. Posso subito dire che ho
avuto la soddisfazione di essere riuscito a mantenere una promessa, che per me
era quasi un voto e un dovere. Non sbaglio a dire che era un mio dovere visitare
i nostri emigrati. Me lo hanno fatto capire un po' tutti, ma uno specialmente me
lo ha detto a parole chiare (Bruno, chi è mai stato?). Avevo premura di
ritornare in parrocchia: - in Parrocchia, mi dice, ci sta dodici mesi all'anno.
E noi chi siamo? Può stare benissimo due giorni anche con noi !
Come si poteva dargli torto? Anche se in Parrocchia già si
brontolava che stavo fuori troppo e si parlava addirittura che avessi avuto un
grave incidente di macchina, come potevo piantarli appena visti?
Quando i miei buoni amici di qui, che erano in ansia, avranno
letto quanto sto scrivendo, capiranno che la colpa non era mia e nemmeno di
loro, i nostri emigrati, anche se qualcuno può essere incolpato di egoismo (non
biasimevole, ben inteso) come ebbe a dire il signor Angelo De Mario.
° ° °
Prima di procedere con ordine, vado con il pensiero a
chiedere scusa a quelli che non ho potuto visitare. Antonio, Giovanni, Osvaldo,
Irene a Munchenstein; Eugenio, Pasquale, Olindo, Vincenzo a Winterthur; Nino e
Rica a Wittingen;L Dino, Germano e Lucia a Olten (eppure mi ero fermato e avevo
cercato di loro!); Antonietta e Giuseppina, Angelina, Aurora (son sicuro che
dimentico qualche nome) a Bellinzona e Lugano: questi avranno la bontà di
perdonarmi e di capire quanto mi sia dispiaciuto non averli visti. Mi sarebbero
occorsi altri parecchi giorni così da toccare il mese di assenza. Un'altra
volta essi saranno i primi.
° ° °
Si può aver pensato qualsiasi cosa quando, in paese giunse
la notizia telegrafica, (ma come sono precisi questi tedeschi!) che di noi
sull'autostrada germanica non si era trovata che la giacca di Filiberto: in
realtà, grazie ai voti e alle preghiere di tante buone persone e alle premurose
raccomandazioni di Agostino Polzotto, abbiamo toccato Innsbruk, Monaco, Dachau
(campo di concentramento e forni crematori), ci siamo infilati su quel magnifico
nastro stradale che è l'autobhan germanica, in continuo movimento ondulatorio,
sulle praterie e sui boschi della Baviera, del Wurttemberg, dell'Assia, correndo
via lisci come l'olio, abbiamo sfiorato Augusta, Ulma, Stoccarda, Darmstadt
(dove abbiamo passato la seconda notte all'aperto) e Francoforte.
Invano a Francoforte abbiamo cercato con l'occhi le rovine
della guerra. Si rimane stupiti dell'ordine e della disciplina, in Germania, ma
forse poco persuasi della fredda cortesia della gente. Una sola volta la polizia
ci ha fermati, su denuncia di un corpulento tedesco: non gli avevamo ceduto il
passo, chissà, forse per un attimo di disattenzione. Ci ha salvato la
perorazione dello studente autostoppista, che a Baden, aveva visto centinaia di
macchine tedesche sfrecciare davanti al suo gesto implorante e che noi,
italiani, avevamo raccolto e sfamato e stavamo portando a casa sua. Due marchi
di multa però li abbiamo pagati!
Dopo la visita alla famosa cattedrale di Colonia, abbiamo
cercato, faticosamente, la strada per Aquisgrana. La vecchia città che conserva
le memorie di Carlo Magno, ci ha visti passare sotto la pioggia, indifferenti,
come turisti di poco conto.
Ci premeva ormai varcare il confine con il Belgio,
raggiungere Liegi e, giù per la valle fumosa della Mosa, punteggiata, nella
notte incipiente, di miriadi di luci opalescenti, arrivare a Namur e, subito
dopo, a Lustin.
° ° °
Lustin è un paese di cavapietre, scalpellini, dove gli
italiani hanno il loro daffare e dove risiede anche la famiglia di Giacomo De
Mario. Berto mi aveva prevenuto che in casa di suo fratello mi sarei trovato
come a casa mia. E fu vero, tanto che ne ho approfittato per tutti i quindici
giorni passati in Belgio.
Devo sorvolare per forza quel complesso di impressioni e di
facili giudizi e di esperienze che ho raccolto nei contatti avuti con gli
uffici di Bruxelles, di Namur e di Jambes, oppure negli incontri con molti
italiani trovati casualmente dovunque si andava.
Devo limitarmi a ricordare i nostri emigranti e le.....feste
che abbiamo passato assieme.
Sulla strada di Charleroi abbiamo fatto il primo incontro.
Era una macchina della polizia quella che ci tallonava e ci richiamava con
insistenza con il clakson? No! Era Corrado che ci aveva prima incrociati e
riconosciuti e ora si era posto al nostro inseguimento. Se solo l'incrociare una
macchina targata Roma o Torino, in terra straniera, è motivo per un festoso
agitarsi di braccia dai finestrini, immaginarsi cosa succede quando incontri un
conoscente, un amico, all'improvviso in un mondo nuovo. Corrado non ci ha
abbandonato, ci ha fatto da guida nel pomeriggio, il giorno dopo nella metropoli
del Belgio, e poi altri giorni ancora.
Il venerdì, abbiamo fatto una prima puntata a Yvoir. La
signora Angelina aveva già un programma fissato per conto suo. Naturalmente non
potevo che accettarlo e ringraziarla fin da allora. Peccato che poi non abbiamo
potuto seguirlo in tutti i particolari. La colpa è stata, in parte, di quel
terremoto di Svaldin, che ha fatto un po' la parte del leone.
Sabato, dopo il ritorno da Waterloo, il grande incontro con
il grosso dei nostri a Yvoir. Per me è stata una giornata memorabile e credo
anche per loro che sono sempre e forse più, in quei momenti, nostri cari
parrocchiani e compaesani. Li rivedo tutti, uno ad uno, espansivi, cordiali,
ansiosi di sapere questo e quello. Nella ressa era difficile dare ascolto ad uno
e non trascurare l'altro, accettare quella tal cosa da uno e rifiutarla da
un'altro. Vi ho trovato dunque Angelo De Mario, che è un po' il capo morale di
quella colonia italiana, Giovanni De Mario, Gino De Mario, Corrado sempre,
Valentino, Antonio, Sergio, Gigetto, Saverio, Comis Giuseppe, Fontana Attilio e
naturalmente Svaldin che era sceso appositamente da Marches ler Dames, e altri
italiani.
Il giorno dopo abbiamo visitato le famiglie colà residenti,
la famiglia Doriguzzi Aurelio, Giovanni De Mario, Marianna De Mario, nonchè
Giovanni De Lenart, il quale non si era mosso da casa sua, perchè a casa sua
dovevamo andarlo a trovare.
Vedo che sono molto disordinato nel rievocare quegli incontri
e che non riesco a ricordare i particolari, che sarebbero molto interessanti.
Dirò solo e subito una cosa a quei miei parrocchiani: se credevo di conoscerli
perchè li avevo visti anche qui in paese, li conoscevo malamente e
superficialmente. A Yvoir, in quei giorni, li ho conosciuti veramente a fondo, e
sono rimasto oltre che soddisfatto per l'accoglienza, contento e meravigliato
per i sentimenti che ho scoperto in loro.
Il giorno dopo, domenica, ci siamo trovati tutti nel locale
che funziona da chiesa. Ho celebrato la S. Messa pro populo. Al Vangelo ho
ricordato quanti dei nostri sono passati per le "carrieres" di Yvoir,
i defunti che riposano nel cimitero del paese, e quanti sono sparsi in altri
paesi e nazioni per lavoro. Ho detto quanto grata sia la soddisfazione del
Parroco nel ritrovare i propri parrocchiani e nel ritrovarli saldi nei loro
principi morali e religiosi e come dovrebbe essere grande la pena se talvolta
incontrassi qualcuno che aveva deflettuto dalla buona via. Specialmente ai
giovani ho fatto le opportune raccomandazioni. E' stato un momento in cui
maggiormente e più sensibilmente ho sentito in me la missione del Parroco che
è Padre e Guida.
Dopo la S. Messa ci siamo radunati ancora da Angelo De Mario
ed abbiamo ricordato parenti ed amici, segnando il nostro pensiero memore su un
pacco di cartoline che non finiva più. Nel pomeriggio ho avuto modo di
avvicinare singolarmente l'uno e l'altro. Ho visto dove alloggiano e come
mangiano, come un altro giorno visiterò le due grandi "carrieres"
dove lavorano e mentre lavorano.
Me lo avevano chiesto l,oro stessi perchè vedessi con i miei
occhi e me ne rendessi conto. Come l'emigrazione resta sempre emigrazione, anche
se più curata oggi che nel passato, il lavoro e sempre lavoro anche in Belgio
come in Francia, come in Svizzera. Non dirò che i nostri vivono e
lavorino in modo disumano: questo no! Ma il denaro che guadagnano, e non in
quantità favolosa, è ben guadagnato. Se poi si considerano i disagi materiali
e morali che derivano da un ambiente dal proprio per lingua, costumi, modi di
pensare e vivere, della mancanza di quelle cure che solo la famiglia può dare,
dalla lontananza delle persone care o conosciute fin dall'infanzia, se si tien
conto di tutte quelle cause che creano nell'emigrato quella pena indefinibile
che si chiama "nostalgia": allora vien da dire che la prospettiva del
lavoro all'estero è un miraggio che riserva molti inganni o delusioni; oppure
si dovrebbe ripetere quanto, con molto realismo, mi diceva un nostro giovane:
bisognerebbe che queste cave di pietra fossero in Italia, vicino al nostro
paese.
° ° °
Abbiamo salutato i nostri di Yvoir il martedì sera, dopo
un'altro lungo incontro durante il quale si è voluto passare in rassegna tutte
le famiglie, una per una, per avere notizie precise di ognuna. E' saltato fuori
quella sera un argomento delicato: i contrasti e le divisioni in paese. Dovrei
io, secondo le calorose raccomandazioni di quella sera, appianare tante
divergenze, dovrei togliere i motivi di discordanza, rappacificare le correnti;
quel contrasto con i regolieri di S. Stefano deve essere risolto secondo
giustizia e subito, con un gesto di apertura sociale. Ho detto allora e ripeto
ora che andrebbe tolta di mezzo la politica, che si è inserita in modo violento
nelle faccende di casa ed è stata responsabile di tanti guai.
Ho detto allora e ripeto ora che bisogna armarsi di maggior
comprensione da un verso, e dall'altro essere più obbiettivi e onesti nel
pretendere. Che le conciliazioni si ottengono quando una parte e l'altra fanno
un passo avanti ambedue, mentre non è quasi sempre mai vero che la verità e il
giusto si trovano solo da una parte e il torto e l'ingiusto dall'altra.
Mi ha colpito molto sentirmi dire che si ha molta fiducia
nella mia opera di pacificazione. Non mancherò di insistere, ma si sa che non
posso entrare nei dettagli delle questioni e si sa ancora che la mia opera
di persuasione, di conciliazione, di pacificazione si inserisce, in quella
opera, più vasta e profonda, di miglioramento del costume e di perfezionamento
della virtù, di attuazione della vita cristiana, in una parola. E questi
insegnamenti non manco mai di impartirli. Basta venire in chiesa ad ascoltarmi.
A Baulet
A Yvoir avremmo dovuto tornare ancora. Quella sera non ci
si voleva salutare. Avevamo lasciato una mezza promessa, ma non l'abbiamo
mantenuta.
Tra un impegno e l'altro (abbiamo perfino dovuto dedicare
delle ore a famiglie di italiani che non conoscevamo affatto: ma erano italiani,
e tanto bastava, come non era possibile incontrare italiani, per le strade o per
le città e non fermarsi anche con loro), tra un impegno e l'altro, dunque,
siamo arrivati a Montignies, in casa di Innocente De Mario. Due ore festose
anche lì. Poche, si sarà lamentata la signora Maria, che era tutta un
affaccendarsi nel preparare una degna accoglienza e nel contempo raccontarci
tante cose dei suoi figli. Famiglie friulane, che vivono accanto, avevano avuto
anche loro la visita del loro Parroco, un mese prima, ma si era fermato più a
lungo...
Erano le otto di sera, e bisognava muoversi.
Ai figli di Regina Somià, che non conoscevo che molto poco,
pensavo di dedicare una mezz'ora... invece ci volle una giornata intera compresa
la notte. Corrado ci aveva preceduto con il telefono e trovammo un programma
preparato.
Avevo desiderio di scendere in una miniera di carbone?
Sicuro! Avevo tentato di scendere in quella di Marcinelle, ma la Direzione,
cortese, ma ferma, non mi poteva che far vedere che la "surface".
Antonio Somià, che è capo-taglia, nella miniera di S. Elisabetta, farà tutto
lui e mi farà scendere basta che ci fermiamo. Nella sua casa accogliente
signorile noi alloggeremo come ospiti di riguardo, nel pomeriggio, a bordo
della sua nuova macchina rossa fiammante, andremo a visitare la zona, il terreno
ondulato per cedimenti sotterranei, un pozzo, uscita di sicurezza della
miniera; andremo a far visita al Parroco del luogo, vedremo le varie case di
Fortunato, frutto di anni e anni di lavoro in miniera e fatiche personali. Nel
frattempo e per tutta la sera l'inesauribile Fortunato ci erudirà sulla vita di
miniera, sui pericoli, raccontandoci episodi da far rizzare i capelli. Chissà
quante volte ci siamo detti, nel nostro intimo: bene, prima di scender giù ci
sarà da vedere.
Ma la mattina, dopo la Messa, eravamo sul piazzale della
miniera; non c'era modo di tirarsi indietro. E siamo scesi e abbiamo faticato
tre ore nelle viscere della terra, percorrendo quelle gallerie, spesso
piegandoci sulle ginocchia, respirando affannosamente, sudando, trascinandoci
attraverso una "taglia", nell'oscurità punteggiata dalle lampade,
nella polvere, nel frastuono di martelli pneumatici, in un rovinio di pietre e
di carbone, a stento scorgendo esseri viventi (italiani anche questi)
rannicchiati negli anfratti della roccia a rosicchiare il carbone: basta. Quando
quella specie di ascensore ci riportò alla luce del giorno, mi uscì spontaneo
e forte un "soit beni Dieu", che l'ingegnere belga, che ci aveva
accompagnati, accolse con un sorriso. Il lavoro laggiù è veramente infernale:
se dipendesse da me, farei chiudere tutte le miniere, anche se chi ci è
abituato non trova quel lavoro peggio di tanti altri.
Auguriamoci che l'energia atomica renda presto inutile il
carbone.
Mi si era detto che avrei dovuto andare nella zona di
"La Louvière" per avere una idea esatta della vita dei minatori:
quella che avevo visitato era una miniera di lusso, senza grisou, senza tanta
polvere perchè umida, ad una profondità ragionevole. A mille metri, che cosa
ci sarà dunque?
Penso a quanti hanno avuto la vita rovinata laggiù, a quanti
vi sono morti, a quanti riescono a godere una pensione anche pur adeguata: e
dirò che le previdenze e le assicurazioni non saranno mai troppe e che il
provvedimento italiano di bloccare l'ingaggio per le miniere è stato
provvidenziale, anche se non tempestivo.
Ma la tentazione di un guadagno più rilevante è forte e
nelle miniere accolgono senza difficoltà chi vi vuole lavorare e i modi di
varcare le frontiere sono tanti: cosicché anche i dieci siciliani e sardi, che
ho trovato alle porte di Metz, venuti dall'Italia in cerca di lavoro, il giorno
dopo finivano in una miniera.
Ringrazio Antonio e Fortunato Somià che mi hanno fatto fare
una utile esperienza.
° ° °
Ricordo, con particolare riconoscenza, la famiglia di Giacomo
De Mario e la famiglia dei suoi suoceri, che mi sono stati larghi di attenzioni
e che mi hanno dato, fra l'altro, la possibilità di visitare il Santuario di
Beauraing, dove la Madonna apparve nel 1936, luogo di continui pellegrinaggi, e
la località di Bastogne, celebre per il fatto d'arme dell'ultima guerra. Anche
secondo loro avrei dovuto fermarmi ancora, ma il tempo stringeva.
Ritorno
Il 4 settembre, nell'immediato pomeriggio, lasciato a
malincuore il fedele Filiberto a Lustin, poichè doveva attendere una nuova
visita collegiale, intrtapresi il viaggio di ritorno. Non solo però: un educato
giovane studente d'organo, che scendeva da Malines, mi accompagnò fin quasi al
confine; un giovane turista di Monaco mi fu al fianco fino in Svizzera; poi
raccattai un giovane italiano, uno sbandato, che mi avrebbe accompagnato fino a
Costalissoio, se quassù gli avessi trovato una occupazione adeguata.
Passai così per gli storici luoghi di Sedan , Verdun e andai
a finire a Joeuf, mio paese natio, dove trascorsi la notte e celebrai la S.
Messa nella chiesa dove 47 anni prima fui battezzato. Anche qui trovai italiani
a non finirte e perdetti tempo.
Ecco allora perchè giunsi a Basilea sul far della notte e
oltrepassai "Munchenstein" senza accorgermi, andando a finire a
Liestal. Quelli dei nostri che stanno a Munchenstein capiscono ora il primo
motivo, per cui non potei visitarli. A Olten, avevo buona intenzione di salutare
Dino, Germano, Lucia, ma dovetti accontentarmi di vedere le case dove
alloggiavano.
Bisogna pensare che a questo punto, uno può essere anche
stanco e non aver altro desiderio di ritornarsene a casa. Infatti quando giunsi
a Derendingen, poco manco che, dopo aver girovagato per quelle vie, non tirassi
diritto davvero. Fu l'incontro casuale di Eugenia e Filma che mi ha rianimato:
il Signore me le aveva mandate incontro perchè non abbandonassi il mio compito.
A Derendingen
Presto accorsero Adriana e Giuseppina, che erano appena
uscite dal lavoro, e mi fecere capire colme e dove avrfei potuto vedere tutti
gli altri. Se avevo preventivato di fermarmi solo il pomeriggio di quel
venerdì, ora vedevo che non sarei partito che il giorno dopo. Il Parroco
svizzero del paese, al quale mi presentai, mi accolse con grande cordialità e
mi mise a disposizione la sua tavola e la camera.
Iniziai così la peregrinazione nella zona di Derendingen. A
Gerlafingen, dove c'è una grande industria metallurgica, passai delle ore con
Luigi e Giuseppe Cavalier, Ivo e Giannino (e altri italiani); mi portai poi a
Biberist, trovo Bruno, che usciva dal suo turno di lavoro; a mezzanotte mi si
era convinto a restare.
E' così che rimasi a Derendingen il sabato e la domenica.
Poichè il sabato pomeriggio tutti gli operai sono liberi e li potrò vedere con
comodo, non solo i nostri, Silvio e Luciana, ma anche quelli di Costa (Franco,
Bruno, Giovanni, Simon, ecc.) e di altri paesi, perfino di Limana, senza contare
i figli di Adele Costan, i quali mi hanno dimostrato tanto affetto.
Mario Somià scenderà a Suhr appositamente quella sera, ma
non riuscirà a rintracciarmi. Ritenterà con buon esito, il giorno dopo. Non mi
fu possibile partire alle ore 11, dopo l'ultima S. Messa, come avevo stabilito,
per tentare di andare a Olten e a Munchestein. Quell'ultima domenica sarà così
piena di incontri (nel pomeriggio, nel giardino di un bar, quanti eravate? E di
quante cose si è parlato?) che la sera ero soddisfatto, si, ma anche stanco!
Lunedì sera ero a Bellinzona e Lugano, martedì mattina in
provincia di Milano in cerca di Eugenio De Lenart. Poi pian piano mi sono
trascinato a casa.
Conclusioni
Se dovessi ripetere il viaggio un'altra volta, lo dovrei
fare con un po' più di ordine. Un programma ben studiato mi dovrebbe
precedere, ma a quel programma si dovrebbe tener fede ad ogni costo!
Ho capito quanto grande sia l'attaccamento al proprio paese,
nei nostri emigrati, e come siano denari e fatiche ben spese quelli che si
spendono per andarli a trovare.
Ho capito quanto sia necessaria e attesa l'opera dei
cappellani degli italiani e l'opera dei Consolati, ma anche come sia impari
spesso il grave compito di assistere adeguatamente gli emigrati nei loro
molteplici bisogni.
I figli degli italiani all'estero come, ad esempio, sono
assistiti? Sono state soppresse le scuole italiane che erano in funzione prima
dell'ultima guerra. Fu un bene o un male? I nostri emigrati dicono che fu un
male.
Si sa che l'on. Dazzi, esperto in materia, si batte per una
migliore assistenza agli emigrati. Non v'è che non veda urgente una più
sciolta e capillare presenza della Nazione e dei suoi organismi in terra
d'emigrazione e una più oculata scelta degli uomini da inviarvi: poichè là
servono non funzionari o burocrati, ma uomini animati da forte passione.
Quante volte vien fatto di sentire questo rilievo di lode per
alcuni e di condanna per altri!
Quanto poi sia apprezzato il nostro interessamento per loro,
gli emigrati, basti, a chiusura di quanto detto, questo giudizio che viene da
Wanfercèe: "...mai si credeva una cosa così: dopo quasi trent'anni che
siamo qui, non si aveva mai visto nessuno; però lei ha voluto venire a vedere
la sua gente sparsa per il mondo...".
Il merito, che questo giudizio vorrebbe mettere in rilievo,
non ha importanza, poichè vale quanto detto in principio: ha importanza che sia
eliminato dai discorsi dei nostri emigrati il lamento di quei dieci che trovai
alle porte di Metz: "qui siamo abbandonati da tutti !", anche se, come
quella volta, il lamento non era del tutto e sempre giustificato.
Saluto nuovamente i miei parrocchiani sparsi per il mondo e
li ringrazio della accoglienza calorosa che mi hanno fatto.
Don
Aurelio
ONORANZE FUNEBRI
Finalmente, in grazia alle generose
prestazioni del dott. Holzer di Innsbruk, la salma del Caduto De Mario Vittorio
è stata traslata in paese e consegnata alla famiglia. La notizia ha dato
soddisfazione, non solo ai fratelli del Caduto, ma a tutta la popolazione, che
già, a suo tempo aveva partecipato ad una sottoscrizione per sopperire alle
spese.
Domenica 27 hanno avuto luogo i funerali con larga
partecipazione di rappresentanze combattentistiche, di Autorità e di popolo.
Il Presidente della Regola, ex Combattente, ha
pronunciato indovinate parole di cordoglio e di omaggio.
I resti mortali del Caduto, dopo essere rimasti per lunghi
anni dispersi ed abbandonati sul ghiacciaio dello Stubaital, Tirolo e, dal 1955
conservati nell' Istituto di Medicina legale di Innsbruk per gli esami di
identificazione, hanno trovato pace e riposo nel cimitero locale, accanto ai
resti del padre e della madre.
° ° °
La sezione Combattenti e Reduci di Costalissoio ringrazia, a nome suo e dei fratelli De Mario Cavalier, quanti hanno voluto portare l'estremo saluto al Caduto.
...strada Casada-Costalissoio
La strada di Casada, dopo l'allargamento, ha avuto
quest'anno l'asfaltatura oltre la sistemazione dell'innesto sulla strada
provinciale.
....
Ora viene logico domandarsi: a quando la sistemazione della
strada Casada-Costalissoio ?
Quando si arriva al punto di confine delle due regole, la
strada si restringe e si inerpica in misura tanto sensibile che si ha
l'impressione di attaccare una carrareccia militare, del tutto simile a quelle
costruite in alta montagna nel periodo della guerra 1915-18. Impressione che
risponde a realtà, poichè tale fu l'origine di questa strada che continua,
oltre il paese, fino a Sasso Grigno.
Dopo la costruzione della strada di Costalta, questa
deve essere ora la peggiore del Comelico.
Bisogna pensarci.
VARIE
E' in fase avanzata la installazione della
Centrale Telefonica nel capoluogo del Comelico, la quale centrale svolgerà
automaticamente il servizio: basterà fare il numero sul disco per mettersi in
comunicazione con l'abbonato della zona.
I paesi alti, per ora, non usufruiranno di questo beneficio:
si provvederà in seguito quando il numero degli abbonati sarà aumentato o
quando la Telve avrà maggiori possibilità.
* * *
La RAI-TV doveva installare un ripetitore televisivo sul Col Piedo, concorrendo i Comuni a sostenere la spesa della costruzione della linea elettrica e il Comando del Presidio Militare a sistemare la strada di accesso in partenza da Danta. Le precarie condizioni di cassa dei Comuni hanno fatto sfumare per ora, l'idea, mentre Auronzo ha provveduto per conto proprio.
* * *
In Val Visdende, la SADE, in seguito ai
sondaggi effettuati in vista della costruzione del bacino idroelettrico, ha
avuto la sorpresa di trovarvi sopra un vasto bacino d'acqua sotterraneo.
Infatti, rotta la crosta, l'acqua sgorgò e continua a sgorgare fuori, con forza
e abbondanza. Non sono valsi forti quantitativi di ghiaia e cemento a chiudere
la bocca di uscita. La SADE è perplessa, perchè continuando l'erosione del
sottosuolo, può operarsi in seguito lo sfondamento della crosta e il futuro
bacino diventerebbe inutilizzabile.
Naturalmente il fatto non spiace ai molti, priva e Enti,
interessati che la valle resti com'è.
* * *
Il CONSIGLIO DI VALLE è a buon punto.
Sindaci e Capiregola hanno già deciso di creare questo organismo che dovrà
sovrintendere ai problemi generali della vallata, assorbendo, fra l'altro, le
attività dei vari consorzi esistenti. Ora stanno studiando e varando lo
Statuto. Sarà opportuno che, a far parte del Consiglio, siano chiamate persone
di capacità tecnica e di cultura, per modo che tutti i rami delle attività
locali siano rappresentati, e non soltanto con voto consultivo, per modo che
quelle persone competenti non vengano a trovarsi in stato di inferiorità che le
spinga a disinteressarsi d'ogni cosa.