IL COMELICO

(Dalla pubblicazione della Amministrazione Provinciale di Belluno: BELLUNO   Viaggio intorno a una provincia
 
capitolo: COMELICO editrice Libreria Pilotto Feltre)

  COMELICO  La voglia di restare         di Lucio Eicher Clere

    Che bel ch'iné 'l Comelgo, se n fos la Val saraa un paradis! ("Come è bello il Comelico, se non ci fosse la strada della Valle sarebbe un paradiso"), recita il ritornello di una canzone popolare del Comelico. "Se n fos la Val": la strada che da Cima Gogna raggiungeva S.Stefano, incavata nella roccia che strapiomba sul Piave, quasi un sentiero del purgatorio dantesco, era la pena di dieci chilometri che doveva scontare chiunque volesse raggiungere il "paradiso" del Comelico: curve a ridosso delle rocce, strettoie, gallerie paraneve, pietre precipitanti senza avviso, valanghe ad ogni nevicata. Soprattutto per i comeliane - annosa e mai risolta la disputa sulla forma italiana del termine ladino, con il quale sono definiti gli abitanti del Comelico: comelicani, comelicensi, comelicesi, comeliani? - la "strada dla Val", iniziata nel 1838 ed aperta nel 1840 era un incubo: definitivamente risolto, dopo anni di attesa, con l'inaugurazione della grande galleria, il 31 luglio 1986.
    Il tunnel, scavato sotto il monte Piedo per una lunghezza di quattro chilometri, è un'opera di portata storica per il Comelico: una finestra per guardare oltre.
    Fine di un isolamento? Circondato dalle montagne, che ne perimetrano l'intero territorio, sbarrato anche dalla profonda gola del Piave, il Comelico presenta le caratteristiche geografiche di valle separata, difficilmente accessibile, luogo di escursione, più che di permanenza.
    Così fu considerata per secoli e millenni, quando la raggiungevano per la stagione dell'alpeggio, gli abitanti del Cadore centrale. Due valichi, quello di Razzo e quello di Zovo-Sant'Antonio, furono il primo collegamento dall'alto, rispettivamente per il Comelico di Sotto e di Sopra. Una divisione interna alla valle, questa,  che si presenta anche al suo ingresso moderno di fondovalle, quando i boschi si aprono nella piana di S.Stefano.
    Il fiume Pàdola ed il Piave , che qui confluiscono, raccolgono le acque copiose di due valli: una verso nord-ovest con i paesi di Casada, Campitello, Costalissoio, Costa, San Nicolò, Gera, Candide, Casamazzagno, Dosoledo, Padola, Danta; l'altra verso nord-est, con i paesi di Santo Stefano, Campolongo, Mare, San Pietro, Costalta, Valle, Presenaio e Sappada.
    Al limite di queste due valli altri due valichi: Monte Croce, verso la Val Pusteria e Cima Sappada, verso il Friuli. Una geografia di reclusione.
    Anche se furono continui i contatti con le zone limitrofe, con il Tirolo e la Carinzia, ma in primo luogo con il resto del Cadore ed il Friuli (ecclesiasticamente il Comelico fece parte della diocesi di Aquileia-Udine fino al secolo scorso), proprio per la difficoltà di comunicazioni emerge una storica nota di chiusura. Atteggiamento che soprattutto gli abitanti hanno reso manifesto.
   Comelian era un termine che spesso, particolarmente nel resto del Cadore, diventava sinonimo di montanaro, diffidente, rozzo, fuori moda. Chiusi e conservatori i comeliane, senza dubbio, lo sono stati per secoli.
    Ed oggi, quando lo stile di vita di una abitante di Candide ben poco si differenzia da quello di un cittadino di Treviso , ironia delle valutazioni, proprio per le caratteristiche di conservazione questa valle viene apprezzata.
    Isolamento dunque favorevole? Per chi valuta l'aspetto linguistico, il mantenimento della parlata ladina costituisce ricchezza ed originalità. Per chi apprezza le bellezze paesaggistiche l'integrità del patrimonio boschivo, i prati falciati anche ad alta quota, il non eccessivo guasto edilizio sono testimonianze di cura e rispetto del proprio ambiente.
    Per amore o per necessità, gli abitanti del Comelico si sono costruiti quest'angolo di vita con progressivi disboscamenti per creare spazio all'agricoltura ed all'allevamento, e lo hanno poi conservato in condizioni di obbiettiva difficoltà : un'altezza media sul livello del mare di 1200 metri, dai 900 di Santo Stefano ai 1400 di Danta, un territorio disposto per gran parte in pendio, condizioni climatiche rigide, che consentono la coltivazione di pochissime specie di prodotti agricoli.
    Tuttavia da questa terra non c'è stato l'esodo: nei comeliane è prevalsa la voglia di restare.
    Dopo l'emigrazione degli anni Cinquanta e Sessanta, che vide la partenza di circa duemila persone, nell'ultimo decennio la popolazione del Comelico si è stabilizzata sulle diecimila unità, con fenomeni migratori solo marginali. Nemmeno nei paesi più piccoli ed isolati si è registrato spopolamento. Anzi, proprio in questi, si assiste ad un fiorire di iniziative, che testimoniano la caparbia volontà di ricercare soluzioni  per rimanere.
Una Regola per l'agricoltura
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    Fino alla seconda metà del secolo scorso, in tutti i paesi della valle le case erano in legno, nella tradizionale architettura cadorina, strette l'una all'altra, e gli incendi, quando scoppiavano, avevano effetto distruttivo per l'intero
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paese. I regolamenti edilizi previdero allora, per evitare queste calamità e per non falcidiare i boschi, il cui legname aveva maggiormente utilità commerciale, che le nuove costruzioni fossero fatte in pietra.
    Il cambiamento della tipologia non fu certo preciso sinonimo di cambiamento delle condizioni di vita. L'incremento della popolazione, dalla seconda metà del secolo scorso, comportò maggiori difficoltà economiche, considerato che nel rapporto tra popolazione e risorse agricolo-pastorali, alla crescita dell'una le altre rimanevano invariate.
    A Costa, come e più che in altri paesi, se ne andarono molte delle forze giovani e produttive, e l'agricoltura si trovò inevitabilmente a languire. Negli anni Cinquanta, più dei due terzi delle piccole aziende, i cui proprietari erano emigrati, giacevano in uno stato di abbandono: fienili chiusi e prati abbandonati.
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    Ma alla crisi degli anni Sessanta, alle speranze ed ai progetti forse troppo ambiziosi, subentra il realismo.
    A farsene interprete è la Regola, come risposta alle necessità. Le istituzioni comunitarie per il godimento dei beni collettivi , che in Comelico, come in altre zone, sono chiamate Regole, non nacquero per vocazione al "comunismo" dei primi abitatori di queste valli, ma per la necessità economica di mantenere indivisi i boschi ed i pascoli, per un migliore uso: il frazionamento in piccole quote, infatti, avrebbe portato discapito ai singoli ed alla comunità, anziché favorirli. Le Regole che per un millennio avevano guidato la vita comunitaria dei comeliane, nel 1806 erano state esautorate, con il trasferimento dell'amministrazione dei beni al nuovo Comune.
    Ma la tradizione resistette e, dopo centocinquant'anni, con la legge n.1104 del 1948, poterono riprendere vita autonoma.
    Proprio negli anni successivi però esse vedevano sbiadire la loro funzione principale, connessa all'attività agro-silvo-pastorale.
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Un impulso alla cultura
   
Come per gli oggetti di antiquariato, che acquistano valore per la loro originalità e rarità, è accaduto in questi anni anche per le culture marginali. Caratteristiche un tempo svalutate per la loro apparente rozzezza, ora acquistano interesse e diventano oggetto di studio e di ricerca.
    Alla parlata del Comelico, ad esempio, hanno dedicato attenzione insigni glottologi, quali l'Ascoli ed il Tagliavini, collocandola nell'area linguistica ladina, che dalle valli dolomitiche del Sella  si estende fino al Friuli.
    Il ladino del Comelico è vivo, perché parlato ancora dalla quasi totalità della popolazione. Ma rischia lo svuotamento di significato e l'inevitabile assorbimento nella lingua dominante.
    Questo pericolo è avvertito in Comelico, in particolare a Costalta, frazione del Comune di San Pietro, che rende visivamente l'idea di attaccamento alla montagna. Come gli abeti dei boschi vicini, le case sembrano affondare le radici, per non scivolare nel ripido pendio su cui il paese è disposto. Le vestigia del passato convivono con il nuovo: una trentina di case in legno, annerite dal sole, il lavatoio pubblico accanto alla vecchia fucina e, dislocati attorno al paese, a gruppi o isolati, decine di fienili.
    Le nuove generazioni sono cresciute accanto agli anziani: ne hanno raccolto le testimonianze, fissato i ricordi, mettendoli per iscritto e pubblicandoli. Tuttavia perché la cultura locale, di cui la lingua è strumento principale, non sia un pezzo d'antiquariato da collocare un giorno in un museo, a Costalta è maturata la proposta di non limitare la ricerca al passato, testimoniato dalla tradizione orale, ma di estenderla alla creazione di testi poetici, racconti, canzoni, che non guardino nostalgicamente al bel tempo andato, ma parlino dell'oggi: le situazioni di vita di questa terra, i sentimenti, le persone. Con la prospettiva di far ridiventare la lingua strumento vivo di un nuovo e coerente rapporto dell'uomo che vive in montagna con il suo ambiente.
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Il turismo a misura di paese
    
Anche nei paesi dove l'economia turistica è prevalente, non c'è stato un impatto ambientale negativo. A Padola, ad esempio, in Comelico di Sopra, raccolta ai piedi dell'Aiarnola, in un mosaico di prati e di boschi che della stupenda  Valgrande si innalzano fino alle Dolomiti del Popera: qui il turismo ha vissuto momenti di speranza, quando, ancora nell'Ottocento, vennero scoperte le proprietà curative delle acque di Valgrande, e vicende di delusione.
    I padolesi seppero resistere, negli anni Settanta, alle allettanti offerte per la costruzione di un villaggio turistico; e gradualmente si sono dotati, in questi anni, di adeguate strutture per un turismo nel rispetto del territorio.
    Così Santo Stefano, in Comelico di Sotto, dove si sta avviando una discreta offerta ricettiva.
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