Nota:
Piergiorgio Cesco Frare autore della ricerca: "Gli
antichi “laudi” del “centenaro” di Comèlico Inferiore-Note sugli itinerari di alpeggio delle greggi
La ricerca è apparsa in "Archivio per l'Alto Adige. Rivista di Studi Alpini", CI 2007, Firenze, e riprende un intervento dell'autore al convegno di Borca di Cadore tenutosi nel 2006 in occasione del centenario della rivista, la quale è l'organo ufficiale dell'Istituto di Studi per l'Alto Adige operante presso l'Università degli Studi di Firenze. Gli atti completi del convegno sono stati anche stampati come estratto della rivista dall'Istituto Ladin de la Dolomites di Borca e dalla Fondazione Giovanni Angelini di Belluno.
Gli antichi “laudi” del “centenaro” di Comèlico
Inferiore[1]
Note sugli itinerari di alpeggio delle greggi
di Piergiorgio Cesco Frare
Premessa
Nel presentare in appendice il laudo cioè lo statuto del Comun
d’Oltrerino (San Pietro di Comèlico) nel suo testo originale latino accompagnato
da una traduzione settecentesca dello stesso, desideriamo soffermarci sulle
disposizioni del cosiddetto “laudo di monte”, in particolare là dove questo si
occupa dei percorsi per l’alpeggio delle greggi. Per una corretta
interpretazione della ratio di queste
norme, è però necessario allargare il panorama anche al laudo dei comuni di S.
Stefano e Casada ossia all’intero territorio del centenaro di Comèlico
Inferiore. Vedremo, infatti, come gli alpeggi posti nella valle di Visdende
fossero, a quei tempi, goduti in regime di comproprietà dai tre comuni, eredi
dell’antica unità giuridica di quella «vicinea de Comelico» che nel 1186,
dividendo le proprie “montes” con
quella di Arvaglo (Oltrepiave), riceveva in proprietà esclusiva «Londum,
Degnasum et Ampletum»[2].
La nostra indagine si muove da interessi di carattere
prevalentemente toponomastico. Infatti, la cura minuziosa posta dagli statuti
nella descrizione degli itinerari ci offre una copiosa messe di microtoponimi,
sulla base della quale ricostruire in diacronia il panorama toponimico di una
vasta zona del Comèlico compresa tra i 900 m del fondovalle, solcato dal fiume
Piave, e i 2000 m degli alpeggi posti sulla linea displuviate, a settentrione
della valle di Visdende. Tuttavia, poiché ricerca toponomastica e ricerca
ambientale s’illuminano a vicenda, abbiamo ritenuto di dar qui conto anche di
quegli aspetti di natura storica, etnografica e geografica che i testi in esame
suggeriscono, tanto più che, a quanto ci consta, solo in questi due laudi sono
contenute disposizioni tanto particolareggiate per gli itinerari di alpeggio.
Esamineremo dunque in particolare i tre fattori che, a nostro avviso, hanno
determinato in maniera preponderante la fitta rete di itinerari di monticazione
e smonticazione: le “montes”, le “greggi” e le “ville”.
[1] Senza addentrarci nel
ginepraio delle definizioni storico-giuridiche che la materia comporta,
ricordiamo che vicinea, fabula, regula, comune sono termini sinonimi che indicano l’unità minima
di quella particolare forma di proprietà collettiva di boschi e pascoli, sulla
quale si resse il Cadore sino alla caduta della Serenissima. Anche il termine centenaro può, sotto certi aspetti,
essere considerato equivalente, allorché indichi, come in questo caso, il
territorio di una antica vicinea
matrice di altre regole minori. Per approfondimenti sul tema e, più in generale,
sulle vicende storiche dell’istituto regoliero in Cadore si veda G. Zanderigo
Rosolo, Appunti per la storia delle
Regole del Cadore nei secoli XIII-XIV, Istituto
Belunese di Ricerche Sociali e Culturali Editore, Belluno, 1982.
[2] G. Zanderigo
Rosolo, Appunti per la storia delle
Regole del Cadore cit., p. 241.
Le “montes”
La comproprietà di tre “monti” da sfruttare a rotazione fu
certamente una delle cause che determinarono la fitta rete di percorsi
obbligatori per l’andata e il ritorno delle greggi.
Un interessante documento del 1°
ottobre 1353[3] così illustra la
situazione (che rimase invariata sino alla fine del XVIII secolo):
In
piazza di Sto Stefano – presenti Graziano detto Comite d’Ospitale e altri –
Dinanzi il Vicario Pietro d’Orsago comparvero Jacobus de Cortali sindico
[rappresentante]
d’Oltrerino e Ioannes
Faber de Glera sindico del Comune di
S. Nicolò, presenti tutti gli uomini de’ loro Comuni e i loro detti
confermanti; e gli fecero istanza di ordinare e comandare la divisione dei monti
Londo, Dignasio et Apleto, ch’essi Comuni hanno indivisi coi
Comuni di Sto Stefano e di Casada; adducendo per motivo e sostegno della
loro domanda il maggior vantaggio, che ne avrebbe ciascuna parte, ed
il cessamento delle molte risse e questioni, che nascono dalle monticazioni
promiscue (comunque fatte a turno).
Dall’altra parte comparvero Ermano da Trasaga sindico di Sto Stefano ed Azio (od Azone) di Costalissio sindico di Casada – presenti pure tutti i loro comunisti -, e confessarono che hanno i tre monti suddetti indivisi coi due Comuni sunnominati, aggiungendo che ci vanno tres greges sive fedarie bestiarum ogni anno a turno, uno per monte; ma negarono di volerne fare divisone, volendo ita facere sicut hactenus consueverunt
Apprendiamo
così che i tre alpeggi in questione erano comproprietà non solo di S. Stefano,
Casada e Oltrerino ma anche di S. Nicolò (comune, questo, confinante con Casada
e appartenente al centenaro di Comèlico Superiore), che però tre erano le greggi
che vi monticavano (questo – aggiungiamo noi – in virtù di un "concordio" del
1278 che disponeva degli abbinamenti obbligatori per la monticazione tra le
“ville” di S. Nicolò e quelle degli altri tre comuni[4]). Dunque la
comproprietà e la turnazione nell’uso dei pascoli montani doveva procurare non
lievi problemi a motivo delle greggi contemporaneamente in
movimento verso i pascoli
montani.
Nel caso in esame, la comproprietà
di Londo–Dignàs-Apleto da parte dei consorti dei quattro comuni (i tre del
centenaro di Comèlico Inferiore più quello di S. Nicolò) costituisce quella che
in termine tecnico di definisce “regola di monte”, la quale si regge su norme
recepite nei singoli statuti comunali insieme con tutte le altre disposizioni
che regolano anche la “regola di piano”. Non bisogna dimenticare quanto detto in
premessa, che cioè il centenaro di Comèlico Inferiore fu la “vicinea” matrice
dei tre comuni di S. Stefano, Casada e Oltrerino. Nella vita istituzionale della
“regola di monte” i due momenti topici sono le assemblee che si tengono per la
monticazione e la smonticazione. Alla prima il laudo di S. Stefano-Casada non fa
cenno, però ne abbiamo indirettamente conferma da un documento del
1377[5], nel quale si parla esplicitamente della consuetudine
della regola di S. Stefano di tenere il giorno di S. Vito (15 giugno)
un’assemblea «ad providendum de mittendo oves, et bestias ad pascua montana ac
quam de erba vendendi». Quello di Oltrerino, invece, ne parla all’art. 6, ove
prescrive la convocazione «senza alcun
comandamento, ne intimazione nel giorno di S. Vido del mese di Giugno a
provedere le cose molto necessarie nel, e sopra il fatto di montegare li
Animali». Nei seguenti artt. 8 e 9 si prevede anche l’elezione dei responsabili
della conduzione dell’alpeggio. All’art. 59 si prevede che il giorno della
monticazione, giunti gli animali e i loro custodi al pian di Messedà, si tenga
un’altra assemblea allo scopo di «far le necessarie provisioni circa la
montigazione»: in particolare si verifica la corrispondenza degli animali
condotti da ciascun regoliero con il numero degli stessi dichiarato durante la
congregazione fatta nel giorno di S. Vito, per evitare brogli nell’assegnazione
degli incarichi di pastore e nella ripartizione finale dei prodotti della malga. Il “marico”, cioè il capo
della regola, richiede poi a tutti i «custodi della montegazione» solenne
giuramento «di sinceramente, e fedelmente reggere, e governare» tutti gli
animali affidati loro e di custodire tutti i prodotti della malga «egualmente
per beneficio dei Poveri, e dei Richi». La smonticazione è momento altrettanto
delicato, poiché, oltre alla riconsegna degli animali ai singoli proprietari, si
ha il rendiconto finale della gestione della malga con la divisione dei prodotti
e il conguaglio di eventuali debiti di derrate alimentari (farina, sale ecc.: le
“pasture”) dovute dal singolo proprietario di animali a favore
dell’amministrazione della “monte”. Questa fase è regolata nel laudo di S.
Stefano-Casada all’art. 60, ove si dice «Che ogn’anno continuamente nel giorno
della Madonna di Settembre [8 settembre] siano convocati a Favola gli Uomini
d’esso Comune alli luoghi soliti, ed ivi dal Marico, e suoi Laudatori sia
proposto di stabelir il giorno nel quale si debba dismontegare, e nel giorno,
che verrà destinato dalla maggior parte degl’Uomini del Comune si debba
dismontegare, ma non avanti, se non sarà col consenso, e volontà del Comune»;
all’art. 52 si vieta anche «di levar fuori dai Tamberi qualche pecora» (è
sottinteso: prima che il marigo ne dia il permesso a rendicontazione conclusa).
Anche nel laudo di Oltrerino all’art. 66 si vieta di prelevare gli animali dal
“tamber” (vedi sotto) prima che il
Marico lo consenta, poiché ivi quel giorno è radunata la “faola” dei regolieri,
nella quale «si rende conto dell’amministrazione fatta dai Pastori, ed altri che
sono stati nelle montagne». La riunione si conclude con la raccomandazione ai
custodi di non causare danni ai privati nel ricondurre le bestie ai loro luoghi
di partenza.
[3] Regesto in G. De Donà, Cadore III, Biblioteca Cadorina, ms n.
285, p. 451. La sottolineatura è nostra.
[4] Cfr. N. e P. Cesco-Frare, Alla ricerca del villaggio perduto in
«Le dolomiti Bellunesi», anno XXIV (Estate 2001) n°1, pp. 13-23.
[5] Archivio del Comune di S. Stefano di Cadore,
cart. 2 fasc. 10: è la trascrizione settecentesca di pergamena ora dispersa.
Le greggi
Nel documento del 1353 visto sopra si afferma che salgono agli alpeggi comuni «tres greges sive fedarie bestiarum ogni anno a turno, uno per monte». In realtà bisogna tener conto che gli animali componenti il gregge sono di tre tipi: “fede” (pecore da latte), “greie” ovvero “sterpe” (pecore da lana) e capre (si noti che le vacche non salivano alle alte quote, che erano riservate alla sfalcio e al pascolo del bestiame minuto, dei buoi e degli equini). E occorre quindi considerare che ciascun tipo ha proprie particolari esigenze sia di pascolo sia di strutture: sugli alti pascoli le “sterpe” allo stato semibrado e le “fede” nei pressi di recinti per la mungitura, nella zona cespugliosa più bassa le capre attorno alle casere. Anche se ciò non è del tutto palese negli statuti, si può dunque facilmente arguire che sin dalla partenza dal “piano del messedà” (di cui si dirà oltre) ciascuna delle tre “fedarie” sopra citate doveva dividersi a sua volta in tre greggi con differenti destinazioni. Lo deduciamo, anzitutto, dall’esistenza di tre figure di pastori di monte, di cui parla per esempio il laudo d’Oltrerino all’art. 60: «li Custodi della montegazione di quell’Anno, cioè […] Diaro, Gregaro, e Capraro». Poi, dalle norme che vietano la commistione tra gli uni e gli altri animali: nel laudo di S. Stefano-Casada all’art. 46 si dice che «se qualcuno ponesse qualche pecora, o capra da latte col gregge di quelle che non sono da latte, sia condannato in Soldi 45 de piccoli per cadauna pecora e capra». E, infine, dalla microtoponomastica stessa della zona considerata: vi è un Tréi dle Stèrpe ‘sentiero delle stèrpe’, che congiunge la conca di Vissada col passo Palombino (percorso di alta quota sopra i pascoli della conca di Londo), e una Pala dle Stèrpe. Vi è poi una Val dla Fëda ‘Valle della Pecora’ nel pascolo di Campobon, dove esiste ancora un antichissimo recinto di pietre grezze dove la tradizione orale vuole fossero munte le pecore e pesato il latte[6]. Vi è anche una Val dal Róco ‘Valle dell’Ariete’ sita sul versante opposto alla valle precedente.
[6] Di tali recinti rimangono numerose
testimonianze in Comèlico. Recenti indagini, compiute nelle Alpi meridionali
francesi su strutture simili, hanno potuto stabilire che talune di esse
risalgono al Neolitico.: cfr. http://ecrins2007.blogspot.com/
La “villa” e il
“gei”
La struttura degli insediamenti del Comèlico nel XIII secolo era accentuatamente puntiforme: nella sola zona interessata dai due laudi si contavano non meno di venticinque “ville” cioè villaggi autonomi, numero che sale a trentasei se si considera anche il comune di S. Nicolò[7]. Appare dunque evidente come gli itinerari di monticazione intersecassero, nella loro parte di fondovalle, un territorio fittamente antropizzato, creando delicati problemi di protezione dei coltivi e segativi. A questo riguardo, le norme di Casada e di S. Stefano sono alquanto succinte, limitandosi a indicare il passaggio per i percorsi recintati della “trasuda” e del “viale”. Diverso il caso dello statuto d’Oltrerino ove, dovendo fare i conti con un’area assai più ristretta per gli spostamenti delle greggi sino al luogo di concentrazione, si dettano norme molto più particolareggiate per l’attraversamento della fascia dei terreni coltivati prossimi ai paesi, che nel periodo della monticazione godono della massima protezione (cfr. artt. 11, 12 e 13 dello statuto relativi alle “faole di giei regolato”). All’opposto, il ritorno dal monte nel laudo di S. Stefano-Casada sembra studiato in modo di far attraversare alle greggi proprio l’area coltivata in funzione della sua completa concimazione: si passa attorno ai paesi a greggi separati e, prima di arrivare ai “tamberi” si attraversa il “gei”. Il laudo d’Oltrerino è invece assai più sbrigativo in fatto di itinerari di ritorno, limitandosi a descrivere solamente quello da Doppieto, che ricalca quello di S. Stefano-Casada sino alla località di Tamber
[7] Cfr. N. e P. Cesco-Frare, Alla ricerca del villaggio perduto cit. pp. 13-23.
Le “zude dei monti”, il
“pian de mesedà” e i “tamberi”
Possiamo suddividere la descrizione degli itinerari di andata in due fasi: la prima riguarda la concentrazione degli animali delle singole ville di ciascun comune nel luogo denominato “planum de messedà>pian(o) di mesedà”[8]. Quest’indicazione, che ricorre nelle disposizioni di tutti e tre i comuni, doveva designare non un unico luogo bensì diverse località ove le singole comunità radunavano gli animali: il “locus miscendi pecudes” cui si fa cenno anche in altri laudi cadorini. Infatti, giacché si dovevano raggruppare gli animali in funzione del loro tipo e dell’itinerario cui erano destinati, è lecito pensare che queste operazioni dovessero essere condotte da ciascuna comunità in località separata. Nella ricerca dei rispettivi ‘piani di Messedà’ per il Comune di Casada abbiamo una testimonianza documentale che risale all’anno 1519 e che ci consegna il nome cristallizzato in toponimo[9]. Per S. Stefano invece, data la lacunosità della descrizione dell’itinerario d’andata, possiamo solo supporre che questo comune disponesse di un luogo di raduno posto nei pressi di quello di Casada: ce ne fornisce un indizio il toponimo Pian di Tamai/Piën Tamài, citato anche nel medesimo documento del 1519, dove quel tamài ci indica la probabile esistenza di un recinto ad uso di raduno e smistamento degli animali. Un altro luogo di raccolta doveva essere nei pressi di quello di Oltrerino. Non è impossibile, dal punto di vista giuridico, che i comuni disponessero di stazioni fuori del loro ambito territoriale poiché questi “loci miscendi pecudes” erano considerati a tutti gli effetti pertinenze immobiliari delle “montes” anche se situati a grandi distanze da queste[10].
Per quanto riguarda, poi, la prosecuzione verso i monti dai rispettivi luoghi di raduno, le vie passavano per Vissada da raggiungere «per cacumen montium», attraverso la Ravìs (Casada-S.Stefano); e per Cengia (Oltrerino). Il valico di Forcella Zovo era riservato a quelli d’Oltrerino: da qui le capre scendevano attraverso un itinerario studiato per non infrangere la “faula di mezo” (23 aprile – 1° novembre) applicata ai prati di Visdende (cfr. l’ultimo articolo del laudo d’Oltrerino), per poi risalire alle mète previste; le pecore risalivano in Vissada. L’attiguo valico della Forchetta era invece riservato alle capre sia d’Oltrerino sia di S. Stefano dirette a Doppietto. In ogni caso le capre, o che passassero per la Forchetta o per la forcella di Zovo o per Vissada, dovevano seguire itinerari boschivi per accedere agli alpeggi di destinazione (si noti che anche il gregge di capre di Casada che doveva passare per Vissada, scendeva poi sino a quello che oggi è chiamato Bivio Ciadon per poi risalire alla casera “federa” di Dignàs).
Veniamo ora agli itinerari di ritorno, il cui punto terminale è senz’altro il “tamber” ove, come detto, si teneva l’adunanza dei regolieri per il rendiconto finale della monticazione. Per quelli di S. Stefano e di Casada il ritorno di tutti gli animali da Londo e da Dignàs avviene per la stessa via dell’andata che passa dunque per Vissada, la Ravìs (“la via de rovis” nel laudo) e «Sommo Zovo» l’odierno Monte Zovo, sino al piano del Messedà. Di qui le greggi scendono verso i rispettivi recinti di smistamento (i “tamberi”) con itinerari distinti per “fede” e per “greie” (le capre non sono più a questo punto ricordate). I medesimi, tornando da Doppieto, devono con tutti i loro animali tenersi in versante di Visdende per valicare Forcella Zovo e oltrepassare il Rin nella zona compresa tra Costalta e S. Pietro e, proseguendo a greggi separate – “sterpe”, “fede” e capre a diverse altezze in ordine decrescente – puntare ai rispettivi “tamberi” non prima di aver anche in questo caso sostato nei “géi” delle ville ovvero nei campi coltivati attorno ai paesi.
Come s’è visto, i luoghi fisici dove si svolgono queste importanti
adunanze regoliere sono il “pian di messedà” all’andata e il “tamber” al
ritorno. Nel caso d’Oltrerino riteniamo che questi due luoghi coincidano: siamo
confortati in ciò dalla descrizione degli itinerari d’andata e ritorno e
dall’esistenza del toponimo Tamber/Tànbar. Il Pian di Messedà è dunque
anche un luogo deputato alle periodiche riunioni degli organismi regolieri, come
apprendiamo, tra l’altro, da un’appendice al Laudo d’Oltrerino[11]. Nel caso dei comuni
di S. Stefano e di Casada invece è evidente che i luoghi di raduno del bestiame
all’atto della monticazione sono affatto diversi da quelli del ritorno: i primi
si trovano piuttosto in alto e lontano dai villaggi, mentre i secondi sono posti
sul fondovalle accanto all’abitato. Come già visto per Oltrerino, anche per il
comune di S. Stefano vi è un riscontro preciso nella località Tamber/Tànbar, borgata del paese di S. Stefano verso
Campolongo. Nel caso
di Casada invece, manca un riferimento toponomastico diretto ma il testo del
laudo è esplicito nell’indicare il luogo dei “tamberi” nei pressi della località
Campanelle, la quale è però situata nel territorio di S. Nicolò del
centenaro di Comèlico Superiore. La spiegazione di questa apparente anomalia la
troviamo in un documento del 1600[12], nel quale ai
comuni del centenaro di Comèlico Inferiore si conferma il diritto di passare col
proprio bestiame minuto, in occasione dell’alpeggio sulle proprie “montes”,
attraverso il territorio di S. Nicolò e in particolare «per loca de Campanelle»,
con l’interessante motivazione che ciò è previsto nei laudi - cui non è dato
derogare - degli stessi comuni interessati. Questa servitù di transito discende
indubbiamente dall’antica comproprietà tra Comèlico Inferiore e S. Nicolò di cui abbiamo parlato sopra, probabile
retaggio di una fase più antica di popolamento del Comèlico, nella quale la
totale condivisione del territorio era regola generale.
La ricostruzione puntuale degli itinerari d’alpeggio stabiliti per l’andata e il ritorno è in gran parte possibile nonostante le lacune e le incertezze delle descrizioni relative e nonostante che l’abbandono della pastorizia negli ultimi decenni abbia obliterato sia il ricordo umano sia l’aspetto fisico di talune località. Tale ricostruzione sarebbe però graficamente assai complessa: come s’è visto infatti, le norme degli statuti regolano gli spostamenti di ben nove gruppi di animali in un’area relativamente ristretta. Oltre a ciò, le “zude” d’andata sono in parte diverse da quelle di ritorno. Ai fini del presente contributo ci siamo perciò limitati a tratteggiare nelle allegate tavv. 1 (monticazione) e 2 (smonticazione) questi itinerari per grandi linee, cercando di visualizzarne i presupposti ambientali ed etnografici citati in premessa.
[8] In comelicano maòdà significa ‘mescolare’. L’unica
testimonianza di cristallizzazione in toponimo di questo appellativo la troviamo
in P. Da Ronco, Costalissoio, Il bosco di
Caurul vizzato, Collezione Storica Cadorina vol. 3° Ms. 272, p.124,
Biblioteca Cadorina di Vigo. In una confinazione del 1519 si cita un “Planus de
Mesceda” poco a monte del “Planum de Tamai”.
[9] Vedi sopra nota 8.
[10] Cfr. G. Zanderigo Rosolo, Appunti per la storia delle Regole del
Cadore cit., p. 169 nota 154. Vedi, inoltre, nota 12.
[11] «Ai, 25, Giugno 1624, […] essendosi hoggi
ridotto il Commun sopradetto nel pian de Messedà per proveder alle Cose sue»: da
ms b.l.16 in Archivio De Pol presso Biblioteca Cadorina di Vigo di Cadore.
[12] P. Dad Ronco, Confinazione 24 Ottobre 1600 fra la Centuria
di Comelico Inferiore e il Comune di San Nicolò in “Collezione Storia
Cadorina” Ms. 272 Biblioteca Cadorina di Vigo p.298-301.
“antichi
itinerari d’alpeggio del centenaro di comelico inferiore”
Tav. 1:: “la monticazione”.
Tav. 2:
“ la smonticazione”.
Disegni:
Fausto Tormen
APPENDICE
Il corpus dei laudi delle regole cadorine consta di una settantina di testi (ma se si considerano gli ampliamenti, le riscritture e le aggiunte il numero è di molto maggiore), che sono stati pubblicati a stampa, con i più svariati criteri e nelle sedi più diverse. Manca il laudo del Comun d’Oltrerino (San Pietro di Comèlico), che ora proponiamo nel suo testo originale latino, accompagnato da una traduzione settecentesca per le considerazioni diacroniche che ne possono derivare.
L’auspicio è che, in un futuro non lontano, si ponga mano alla pubblicazione di una raccolta completa ed organica dei laudi.
Il laudo del Comun di Oltrerino
Il testo del laudo del comun d’Oltrerino è stato ricavato da un piccolo codice manoscritto (cm 15x20) esistente nella Biblioteca Cadorina di Vigo di Cadore (ms. 113)[13]. Il documento è una copia di mano di Alessandro Vecellio desunta dall’originale rogato nel 1575 dal padre di questi Tiziano Vecellio detto l’Oratore (Pieve 1538 - 1612), il quale per quasi quarant’anni esercitò il notariato e ricoprì la carica di officiale nel centenaro di Comelico Inferiore.
La versione in volgare è contenuta, insieme con la copia di altri documenti, in un manoscritto dell’Archivio De Pol (b.l.16.) della stessa Biblioteca Cadorina. L’intero manoscritto dovrebbe essere di pungo del notaio Giacomo Antonio Pomarè, che fu attivo in Comèlico nei primi decenni del Settecento. Riteniamo dunque che questi sia l’autore della traduzione, eseguita probabilmente su incarico ufficiale del Comune d’Oltrerino.
[13]
Del
laudo fu pubblicata una traduzione moderna in: “Laudo del Comun d’Oltrerino (San
Pietro di Comelico)” tradotto e commentato da Alessandro Sacco, Nuova Grafica
Fiorentina, FI, 1981.
IN CHRISTI
NOMINE. AMEN.
Anno ipsius
Nativitatis Millesimo Quingentesimo Septuagesimo quinto, Indictione Tertia, Die
vero Primo Mensis Junii. Pateat omnibus, quod cum heri ego Titianus Vecellius
Notarius, et Officialis Centuria Inferioris Comoelyci de Cadubrio contulissem me
in Vallem praedictam Comoelyci pro negociis eiusdem Centuriae; divertissemque ad
solitam habitationis domum prudentis, et frugalis Viri ser Floriani quondam Ser
Jacobi Bartholamei Jacobi, sive de Paulo Villae S.ti Petri, eo ad me hodie
venerunt infrascripti Deputati Universitatis hominum de Ultrarino dicti
Comoelyci de Cadubrio videlicet Ser Aloysius quondam Ser Pauli Bernardini de
Stavello Maricus praefatae Universitatis, Ser Franciscus quondam Ser Gilardi
Pontili de Praezenaio, et Ser Aloysius quondam Ser Christophori Pramolini de
Costalta Laudatores eiusdem Universitatis; suprascriptus Ser Florianus de Paulo,
Ser Joannes Paulus quondam Ser Leonardi Aloysii de Valle, Ser Florianus quondam
Ser Jacobi de Bettino, Ser Jacobus quondam Ser Thomae Casanova de Costalta, et
Ser Joannes quondam Ser Marci de Prezenaio, qui omnes me Officialem praedictum
requisiverunt, ut infrascripta nova ordinamenta, et Lauda dictae eorum
Universitatis in acta publica referrem, et conscriberem iuxta deliberationem (ut
dixerunt) factam hisce diebus proxime elapsis in pleno eorum Communi ex causis
satis urgentibus, et praesentim quia quaedam tantum fragmenta veteris Laudi
dicti Communis reperiuntur, quae vetustate partim corrosa erant, partimque
ipsius Laudi literae cum difficultate iam legebantur; referentes propterea
antelati Deputati se habuisse a praefato eorum Communi omnibus suffragiis,
nemineque discrepante plenum, et amplum mandatum conficiendi, et renovandi ipsa
Lauda, et ordinamenta cum auctoritate omnimoda eis impertita addendi, minuendi,
moderandi, et regulandi, pro ut ipsis rectius, et utilius visum fuerit ad
commodum, et beneficium antedicti Communis. Qui quidem Deputati dixerunt se in
praemissis per dies aliquot omnem diligentiam, et considerationem adhibuisse,
veterique Laudo quoad fieri potuit insistentes firmarunt, et ordinarunt omnia,
quae infra sequuntur.
1. In
primis Divino praesidio invocato dixerunt observandum fore, et esse, pro ut ita
semper observatum fuit, quod singulo quoque anno ex veteri instituto in Die
Vigesimo secundo mensis Februarii, quo die Cathedra Divi Petri Apostoli eorum
Protectoris celebratur congregari debeat Communitas hominum de Ultrarino
Comoelyci in Villa Sancti Petri loco solito ante domum Scolae, eoque die creari
debeant gubernatores dictae Universitatis qui vulgo Visinderii nuncupantur
eligendi de probatioribus, et magis idoneis in Officio per annum mansuri
videlicet Maricus unus, Bini Laudatores, Saltuarii quatuor, Syndicus unus
Luminis Sancti Petri, necnon Luminis Divi Bulphi de Prezenaio, Juratus unus
Luminis Sancti Petri, et unus Monacus.
2. Item
unus Juratus Viarum; quibus Visinderiis deferatur iuramentum in praedicta
Universitate de sincere, et fideliter exercendo eorum onera, et officia, ad quae
fuerunt electi, et ordinatum ac statutum fuit, ut in tali die Celebrationis
Cathedrae Divi Petri omnes Vicini, et Regulerii de Ultrarino teneantur, et
debeant sine alio praecepto, seu admonitione sibi fienda ad congregationem dicti
Communis accedere, cum sit illa dies ad praemissa omnia gerenda ab antiquo
destinata, et quicunque nullo legitimo impedimento detentus venire neglexerit,
incurrere debeat, et incursus intelligatur ad poenam duarum Vadiarum de Solidis
scilicet Quadraginta quinque parvorum pro qualibet Vadia; quarum altera illico
exigi debeat a Marico veteri, altera a Marico novo; nec alicui de poena ipsa
fiat gratia, ut caeteri parere discant.
3. Item,
quod Patres familias, et Capita, seu gubernatores domuum teneatur personaliter
venire ad congregationem Communis, et si loco eorum filios mitterent, non
admittantur ipsi filii; et qui eos mittunt, solvant Communi Soldos Viginti pro
quolibet, et qualibet vice, salvo tamen iusto, et legitimo impedimento.
4. Item,
quod illi omnes, qui pro tempore electi erunt Marici, et Laudatores praefati
Communis, nequaquam possint recusare dicta officia, sed ea acceptare teneantur
sub poena Vadiarum trium pro quolibet auferendarum illico a nolentibus
acceptare, quibus Vadiis exactis nihilominus etiam praedicti electi cogantur ad
onera eis delata suscipienda, et exercenda cum comminatione, et poena
interdictionis ignis, et aquae, et privationis bonorum omnium communalium, et
sic contra ipsos inobedientes executioni mittatur.
5. Item,
quod cum congregatum erit Commune, quaelibet persona surgens ad aliquid
loquendum, debeat cum modestia opinionem suam dicere, nullam tumultuandi, aut
contendendi ansam praebendo, nec aliquem iniuria afficiendo sub poena Soldorum
Quinquaginta pro quolibet contrafaciente, et qualibet vice, et privandi etiam a
Fabula per quinquennium tales contrafacientes.
6. Item,
pro observantia vetustae consuetudinis loci congregari etiam debeat praefata
Universitas de Ultrarino absque aliquo praecepto, et intimatione in Die Sancti
Viti de mense Junii ad providendum rebus admodum necesariis in, et super facto
monticandi animalia; et qui eo die venire neglexerint, cum potuerint, perdant
Vadiam, quae illico eis accipiatur, nec gratia alicui fieri possit; in quo die
Sancti Viti congregata Universitate praedicta eligantur de more bini Saltuarii
Montium, unus de Villa Costalta semper, et alter de aliis locis, et Villis
praefati Communis ad Rotulum.
7. Item,
quod dicti duo Saltuarii Montium electi onus habeant, et sic teneantur, donec in
Montibus animalia permanserint, convocare Commune praedictum quotiescunque opus
fuerit, cum onere etiam saltuariandi Montes, donec ipsa monticatio durabit.
8. Item quilibet electus Magister in Monte, necnon Duarius, vel Collector teneatur officium suum exequi, et si nollet exercere, perdat Vadiam, quae unicuique ipsorum accipiatur, et possit Maricus illum, vel illos recusantes cogere usque ad tertiam Vadiam.
9. Item,
quod nullus Pastor posssit, nec valeat recedere a Montibus durante monticatione
Animalium sine verbo, et licentia Duarii, vel Gregarii, qui pro tempore fuerit,
et quatenus auderet aliquis discedere, ille talis poena unius Vadiae multetur,
et nihilominus in dictos Montes reverti cogatur.
10. Item,
si quis Pastor iussu Duarii, vel Gregarii a Montibus in planum se contulerit,
teneatur, et debeat eomet die in montem redire hora debita mulgendi animalia, et
si ad tertium saltem mulctrum non comparverit, auferetur sibi de eius numero
ovis una, quae interficiatur.
11. Item
statutum, et firmatum fuit, quod prima Fabula de Giei Regulatus de Ultrarino
numquam aperiri debeat, sed clausa semper maneat toto tempore anni, cum hac
tamen declaratione, quod quilibet Regulerius pascere possit animalia sua super
possessionibus suis, et non alienis, et qui contrafecerint cadant pro prima vice
ad poenam unius Vadiae, pro secunda duarum Vadiarum, et pro tertia vice ad
poenam trium Vadiarum cum refectione damni dati.
12. Item,
quod Fabula de medio claudatur, et clausa de caetero intelligatur omni anno in
die Sancti Georgii usque ad Festum omnium Sanctorum, et contrafacientes cadant
ad poenas in praedicta prima Fabula expressas.
13. Item, quod tertia, et ultima Fabula claudatur, et clausa similiter
intelligatur per dies octo post Festum Sancti Georgii usque ad Festum Sancti
Lucae, et ita observetur de caetero sub poenis ut supra descriptis occasione
aliarum Fabularum. Declarando,
quod in suprascriptis tribus fabulis Regulerii, et Vicini dicti Communis
habeant, et habere debeant transitus solitos cum Bobus iunctis, et
disiunctis.
14. Item quod pro quolibet numero
Bestiarum in damno repertarum in Regulatu de plano solvat Dominus dictarum
bestiarum Communi de Ultrarino, sive eius Marico soldos Quadraginta quinque
parvorum, et etiam omne damnum solvat iuxta aestimationem per Maricum, et
Laudatores fiendam. In montibus vero praefati Communis si damnificatum fuerit,
amittat damnificator Arietem pro quolibet grege bestiarum, et videatur damnum,
quod solvere debeat patronus dicti Gregis.
15. Item, quod pro aliis animalibus
infra declarandis in damno repertis Domini ipsorum teneatur solvere Communi,
sive eius Marico poenas subnotatas, ultra refectionem damni ut supra fiendam ad
instantiam damnum passi, et hoc toties quotis etcetera. Pro pari uno Boum
solvant Soldos Viginti interdiu, noctu vero Soldos Triginta parvorum. Pro quaque
Armenta Soldos Viginti. Pro Sue Soldos totidiem. Pro quolibet Equo, et Equa,
Mulo, et Mula soldos Viginti.
16. Item si
Animalia Forensium, vel aliorum, qui Vicini, aut Consortes non forent dicti
Communis vagarentur, aut manerent in Regulatu ipsius Communis, Domini ipsorum
animalium teneantur solvere eidem Communi omni die Soldos Viginti quatuor pro
quolibet animali cuiuscunque generis, et ad damna data esarcienda, possintque
pignorari ex dicta causa animalia praedicta.
17. Item,
quod nullus alius particularis Vicinus, et Regulerius praedicti Communis audeat,
aut praesumat ullo vel imaginabili color, et praetextu monticare aliqua animalia
cuiuscunque generis de ratione Forensium, et aliarum personarum non existentium
de numero, et consortio praefati Communis, et si quis contrafecerit, solvat
Communi libras tres pro quolibet Bove, Armenta, Equo, Mulo, Vitulo, Capra, et
Pecude, et alia quacunque Bestia, et ulterius omnia praedicta animalia statim de
montibus deducantur sumptibus illorum, qui ea monticarunt, quantenus ipsi ad id
faciendum intimati non parverint.
18. Item,
quod quilibet Regulerius, et Vicinus habens in Monte pecudes decem, teneatur ac
debeat habere etiam cum ipsis pecudibus Hyrcum, vel ut vocant Asconem, et si non
habuerit, solvat Vadiam, et nihilominus etiam in termino tridui Asconem
mittat.
19. Item, quod quilibet Regulerius
habens tres Oves a Lana, sive Sterpas teneatur, et debeat Saltariam facere, et
contrafaciens perdat Vadiam, et nihilominus eam faciat.
20. Item,
quod nullus audeat e Montibus aliqua animalia ducere ante tempus sine verbo, et
licentia Communis, et si quis contrafecerit, ei Vadia una auferatur pro quolibet
animali, et cogatur denuo mittere animalia in Montem.
21. Item,
si quis postquam monticatum fuerit, tenuerit in plano aliqua animalia perdat
Vadiam pro quolibet animali, et cogatur etiam monticare dicta animalia.
22. Item,
quod nullus audeat, vel praesumat tenere in hoc Regulatu de plano bestias
alienas nisi pro unica tantum nocte; et si quis Capras, Oves, Agnos, et alias
bestias conduxerit, solvat Soldos Quadraginta pro quolibet animali, et totidiem
similiter solvat ille, qui dictis animalibus hospicium dederit, salvo tamen si
tenere, et pasceret cum foeno.
23. Item,
quod nemo audeat in praedicto Communi gestare extra domum falculam messoriam,
vulgo Sesolam nuncupatam, ante Festum Sanctorum Hermachorae, et Fortunati, et si
quis persona reperta fuerit cum dicta falcula solvat Soldos Viginti pro qualibet
vice.
24. Item,
si quis inventus fuerit in pratis, et campis cuiuscunque persona ad
dadmnificandum quoquo modo, amittat Soldos Viginti pro qualibet vice, et
teneatur etiam ad refectionem damni dati, et quod pro qualibet Capra, et Ove
reperta in damno, patronus dictorum animalium solvat Soldos quinque, et damnum
reficiat.
25. Item,
si quis vias aliquas dicti Communis quovis modo obturaverit, et ut vulgo dicitur
infrataverit, perdat illico valorem duarum Vadiarum, et teneatur statim amovere
omnia impedimenta ex viis praedictis.
26. Item,
si quis Vicinus, et Regulerius iussus praestare operis vel a personis, vel a
Bobus pro Viis dicti Communis aperiendis, purgandis, et reficiendis, necnon pro
Pontibus construendis, vel reparandis, et parere neglexerit, solvat, et solvere
cogatur pro qualibet vice Soldos Triginta, et nihilominus praestare operas
teneatur.
27. Item, si quis Trasiam in locis
suis solitis non fecerit, cum intimatus fuerit, amittat Soldos Quindecim,
idemque intelligatur de qualibet Clausura.
28. Item, si quis castraverit
Taurum ante tempus, amittat Soldos Viginti.
29. Item, si quis sit ausus
fraudare Rotolum Armentarum solvat Vadiam, et nihilominus rotulum ispum
recuperet.
30. Item, quod nemo audeat
disiungere Boves in Gayo ante Festum Sancti Danielis, et si quis disiunxerit
extra suas possessiones, et loca perdat Soldos Viginti.
31. Item, si quis ex Regula
Armentas habens, Taurum non haberet, possit et valeat, cum opus erit, accipere
Taurum alterius Vicini, exbursando tamen pro qualibet armenta Soldos quatuor
patrono Tauri, et mittere patronus debeat Taurum cum armentis illius, qui Taurum
non habet.
32. Item, quod quilibet de Regula
non ponens Vitulos suos in rotulo, sed permittens illos vagari, et, ut dicitur,
ad Traina ire, incurrat poenam Soldorum octo pro quolibet Vitulo, et hoc toties
quoties contrafactum fuerit.
33. Item, quod nemo audeat
accipere extra Rotulum aliquam Armentam, et si quis contrafecerit, solvat soldos
Octo pro qualibet armenta, et nihilominus teneatur eam mittere in rotulum.
34. Item, si quis retinere vellet
Domi Porcum aliquem, aut Vitulum debeat, et teneatur Rotulum Facere cum aliis
Vicinis et quilibet contrafaciens cogatur dare Soldos Decem, et nihilominus
rotulum ipsum facere.
35. Item, quod nullus audeat
secare herbas in pabulo Communis, nec in monte ante tempus videlicet ante Festum
Sanctae Mariae de mense Augusti, et si quis contrafecerit, ei irremissibiliter
auferatur poena Soldorum Quadraginta quinque, et foenum sectum sit Communis,
idemque observetur contra ipsos, qui terminos sibi datos per Communem, vel
Deputatos transire ausi sint in secando, intromittendoque se super pabulum, et
ampla Communis.
36. Item, quod nemo in Pratis, et
Possessionibus aliorum audeat cum Bobus, et curru transire post Festum Sancti
Georgii sub poena Soldorum Viginti pro qualibet vice, et solvendi damnum datum
Dominis pratorum, et possessionum.
37. Item,
si quis renuerit dare pignus alicui Saltario tam in monte, quam in plano huius
Regulatus, Vadiam Marico dare cogatur, et pignus etiam Saltario illico
tradere.
38. Item,
si quis semitam vel troyum insolitum fecerit in locis in quibus fieri minime
debuit, solvat Soldos quinque pro qualibet vice.
39. Item,
quod nulla persona audeat Panem ponere in Furnum in die Sabati, nec in vigiliis
Beatissimae Virginis MARIAE, et Sanctorum Apostolorum, et si aliquis
contrafecerit, solvat soldos decem pro qualibet vice.
40. Item,
quod nulla persona ignem ferre audeat sine Olla, et non sit minor, qui fert
aetate annorum quindecim, alioquin solvat Soldos Viginti pro qualibet vice, et
eandem poenam amittat ille, in cuius domo ignis fuit acceptus, declarando, quod
liceat cuilibet denunciare praemissam contrafactionem Marico, et Saltuario.
41. Item,
quod nulla persona possit Linum ponere in furno ad secandum, et secus faciens
perdat soldos decem, totidemque solvat ille, cuius est Furnus.
42. Item,
quod nullus Vicinus, neque per se, neque per aliam interpositam personam possit,
audeat, vel praesumat aliquo colore, ingenio, vel praetextu ampliare, et novella
aliqua facere in bonis Communalibus sine expressa licentia, et consensu totius
Communis. Et si quis contra praedicta venerit, vel fecerit, perdat sine spe
aliqua gratiae valorem trium Vadiarum, et insuper omne amplum factum amittat cum
omnibus impensis in eo factis, et amplum praedictum remaneat liberum dicti
Communis, et hoc etiam ad praeterita referatur.
43. Item,
quod quilibet incidere volens in Vizzis causa fabricandi, teneatur et debeat id
facere praevia licentia petita a Communi, et non aliter; et si aliquis
contrafecerit, incurrat poenam solvendi soldos Viginti pro qualibet ligno
inciso, et omnia ligna incisa sint, et esse debeant praefati Communis cum poena
praedicta.
44. Item,
quod nulla persona audeat in hoc Regulatu, et eius pertinentiis incidere aliquod
lignum existens subtus vias, per quas cum periculo transeunt Boves, et si quis
contrafecerit, ei statim auferatur poena soldorum Quadraginta quinque pro
quolibet ligno inciso, et sub eadem poena non incidantur ligna, ob quorum
incisionem Viae quoquo modo destruuntur.
45. Item,
quod si ab aliqua persona peteretur in Commune aliqua gratia, non possit, nec
debeat aliquis particularis surgere, dicens gratiam impartiri debere, nisi
quaesitus fuerit a Marico, vel Laudatoribus, qui primi ipsi dicere debeant
opinionem suam circa gratiam petitam.
46. Item
quilibet Regulerius habens Oves, et Capras a lacte teneatur tempore debito dare
Collectori portionem, et ratam suam Panis, sive Farinae pro victu Pastorum
Montium, et si quis recusaret, tunc dictus Collector possit, et valeat pecudem
unam interficere de ratione illius personae, quae recusaverit, et nihilominus
cogatur etiam ipsam farinam, seu panem dare.
47. Item,
si quis recusaret dare Collectori Salem pro rata, ei retineatur Caseus pro
solutione Salis non dati, et Caseus omnis sit Collectoris, qui solvat illi
recusanti soldos duos tantum pro qualibet libra Casei.
48. Item, quod quilibet Forensis
veniens habitatum in hoc Regulatu Communis de Ultrarino, debeat singulis annis
taxari in dicto Communi pro ut aequum visum fuerit.
49. Item, quod non possist aliquis
Forensis usurpare sibi ius huius Regulatus per quodcunque longum tempus, quo
steterit in dicto Communi, et volens aliquis acceptari gratiam prius obtineat a
Magnifico generali Consilio Cadubrii, et postea compareat in hoc Commune, a quo
habere debeat ex quatuor partibus tres ad minus partes ballottarum in eius
favorem, et interesse debeant in Commune omnia Capita, et gubernatores Domuum,
aliter omnis acceptatio facta contra praesentem ordinem sit omnino nulla, et
nullatenus teneat.
50. Item,
quod Iuratus Viciniae possit contra omnes inobedientes ordinibus contentis in
praesenti Laudo accipere pignora ; et si qui prima vice pignora dare eidem
Iurato recusaverint, mittantur
secunda vice Laudatores cum Marico ad accipienda ipsa pignora, et si
Laudatoribus, et Marico non obedierint; tertia vice ire debeat tota Fabula, sive
Regula ad domum dictorum inobedientium, et illis per vim auferantur pignora
iuxta antiquam consuetudinem omnibus expensis praefatorum inobedientium.
51. Appellationes autem
Terminationum, et aliarum rerum spectantium ad hoc Commune vadant secundum
antiquam consuetudinem ad Regulam, et Universitatem Sancti Stephani.
52. Item, quod si aliquis
Regulerius Pater familias moriens non relinqueret filios masculos, sed filias
tantum, filiae ipsae non possint nisi pro uno duntaxat Collonello succedere in
bonis Communalibus huius Regulatus.
53. Demum
cum opus erit secundum antiquas, et laudabiles consuetudines ire cum Crucibus
Sancti Petri ad loca de Comoelyco, teneatur quilibet Regulerius ire, seu mittere
aliquem ex suis ad sociandum dictas Cruces, et si quis defecerit, solvat pro
qualibet vice soldos decem, salvo tamem iusto impedimento.
54. Viae
vero, per quas antiquitus consueverunt pecudes, et alia animalia Communis de
Ultrarino transitum habere, dum ducuntur tempore aestivo ad communes Montes
Londi, Dignasi, et Dopleti sunt isti[14], videlicet
55.
Pecudes, et Caprae, et alia id genus animalia Villarum Sancti Petri, et
Stavelli incipiunt transitum habere a loco vocato Val de Stavel, et inde post
Tabulatum Ser Floriani de Paulo sursum tendendo usque in Pratum de Midiglie, et
ab ipso Prato recta usque ad Fontem de Colle, sive ad Avarram vocatam la Varra
de Pozzo, et inde per dizzonum usque in planum de Messedà.
56.
Pecudes, et Caprae, et alia id genus animalia Villae de Costalta
transitum habent in dicta Villa Costaltae, et tendunt per Viale commune dicti
loci, et inde usque ad locum vocatum Pramozzin, et transeunt aquam, sive, rivum
Sancti Petri, et inde euntes recta per Pratum Odorici de Suprafontana de Valle
usque ad locum plani de Messedà.
57.
Pecudes, et Caprae de Prezenaio incipiunt a dicta Villa de Prezenaio
usque ad locum vocatum in Col mul ascendendo usque ad Tabulatum de Cercenato
illorum de Pontilo, et inde usque ad Tabulatum de Pauonede illorum de Cescho
videlicet ante Stabula dicti Tabulati, et inde per stratam communem de Palùs
recta ascendendo in planum de Messedà.
58.
Pecudes, et Caprae Villae de Valle incipiunt a dicto loco Vallis, et inde
usque ad Tabulatum de Cercenato, et a dicto Tabulato in Paliùs usque ad
praememoratum planum de Messedà.
59. In quem
planum de Messedà cum perventae sunt pecudes, caprae, et sterpae suprascriptorum
omnium locorum cum custodibus suis antequam ab ipso loco discedant ipsa
animalia, et conducantur in montem, ibi de more, et antiquo instituto conveniunt
homines Communis de Ultrarino pro necessariis provisionibus faciendis circa
monticationem, et praecipue hoc ordinatur, et firmatur, quod quilibet
Regulerius, qui plura animalia minuta a lacte habet data iam in notam in die
congregationis, quae semper fit in die Sancti Viti de mense Iunii ut supra
expressum fuit, plus pascat, et pascere debeat ; et ad obviandum fraudibus
decretum ab antiquo fuit, quod si quis post Festum praedictum Sancti Viti
videlicet post Fabulam, ut dicitur, bannitam in illo die, auderet emere aliqua
alia animalia minuta a lacte, vel cum aliquo permutare, ille talis Pastorem in
montem mittere nequaquam possit, et valeat, et etiam ultra amissione eius
Pastoris, quod omnis Caseus, qui in dictum suum Pastorem pervenire debeat,
perveniat in personam illam, quae habuerit plura animalia a lacte.
60. In
praedicto loco plani de Messedà, ubi Fabula hominum praedicti Communis singulis
annis, et statuto die congregatur occasione ut supra, defertur ibi solenne
iuramentum a Marico omnibus Custodibus monticationis illius anni videlicet
Magistro, Duario, Gregario, et Caprario de sincere, iuste, et fideliter
regendis, et gubernandis omnibus animalibus eorum custodiae et curae commissis,
et ut omnes Caseos, aliasque res cum summa diligentia, et fide servent, et
custodiant pro beneficio pauperum, et divitum aequaliter.
61. Item
viae pecudum, et sterparum euntium a plano de Messedà ad montes Londi, Dignasi,
et Dopieti sint istae ; et primum ad montem Londi incipiunt a dicto plano, et
ascendunt in Zovo, et a Zovo in Cengia, et inde in Montem Vissadae, et a dicto
monte in Chiopa.
62. Ad
montem vero Dignasii animalia suprascripta a dicto plano de Messedà tendunt per
loca ut supra proxime notata usque ad Chiopam de Londo, et in pezza, indeque in
Palombin, et a dicto loco in Vallem Dignasi.
63. Ad
montem Dopleti praedicta animalia utuntur viis suprascriptis, et inde a Valle
Dignasi in campum bonum, in quo loco iuxta consuetum fit pausa cum animalibus,
et inde ad planum mercatus usque ad Caseriam Dopleti, et inde tendunt ad locum
vocatum Chiachiedo[15].
64. Caprae
vero habent suas vias videlicet a plano de Messedà in Zovo, et inde in Vallem
bonam, et a dicta Valle ad Casonum Londi, et Dignasi.
65. Item Caprae euntes ad Dopletum incipiunt a dicto plano de Messedà ad Forchetam, et inde ad Borcham Vedini, et inde per transitus solitos della Zaina usque ad Dopletum.
66. Quando
vero pecudes, sterpae, et caprae descendunt e montibus habent iter videlicet a
monte Dopleti transversando per Giaum de Zotte usque ad Reguiettum, et inde a
Toffi usque ad Vallem bonam, et a dicto loco in Zovum, et a Zovo in Tamber, ad
quem locum de Tamber cum perventae sunt pecudes, sterpae, et caprae non debent
separari, aut secerni sine licentia Marici, et qui contrafacere audet, perdit
Vadiam, et in ipso loco de Tamber congregatur etiam Fabula hominum de Ultrarino
iuxta antiquissimam consuetudinem, in qua congregatione redditur ratio
administrationis factae per pastores, et alios, qui steterunt in montibus,
diligenter ab eis quaerendo, an fraudem aliquam in pastorali suo onere, et cura
admiserint, et illis praecipitur, ut descendentes e dicto loco de Tamber cum
animalibus in planum ire non debeant per transitus prohibitos, ne damna ullis
personis in pratis et campis inferantur, idque sub poenis contentis in praesenti
Laudo.
67. Item,
quod Prata de Visidende claudantur, et clausa stare debeant secundum tempora
Fabulae de medio ut supra expressa.
Ego Alexander Vecellius Perillustris quondam Domini Titiani Equitis filius de Plebe Cadubrii pubblicus Imperiali auctoritate Cadubriensis Notarius premissa omnia, et singula ordinamenta, ac Lauda alias per Deputatos Universitatis hominum de Ultrarino Centuriae Inferioris Comoelyci sancita, ac statuta, perque antelatum quondam Dominum Genitorem meum ad ipsorum requisitionem in acta pubblica relata, atque conscripta, ex originali suo pro ut stant, et iacent, nilque penitus addens, vel minuens, quod sensum mutet, vel intellectum variet, desumpsi, et in hoc praesenti Libello requisitus et ipse ab Interessatibus Universitatis praedictae omni adhibita diligentia, ac fide registravi, factaque prius cum ipsomet originali debita auscultatione me in fidem subscripsi, et solito meo Tabellionatus Insigni ad futurorum memoriam roboravi.
[14] Così nel testo.
[15] Nel testo sono presenti segni che indicano
l’inversione dell’ordine delle due frasi e quindi va letto: et inde tendunt ad locum vocatum
Chiachiedo et inde ad planum mercatus
usque ad Caseriam Dopleti.
VERSIONE
IN VOLGARE DEL PRECEDENTE
EXEMPLUM
LAUDUM ORDINAMENTORUM COMMUNIS SANCTI PETRI COMAELYCI CADUBRII
CUM EIUSDEM LAUDI INTERPRETATIONE, ADMISSIONE SPECTABILIS
COMUNITATIS ET MODER….. [16] IN FINE
1. luogo solito avanti la casa della Scuola, e quel giorno debbano esser creati i Governatori di detta Università, che il volgo chiama vesendieri, di ellegere de più provati, e più idonei nel Officio da star per un'Anno; cioè il Merico uno, due Laudadori, Saltari quatro, un Sindico del Lume di S. Pietro, ed anco del Lume di S. Bolfo di Prezenei, un Giurato del Lume di S. Pietro, ed un Monaco.
2. Parimente un Giurato delle Strade, à quali vesendieri sia datto Giuramento nella predetta Università d'esercitare sinceramente, e fedelmente i loro Carichi, ed Offici, à quali saranno elletti, e fù ordinato, e stabilito, ch'in tal giorno della celebrazione della Catedra di S. Pietro, tutti li Vicini, e Regolieri d'Oltrarino siano tenuti e debbano senza alcun commandamento, n'avviso andar alla Congregazione del detto Commun, essendo quel giorno destinato anticamente à trattar le cose premesse, e se alcuno senza alcun impedimento impedito, sprezarà di venire, sia incorso, e s'intenderà incorso alla pena di due Vadie, cioè di soldi quarantacinque de piccoli per cadauna Vadia, una delle quali subito debba esser scuossa dal Merico vecchio, e l'altra dal Merico novo, e di detta pena non sia fatta grazia ad alcuno acciò gl'altri imparino obbedire.
3. Parimente, che li Padri di Famiglia, ed i Cappi, overo li Governatori delle Case, siano tenuti personalmente venir alla Congregazione del Commun, e sé mandassero in logo loro li Figli, che detti Figli non siano admessi, e quelli che manderanno paghino al Commune soldi vinti per cadauno, e cadauna volta, salvo però sempre il giusto e legittimo impedimento.
4. Parimente, che quelli tutti, che per tempo saranno elletti Merico, e Laudadori del prefatto Commune, non possino in alcuna maniera ricusare detti Offici; Ma siano tenuti quelli accettare sotto pena de Vadie tre per cadauno d’esser levate immediatamente à quelli, che non vorano accetare, quali vadie scosse, niente di meno anco i predetti elletti siano sforzati à ricever, ed essercitar detti Carichi à loro datti, con una comminazione, e pena di esser interdetto il Fuoco ed Acqua, e privati di tutti li beni Communali, e così contra essi inubidienti sia mandata esecuzione.
5. Parimente, che quando sarà congregato il Commune cadauna Persona levando in piedi, vorà parlar qualche cosa, debba modestamente dir la sua opinione, non dando ansa, overo causa di tomulto, evero di contesa, ne dir alcuna ingiuria ad alcuno sotto pena di soldi cinquanta per cadauno contrafaciente, e per caddauna volta, e di privar tali contrafacienti per anni cinque dalla detta Faola.
6. Parimente per osservanza della vecchia consuetudine del luogo, debba anco congregarsi la prefatta Università d’Oltrarino senza alcun commandamento, ne intimazione nel giorno di S. Vido del mese di Giugno a provedere le cose molto necessarie nel, e sopra il fatto di montegare li Animali, e quelli, che sarano negligenti di venir in quel giorno, mentre potrano, perdono la vadia, la quale imediate sia tolta, e non si possa fare gracia ad alcuno. Nel qual giorno di S. Vido, congregata, che sarà detta Università, siano elletti de usanza due Saltari delle monti, uno della Villa di Costalta sempre, e l’altro delli altri Luoghi, e Ville del prefatto Commune a Rodolo.
7. Parimente che detti due Saltari delle monti, che saranno elletti abbino carico, e siano tenuti sin tanto, che li Animali saranno in montagna, convocare il predetto Commune ogni volta, che farà bisogno, con carico anco di saltariare le montagne, sin tanto, che durerà della montegacione.
8. Parimente, che cadauno sarà elletto Maestro in montagna e Diario, overo esatore, sia tenuto eseguire il suo officio, e se non volesse esercitarlo, perda la Vadia, la quale imediatamente a cadauno d’essi sia tolta, e possa il Merico quello o quelli che ricusarano sforzarli sino alla terza volta.
9. Parimente che nesuno Pastore possa, ne voglia partirsi dalle montagne, durando la montegacione delli Animali, senza parola, e licenza del Diario, e del Gregaro, quale sarà per il tempo, e quando alcuno avesse ardimento di partirsi; quel tale sia condanato con la penna d’una Vadia, e niente dimeno, sia sforzato ritornare nelle dette montagne.
10. Parimente sè alcun Pastore de comisione del Diario ouero Gregario venirà dalle montagne in Piano, sia tenuto, e debba nel medesimo giorno di tornar in montagna à ora debita di monger gl’Animali, e sé almeno non comparirà alla terza montura, li sia tolta una Pecora del suo numero, la quale sia ammazata.
11. Parimente fu stabilito, e firmato, che la prima Faola di Giei Regolato d’Oltrarino non debba mai esser apperta; Mà stia sempre serrata tutto il tempo dell’Anno; Con questa dichiarazione però, che cadauno Regoliere possa pascolar li suoi Animali sopra le sue posessioni, e non sopra quelle degli altri, e quelli che contrafarano cadino per la prima volta alla pena d’una Vadia, per la seconda due Vadie, con la refazione del danno, che sarà fatto.
12. Parimente, che la Faola di mezo sia serrata, e per l’avenire s’intenda serrata ogni anno nel giorno di S. Giorgio, sino alla Festa di tutti i Santi, e li contrafacienti, cadino alle Pene, che sono esprese nella prima favola.
13. Parimente, che la terza, ed ultima Faola sia serrata, e chiusa similmente s’intenda per otto giorni dopo la Festa di S. Giorgio sino alla Festa di S. Luca, et ita sia oservato per l’avenire sotto quelle pene descrite per occasione dell’altra Faola, Dichiarando, che nelle soprascritte tre faole, i Regolieri, e Vicini di detto Commune abbino, ed aver debbano i transiti soliti con Buoi gionti, e disgionti.
14. Parimente, che per cadaun numero de Bestie ritrovate in danno nel Regolato di piano, paghi il Padrone di quelle Bestie al Commun d’Oltrarino, overo al sia Merico soldi quarantacinque de piccoli, ed anco ogni danno paghi conforme alla stima, che sarà fatta per il Merico, e Laudadori; Mà sé sarà fatto danno nei monti del predetto Commune, perda il danificatore il montone per cadaun chiappo, overo Pastro di Bestie, e sia veduto il danno, che debba pagar il Padrone de detto chiappo.
15. Parimente, che gl’altri Animali, che qui sotto sarano nominati, ritrovatti in danno, i Padroni d’essi siano tenuti pagare al Commun, overo al suo Merico le pene qui sotto nottate, oltra la refazione del danno da esser fatto, come sopra ad instanza di quello, che pattisca il danno e ciò tante volte, quante etc. Per un paro di Buoi paghino soldi 20 di giorno; ma di notte soldi 30 di piccoli. Per cadauna Armenta soldi 20, Per un Porco soldi 20, Per cadaun Cavallo, e Cavalla, Mullo, e Mulla soldi 20.
16. Parimente se gl’Animali dei Forestieri, overo d’altri, che non sono Consorti, né vicini di detto Commun andassero vagando, overo che stasero nel Regolato di detto Commun, i Pastori d’essi Animali siano tenuti pagar al medesimo Commune ogni giorno soldi venti quattro per cadaun Animale di qual si voglia sorte, ed à risarcir i danni fatti, e possino esser pignorati gl’Animali predetti per detta causa.
17. Parimente, che nessun altro Particolar Vicino, ne Regoliero del predetto Commune abbi ardimento, ne presumi con alcun immaginabile colore, ne pretesto montegar alcuni Animali di alcuna sorte di ragione di Forestieri, e d’altre Persone, che non sono del numero, ed’in consorzio del prefato Commune, e se alcuno contrafarà, paghi la pena al Commune lire 40 per cadauno Bue, Armenta, Cavallo, Mullo, Vitello, Capra, e Peccora, e per qualunque altra Bestia, ed in oltre tutti li predetti Animali siano subito dismontigati dalle montagne a spese di quelli, che avevano montigati, mentre intimati, essi non vorano obbedire a fare questo.
18. Parimente che alcuno Regoliero, e Vicino avendo in montagna Peccore n.° dieci, sia tenuto, e debba avere anco con esse Peccore un Becco, overo, come chiamano, un montone e se non averà paghi la Vadia, e niente di meno anco nel termine di giorni trè mandi il Becco.
19. Parimente, che cadauno Regoliero avendo tre Peccore da lana overo sterpe, sia tenuto, e debba fare la saltaria, e colui che contrafarà, perda la Vadia, e niente di meno la faccia.
20. Parimente che alcuno non ardisca dismontegare dalle montagne alcuni Animali avanti tempo senza parola, o licenza del Commune; e se alcuno contrafarà, sia levata la Vadia per cadaun Animale, e sia sforzato ritornare novamente detti Animali in montagna.
21. Parimente se alcuno, doppo, che sarà montegato, tenirà in Piano alcuni Animali, perda la Vadia per cadaun Animale, e sia sforzato anco montegare detti Animali.
22. Parimente che alcuno non ardisca, ne presumi tenire in questo Regolado di Piano Bestie d’altri, se non per una note solamente, e se alcuno condurà Capre, peccore, Agnelli ed’altre Bestie, paghi soldi quaranta per cadauno Animale, e tanto paghi colui, che darà albergo a detti Animali, salvo però se tenisse, e pascesse con il fieno.
23. Parimente che nesuno ardisca nel predetto Commune portar fuori di casa la falcetta, dal volgo chiamata la sesola, avanti la Festa de santi Ermagora, e Fortunato, e se sarà trovata qualche persona con detta falcetta, paghi soldi venti per cadauna volta.
24. Parimente se sarà trovato alcuno per li Pradi, e Campi di qualunque Persona a fare danno in qualunque modo perda soldi vinti per cadauno[17] volta, e sia tenuto anco alle reffazione del danno dato, e che per cadauna Capra, e Peccora ritrovata in danno, il Patrone di detti Animali paghi soldi cinque, e riffacia il danno.
25. Parimente se alcuno infraterà alcune strade di detto commune in qualunque modo, perda immediatamente il valore di due Vadie, e sia tenuto subito levar via tutti li impedimenti dalle predette strade.
26. Parimente se alcuno Vicino, e regoliero sarà comandato a dar opera con la persona, o con Buoi per aprire le strade, purgar, reffare, ed anco per far Ponti, overo governarli, e non vorà ubbedire, paghi, e sia sforzato pagare per cadauna volta soldi trenta, e niente di meno sia tenuto dare le opere.
27. Parimente, se alcuno non farà la Transia nei suoi luoghi soliti, mentre sarà stato intimato, perda soldi quindici, ed il medesimo s’intenda per cadauna chiasura.
28. Parimente, se alcuno castrerà un Toro avanti il tempo, perda soldi vinti.
29. Parimente se alcuno avera ardimento di defraudare il Rodolo delle Armente, perda la Vadia, e niente di meno sia tenuto fare detto Rodolo.
30. Parimente, che nesun ardisca disgiongere Buoi in Giei avanti la Festa di S. Daniel, e se alcuno disgiongerà fuori delle sue possessioni, e luoghi perda soldi venti.
31. Parimente se alcuno della Regola avendo Armente, non avesse il Toro d’un altro Vicino, esborsando perrò per cadauna Armenta soldi quatro al Patrone del Toro, ed il Patrone debba mandare il Toro con le Armente di colui, che non ha Toro.
32. Parimente che cadauno della Regola, non volendo ponere li suoi Vitelli in Rodolo, ma lasciandoli andare vagando, e come si dice andar a Traina, sia incorso nella penna di soldi otto per cadaun Vitello, e ciò tante, quante volte sarà contrafatto.
33. Parimente che nessuno ardisca accetare fuori di Rodolo alcuna Armenta, e se alcuno contrafarà paghi soldi otto per cadauna Armenta, e niente di meno sia tenuto mandarla in Rodolo.
34. Parimente se alcuno volesse ratenere in casa qualche porco overo Vitello debba, e sia tenuto far il Rodolo con li altri Vicini, e cadauno contrafaciente sia sforzato dare soldi dieci, e niente di meno sia tenuto far detto Rodolo.
35. Parimente, che nessuno ardisca segar herbe nel Pascolo del commune ne in montagna avanti tempo, cioè avanti la Festa di S. maria del Mese d’Agosto, e se alcuno contrafarà, li sia levata senza rimissione la penna di soldi cinquanta, ed il fieno, segato sia del Commune; ed il medessimo sia osservato contro di quelli, che averano ardimento di passare oltre li termini à loro dati per il Commune, overo Deputati nel segare; ed intrometendosi cosi il Pascolo, ed Ampi del commune.
36. Parimente che nesuno ardisca transitare nei Pradi, e Possessioni d’altri con Buoi, e Carro doppo la Festa di S. Giorgio sotto la penna di soldi venti per caduna volta e di pagar il danno fatto alli Patroni delli Pradi, e delle Possessioni.
37. Parimente se alcuno defrauderà di dare il pegno ad alcun saltaro tanto in montagna, quanto in Piano di questo Regolato sia tentuto dare la Vadia al Merico, ed anco consegnar subito il pegno al saltaro.
38. Parimente se alcuno farà strada overo trozo insolito nei luoghi, nei quali non doveva far paghi soldi cinque per cadauna volta.
39. Parimente che nesuna Persona abbi ardimento di ponere Pane in forno in giorno di sabbato, ne in Vigilia della B.B. Vergine Maria, e di S.S. Apostoli; e se alcuno contrafarà, paghi soldi dieci per cadauna volta.
40. Parimente che nesuna Persona ardisca portar Fuoco senza vaso, e colui, che porta non sia minor d’anni quindici; Altrimenti paghi soldi vinti per cadauna volta, e la medessima penna perda quello, in casa del quale sarà accetato il Fuoco con dichiarazione che sia licito à cadauno denonciare la detta contrafacione al Merico, e saltaro.
41. Parimente che nesuna Persona possa poner lino in forno a seccare, e facendo altrimenti perda soldi dieci, e tanto paghi quello di cui è il forno.
42. Parimente che nesuno Vicino ne per se, ne per altre interposte persone possa, ardisca, ne presumi sotto alcun colore ingengo, overo pretesto, ampliare, e fare alcuna novità nei beni di detto Commune; e se alcuno contrafarà alle cose predette, perda senza speranza di alcuna gracia il Valore di trè Vadie, e di poi perda ogni ampio fatto con tutte le spese fatte in esso ampio, e l’ampio predetto resti libero di detto Commune; e ciò anco si rifferisca alle cose passate.
43. Parimente che alcuno vorà tagliare nelle Vizze per fabricare sia tenuto, a ciò far con licenza dimandata al Commune, e non altrimenti; e se alcuno contrafarà sia incorso nella penna di pagar soldi vinti per cadauno legno tagliato, e tutti i legni tagliati siano, ed esser debbano del predetto Commun con pena predetta.
44. Parimente che nessuna Persona abbi ardimento in questo Regolado, e sue Pertinenze tagliar alcun legno esendo sotto la Strada, per le quali caminano li Buoi con pericolo, e sé alcuno contrafarà li sia levata subito la penna de' soldi 45 per cadaun legno tagliato, e sotto la medessima penna non siano tagliati Legni per il taglio de quali le strade per qualunque modo andassero di male.
45. Parimente se sarà dimandata qualche gracia in Commune da qualche Persona, non possa, ne debba alcun Particolare levarsi in piede, dicendo, che sia concessa la gracia, se prima non sarà ricerca dal Merico, e Laudadori, li quali prima debbono dire la sua opinione circa la gracia dimandata.
46. Parimente Cadaun Regoliero, avendo Peccore, e Capre da latte, sia tenuto a tempo debito dare al Choietro, overo all’Esatore la sua porcione, e ratta del Pane, overo Farina per il Vitto delli Pastori delle montagne, e ricusando alcuno all’ora detto Choietro possa, e voglia ammazzare una Peccora di ragione di quella Persona, che averà ricusato, e niente di meno sia sforzato anco a dare esso Pane, e Farina.
47. Parimente se alcuno ricuserà di dar al Choietro il sale per ratta li sia ritinuto il formaggio per il pagamento del sale non dato, e tutto il formaggio sia del Choietro, il quale paghi al ricusante soldi due solamente per cadauna lira di formaggio.
48. Parimente che cadauno Forestiero venendo ad habitar in questo Regolato del Commun d’Oltrarino, debba esser tansato ogn’anno in detto Commune come parerà cosa conveniente.
49. Parimente che nesun Forestier possa usurparsi ragione di questo Regolato per qualunque tempo longo, che starà in detto Commune, e volendo alcun essere accetato debba prima ottener gracia dal Magnifico General Conseglio di Cadore e di poi compari in questo Commune, dal quale debba avere delle quatro parti almeno trè parti delle Balotte in suo favore, e debbano essere presenti tutti li Cappi, e Governatori delle Case in Commune; Altrimenti ogni accetanza fatta contro il presente ordine sia affato nulla, e non tenga alcuna esecucione.
50. Parimente che il giurato della Vicinanza possa contra tutti li innobedienti alli ordini contenuti nel presente Laudo ricevere li pegni, e se alcuni ricusassero la prima volta di dare al medessimo Giurato li pegni, siano mandati la seconda volta li Laudadori con il Merico a ricevere detti pegni; e se non ubbediranno alli Laudadori ed al Merico, la terza volta debba andar tutta la Faula, overo Regola alla Casa di detti innobedienti, e per forza siano levati li pegni conforme all’antiqua consuetudine a tutte spese delli prefatti innobbedienti.
51. Ma le appellacioni delle terminacioni, e d’altre cose, spetantisi a questo Commune, vadino secondo l’antiqua consuetudine alla Regola, ed Università di S. Steffano.
52. Parimente se alcuno Regoliero Padre di Famiglia, morendo, non lasciasse Figlioli, ma solamente Figliole, esse Figliole non possino succedere nei beni communali di questo Regolato, se non per un collonello tanto.
53. Finalmente quando farà bisogno, secondo l’antiche, e laudabili consuetudini andare con le Croci di S. Pietro alli Luoghi di Comelico, sia tenuto cadaun Regoliero andare, overo mandare alcuno dei suoi à compagnar dette Croci; e se alcuno mancherà, paghi per cadauna volta soldi dieci, salvo però il giusto impedimento.
54. Ma le strade per le quali anticamente hano consuetado le peccore, ed altri Animali del Commune d’Oltrarino avere transito, mentre vengono condote nel tempo dell’està alle montagne communi di Londo, Dignas, e Doppieto, sono questi[18] cioè
55. primo le Peccore, e Capre, ed altra sorte d’Animali delle Ville di S. Pietro, e Stavello incominciano avere il transito dal luogo chiamato Val de Stavel, e da ivi dietro del tabiado del Sig. Florian de Polo, andando in su sino al Prado di Mediglie, e da esso Prado rettante[19] sino alla Fontana di Colle overo alla Varra chiamata Varra di Pozzo, e da ivi per il Dizzono sino in Pian di Mesedà.
56. secondo Le Peccore, Capre ed altra sorta d’Animali della Villa di Costalta hano il transito nella detta Villa di Costalta, e tenendo per la strada commune di detto luogo, e da ivi sino al Luogo chiamato Pramozzin, e passano l’acqua, overo il Rino di S. Pietro, e da ivi andando rettamente per il Prado d’Odorico di Sorafontana di Valle, sino al luogo di Pian di Mesedà.
57. terzo Le Peccore, e Capre di Prezenaio incominciano in detta Villa di Prezenaio sino al luogo chiamato in Colmul ascendendo sino al Tabbiado di Cercinato di quelli di Pontil, e da ivi sino al Tabiado di Ponede di quelli di Cesco, cioè avanti le stalle di detto Tabbiado, e da ivi per Strada Commune di Palùs rettamente ascendendo in Piano di Mesedà.
58. quarto Le Piegore, e Capre della Villa di Valle incominciano da detto luogo di Valle, e da ivi sino al Tabiado di Cercenàto, e da detto Tobbiado in Palus insino al prenominato piano di Messedà.
59. Nel qual piano di Mesedà essendo pervenute ivi le Piegore, Capre, e Sterpe di tutti i soprascritti luoghi con li suoi Custodi avanti, che si partino d’esso luogo esse Animali, ed avanti siano condotti in montagna ivi de usanza, ed anticha consuetudine convengono gli Uomini del Commune d’Oltrarino per far le necessarie provisioni circa la montigazione, e specialmente si ordina, e si stabilisce, che cadaun Regoliero, ch’hà più Animali minuti da Latte già datti in notta nel giorno della Congregazione, la quale si fa sempre nel giorno di S. Vido del Mese di Giugno, come di sopra è stato espresso, pasca più, e debba pascer a levar via la Fraude anticamente è stato decretato, che sé alcuno doppo la Festa predetta di S. Vido, cioè doppo la Faola, come si dice bandita in quel giorno havesse ardimento di comprare alcuni Animali minuti da latte, overo di cambiare con alcuno, quel tale non possa, ne voglia in alcuna maniera mandare in montagna il Pastore, ed anco oltre la perdita del suo Pastore, che tutto il Formaggio, che doveva pervenire al detto suo Pastore pervenghi à quella Persona, ch’averà avuto più Animali da Latte.
60. Nel predetto luogo di Pian di Messedà, dove la Faola delli Uomini del preffatto Commune cadauni anni a giorno stabilito si congrega per occasione come sopra si dà il giuramento solene dal Marico à tutti li Custodi della montegazione di quell’Anno, cioè al Maestro, al Diaro, Gregaro, e Capraro di sinceramente, giustamente, e fedelmente regere, e governare tutti gl’Animali raccomandati a loro, ed alla loro Custodia, e Cura, e acciochè con ogni esata diligenza servino, e custodischino tutti i Formaggii, egualmente per beneficio dei Poveri, e dei Richi.
61. Parimenti le Strade delle Piegore, e delle Sterpe andando dal Pian de Messedà alle montagne di Londo, Dignas, e Dopieto sono queste, e primo alla montagna di Londo incominciano dal detto Piano, ed assendono in Zovo, e da Zovo in Zengia, e da ivi in montagna di Vissada, e da detta montagna in Chioppa.
62. Mà alla montagna di Dignas i soradetti Animali dal detto Piano di Messedà tendono per i luoghi come sopranottati insino alla Chiopa de Londo, ed in pezza, e da ivi in Palombin, e da detto luogo in Valle di Dignas.
63. Alla montagna di Dopieto i predetti Animali usano le soprascritte strade, e da ivi dalla Val di Dignas in Campobon, nel qual luogo giusta il consueto si fa pausa con gl’Animali, e da ivi al piano del mercato insino alla Casera di Doppieto, e da ivi intendono il luogo chiamato Chiachedo[20].
64. Le Capre veramente hanno le sue strade, cioè dal Piano di Messedà in Zovo, e da ivi in Val buona, e da detta Valle al Cason di Londo, e Dignas.
65. Parimente le Capre andando à Dopieto incominciano dal detto Piano di Messedà alla forchetta, e da ivi alla Borcha del Vedin, ed ivi per li soliti transiti della Zàina sino a Dopieto.
66. Ma quando le Piegore, Sterpe, e Capre discendono dalle montagne hanno la strada, cioè dalla montagna di Dopieto traversando per il Giau di Zotte insino al Reguito[21], e da ivi à Toffi insino alla Valbona, e da detto luogo in Zovo, e da Zovo in Tamber, al qual luogo di Tamber essendo pervenute le Piegore, Sterpe, e Capre non devono essere separate ne dicernute senza licenza del Marico, e se alcuno averà ardimento di contrafar perda la Vadia, e nell’istesso luogo di Tamber, si congregarano anche la Faola delli Uomini d’Oltrarino giusta all’antichissima consuetudine, nella quale Congregacione si rende conto della amministrazione fatta per i Pastori, ed altri che sono stati nelle montagne, ricercando diligentemente da essi se hano comeso qualche fraude nel suo Pastorale Carico e cura ed à quali vien comandato, azio li discendenti dal detto luoco di Tamber non debbano andar con li Animali in piano per li Transiti proibiti, azziò non siano fatti danni à niuna Persona nei Pradi, e ciò sotto le penne contenute nel presente Laudo.
67. Parimente ch’i Pradi di Visidende siano chiusi, e devano star serrati secondo i tempi della Faula di mezo, come di sopra dichiarati.
68. Io Alessandro Veccellio quondam M. Ill. Sig.n Titiano Cavalier Pubblico Nodaro di Cadore d’Imperial autorità le cose soprascritte e tutti, e cadauni ordinamenti e Laudi d’ordine de Signori Deputati e uomeni del Magnifico Commune d’Oltrarino della Centuria di Comelico di sotto hò dessonto dagl’Atti dell’antedetto quondam Signor Padre dall’originale di di lui pugno scritto in fede.
[16]Seguono alcune lettere di difficile
lettura.
[17] Sic.
[18] Sic.
[19] Sic.
[20] Il notaio non si avvede dell’inversione delle
frasi segnata nel testo latino (vedi nota n° 1 a questo).
[21] Sic: evidente lapsus calami al posto di
“Reguieto” (nell’originale in latino si legge
“Reguiettum”).
Il laudo di S. Stefano-Casada
(estratto)
Per il laudo di S. Stefano-Casada si è usato il testo latino pubblicato dall’Andrich (G. L. Andrich, Due importanti laudi del Comèlico (S. Stefano e Casada, e Caradies), “Nuovo Archivio Veneto” (Nuova serie, Vol. XXXIII), Venezia, 1917, p. 24-95. L’Andrich dice di aver usato il testo latino del laudo contenuto nella trascrizione ufficiale che nel 1717 fece il notaio Nicolò Giacomo de Zolt[22], il quale, richiestone, fece seguire la traduzione ufficiale in volgare e varie aggiunte. Il lavoro del notaio de Zolt, dice sempre l’Andrich, era contenuto in un libro dal titolo “Laudum ordinamentorum Comunis Sancti Stephani, et Casadae de Comelico Cadubrij cum eiusdem Laudi interpretatione in fine libri” conservato nell’archivio comunale di S. Stefano. Purtroppo le nostre ricerche in questa direzione non hanno dato esito positivo: il documento non si trova più e l’unica traccia rimasta dell’antico laudo è rappresentata dalla fotocopia di un estratto datato 1879 di un esemplare della trascrizione del de Zolt conservato nell’archivio della Comunità Cadorina (serie 26 n° 1). Questo estratto riguarda la sola traduzione in volgare, che risulta comunque inedita, non avendo l’Andrich ritenuto di pubblicarla in quanto fatta «generalmente de verbo ad verbum». A differenza di quanto afferma l’Andrich però, da questo estratto la traduzione risulterebbe opera del notaio Gio Batta Sacco[23], da un manoscritto dal quale il notaio de Zolt (anzi Zoldi come egli si sottoscrive) avrebbe successivamente copiato l’intero contenuto del libro succitato. Una ricerca diretta presso gli archivi della Comunità Cadorina probabilmente aiuterebbe a chiarire queste discrepanze. Altra trascrizione[24] è dovuta al sacerdote e storico cadorino Da Ronco (Vigo di Cadore 1851-1940), che fu un periodo anche in S. Stefano per il suo ministero sacerdotale). Il Da Ronco, che non dice quale sia la fonte, annota in calce alla trascrizione: «Questo Laudo, compilato, come si è detto, nel 1444, fu trascritto dalla pergamena che lo conteneva, nell’agosto del 1548, essendo marigo di S. Stefano e Casada Colucio […] di Jorio di Campolongo, e Laudadori Odorico da Puledo […] di S. Stefano e Adamo Menia di Danta. La trascrizione fu fatta dal not. Girolamo Barnabò di Domegge a Campolongo alla presenza dei testimonii Giacomo Fabbro consigliere, Giambattista q. Nicolò del Fabbro e Luigi Casanova». Come si vede, il Da Ronco non menziona la trascrizione del 1717, quasi egli avesse avuto sotto gli occhi l’originale in pergamena del 1548. Come si vedrà dalla nostra collazione, vi sono, infatti, intere frasi che mancano. Si veda in particolare l’articolo 6), nel quale manca nella versione ufficiale e nella relativa traduzione un intero periodo (riguarda l’itinerario da essere seguito dalle greie). Forse anche lo stesso Andrich ebbe modo di vedere la pergamena del 1548, poiché egli integra il detto articolo 6) col periodo mancante come fa anche il Da Ronco. Egli, inoltre, afferma essere il libro originale in pergamena «deteriorato così, che alcune parole non potevano più decifrarsi (fortunatamente non erano di nessun valore né giuridico né storico)», dando così la sensazione di averlo quanto meno consultato. Per maggior comodità di collazione fra i due testi in latino e di confronto di questi con la versione in volgare, presentiamo su due colonne affiancate la traduzione e l’originale, interpolato quest’ultimo con le varianti del Da Ronco.
[22] Cfr. ‘Notarile 1402-1859’ (Elenco dei notai
indicizzati nei registri delle parti) presso l’Archivio di Stato di Belluno:
Nicolò Giacomo (De) Zoldo fu Lorenzo attivo dal 1707 al
1758.
[23] Nel ‘Notarile’ anzidetto non figura alcun Gio
Batta Sacco. Troviamo un notaio Desacco senza indicazione di nome, del quale
presso il medesimo archivio vi è un minutario degli atti rogati in Comèlico dal
1524 al 1526, ma non sarà questi l’autore della
traduzione.
[24] Questa si trova in Biblioteca Cadorina
ms. 272, Pietro Da Ronco, “Collezione Storica Cadorina” vol. 3° Laudo di San
Stefano.
TESTO ITALIANO Queste sono le strade, e le Zude che tiene la Regola di S. Stefano, e di Casada nell’andar con le sue pecore e capre alli Monti Comuni, cioè a Dignas, Londo, et a Doppietto, come anticamente è stato osservato, e servirà a perpetua memoria. |
TESTO LATINO
(varianti Da Ronco: [parole aggiunte], | ||
1. | In primo luogo hanno stabelito, et ordinato che sendo l’antica consuetudine le Zude dei Monti vadano in questo modo, cioè, che la Regola di S. Steffano andando a Londo, e Dignas con le sue pecore, e capre, cioè quelli di Campolongo, e da Salla etc. con le loro peccore, capre, e sterpe vadano su per la Freina da Salla, e su per Corone sino al pian di Messeda. | 1. | Statuerunt
et ordinaverunt, quod viae de Monte sint et vadant per hunc modum, pro ut
antiquitus est observatum, videlicet quod Comunitas, et Regula Sancti
Stephani eundo ad Londum, et D |
2. | Secondo, che
quelli di S. Steffano con le loro peccore, capre, e sterpe vadano per il
viale, e per Caledo sino al pian di Messeda. |
2. | |
3. | Parimente,
che detti di S. Steffano, e Campolongo andando con le loro peccore, e
sterpe al Monte di Doppietto debbano andare per il viale da Sala arrivando
nel Rino di S. Pietro, andando sino sopra il Col in Ladié sino al pian di
Messeda passando per Vissada, e Londo, Dignas per arrivar a Dopietto. Ma
le capre debbano andar per la Forchetta per Visdende a
Doppietto. |
3. | |
4. | Ritornando poi dal Monte di Londo le peccore, le sterpe, e le capre vengono da Sommo Zovo arrivando al pian di Messeda. Di poi da detto pian di Messeda le peccore, e le sterpe vengono in Col di Comugnè, ed indi vengono in Col di Vianova di Costadoima, e da Costadoima le peccore vengono al maso di Stalbertoi in Sommo Federa, e indi verso mattina vengono in Costa, e da Costa in Pongo, ed indi in Col de Molin, e poi nel Giau di S. Steffano, e poi a Tamberi. Le sterpe poi da Costadoima ritirandosi vengono al Col de Zopei, ed indi vengono alli Pradi di Puledo, venendo da Costa di Mare giù in Puledo di sotto verso sera, ed passando il Rino verso mattina, ed indi vengono ad Auné arrivando in Col de Molin, d’indi nel Giau di S. Steffano, e poi a Tamberi. | 4. | In
reversione vero de Monte Londi fedae, greyae, et caprae veniunt de Sommo
Zovo |
5. | Per l’istesse Zude ritornano le peccore, e le sterpe quando vengono da Dignas giù. Ma le capre vengono dietro le peccore, e le sterpe sin al pian di Tamai, ed indi passando per Stablaosto giù vanno in Corone et in Volparia arrivando a Chiandonia per sotto il Tabiado di Chiandonia, e vanno al Giau di Freina d’indi in Col de Molin, e finalmente ai Tambari. | 5. | Et similiter per eas[dem] vias [revertuntur] fed |
6. | Da Doppietto giù le peccore ritornano per sotto Chiaron, e vanno per sopra Col da Vial delle Vacche sino nel Rino, d’indi per Coll’autin a Freina arivado, e poi per Freina a Salla, e per il Vial da Salla in Dizzon, e da Dizzon in Pezzeccucco di sopra, o di sotto, d’indi nel Giau di S. Steffano, e finalmente ai Tamberi. <Le greie invece venendo da Apleto arrivano e passano per Postauta passando sotto la casa del fu Franceschino di Costalta e dal detto luogo oltrepassando Costaponcona e Prade e da Prade a Stabiosto sopra il barco di S. Giacomo al sommo di Corone e indi giù per Volpasia e Giaule arrivando in Pezzecucco e da Pezzecucco nel géi di Santo Stefano e dal géi in Tamber>[i]. | 6. |
Et de Monte de A[m]pleto |
7. | Settimo le capre vengono dietro le peccore sino per sopra Salla, e per Sommo Crontolgo oltre arrivando in Schiausei per Giaule oltre sino in Chiandonia al Giau di Freina, et a Col di Molin, come che vengono per le altre Zude. | 7. | Caprae
vero veniunt post fedas usque per supra Sallam, et per Sommo Crontolg[o;] |
8. | Le Zude poi
che tiene il Comune, e la Regola di Casada sono le
seguenti. Primieramente stabelirono,
che quelli d’ Anta andando in Monte con libro[ii] animali
minuti vengano principiando in Col da Zovo de Longo per il Trozzo
arrivando in Col de Cojardan d’indi venendo per il trozzo discendono in
Pralongo, e da Pralongo verso sera nel pascolo per sotto il barco
arrivando al ponte di Campedello, et andando per la Trazuda vanno a Ronco
di Casada, e da Ronco per le prese di Ramacei vanno al pian di
Messeda. |
1. | Viae
autem Comunis, et Regulae de Casada [sunt illae, quas item statuerunt et
ordinaverunt, nempe]. |
9. | Le Zude di quelli di Costalissoio vanno per Zuda, ed ascendono per il Dizzon arrivando al pian di Messeda e per la cima di detti Monti di Londo, Dignas, e Doppietto andando su tengono le suddette strade, o Zude. | 2. | |
10. | Quelli di Casada andando a Dignas, e Doppietto con le loro pecore, e sterpe vanno per Vissada e per Londo arrivando in sommo Palombin, e da Palombin direttamente per il Dizzon arrivando alla Chioppa de Dignas, d’indi a Campobon per sotto la Federa vecchia di Dignàs oltre per il Dizzon vanno ad arrivare a Campobon, dove possono fermarsi, se a loro piace, e riposare senza contradizione d’alcuna persona; D’indi poi vanno per il Dizzon solito | 3. | Item
|
11. | Le capre poi dietro le pecore, e le sterpe vanno per la stessa strada sino in sommo alla Chioppa di Vissada; e d’indi verso mattina vanno a Selva fossa arrivando al Chiason, e poi per sopra per le strade solite sino alla Federa di Dignas. | 4. | Caprae vero vadunt per dictam viam post fedas,
et greyas usque in sommo Clopa de Vixada, |
12. | Le capre
similmente andando a Doppietto dal pian di Messeda vanno verso mattina per
oltre il bosco sino Sopra Costalta dal pie’ del Fronta arrivando alla Zuda
solita, e andando dal pie’ di Valsasso, ed indi per sotto fino alla
Forchetta, e finalmente per Visdende fino al
monte. |
5. | Eundo
vero caprae ad A[m]pletum a plano de Messeda vadunt versus solis ortum per
nemus ultra usque super Costaltam |
13. | Ritornando poi, li suddetti di Costalissoio, e di Casada con le loro le pecore, sterpe, e capre dal Monte di Doppietto vengono a Regojetto, e da Regojetto arrivano al Gustado di sotto di Chiaron, e da Gustado oltre oltre[iii] per la strada vengono sino in Zovo, d’indi oltre sino in Po-Costalta, e poi per il viale dell’armente per sopra la Casa del quondam Franceschino, modestamente, e con riguardo ai pradi dei Pradi per sopra l’acqua ossia Fontana de Cronte, ed indi ai pradi di Stablaosto venendo per la strada al Col de Comunè, e da ivi in giù dividendole taijse ***[iv] chiamato il spinazzo di sotto, <e vanno in sommo li paludi di Federa>[v] in giù venendo per dietro il Tabiado de Cenade verso sera arrivando al Prà della Spina e passando per il Giau arrivano al Rin di Pera, ed indi nella Villa di Casada via per la strada sino a Chioppa e poi al ponte di Campedello, e poi in Pralongo, ed indi in Palupiana, e ritornando giù vanno in Campanelle e da Campanelle ai Tamberi. | 6. | In reversione vero dictorum de Costallisoio,
et de Casada de Monte A[m]pleti omnes fedae, caprae,
et greyae, veniunt ad Rego |
14. | Le sterpe
poi ritornando dal Col di Comugnè vengono per il prado di Stalmasango per
sotto il Tabiado di Casafavagno oltre verso sera arrivano in Pra de
Stalbovolin, et in giù verso sera arrivano nel pra di Saccole in poi
Ronco venendo per la villa di Ronco giù vanno al ponte di Campedello, e
passando di là in Pralongo, ed andando di sopra, come di è detto quì
oltre. |
7. |
Greyae vero recedendo de[l] Col |
15. | Ritornando da Dignas, e da Londo giù, come si è detto di sopra vengono per la via de Rovis, e quando le sterpe sono arrivate a Stalmazango vanno a Casafavagno, et oltre ancora, come è stato detto quì oltre. | 8. | |
16. | Le pecore
veramente, venendo da Dignàs tengono la strada che è stata detta
sopra. |
9. |
Fedae vero veniendo a Degnasio per illam via ut supra scriptum est.[viii]
|
17. | E finalmente le pecore nel ritorno da Londo per la strada sopradetta vanno sino a Pra della Spina, ed indi passando per il Prado de Rocco passano il Giau per una sola strada, e vanno al Prado de Rin de Pera, che fu della quondam fu Cattarina Castola di Casada, e poi andando giù al Ponte di Ronquatrino, arrivano nel Prado di Canin da Casada in Zopei, ed indi alla Chiesa[vi] di Sopra, e finalmente ai Tamberi. | 10. |
[ix]Fedae
autem veniendo de Londo per supradictam viam usque ad pratum della Spina, et
illinc veniendo per pratum de Roco tran |
[i] La versione in volgare è
mia.
[ii] Così nel
testo.
[iii] La ripetizione è nel
testo.
[iv] *** parole mancanti nella
traduzione notarile.
[v] <…> manca in
originale.
[vi] Così nel
testo.
[vii] <…> annota l’Andrich:
«Questo tratto da “Greyae vero” fino
a “Tamerum” non figura nella versione
ufficiale».
[viii] Articolo mancante in Da
Ronco.
[ix] Art. 9 in Da
Ronco.