Tratto dalla pubblicazione dell'Istituto
Bellunese di Ricerche Sociali e Culturali - serie "Storia" n. 24
Relazione
dei Parroci della
Diocesi di Belluno e di Feltre
Sulla
occupazione nazista
Dal 1943 al 1945
(relazione di don
Nicolò Bortolot-Pievano -Vicario Foraneo -Santo Stefano di Cadore,30 Giugno 1945
)
Parrocchia di Santo Stefano di Cadore
RELAZIONE SUGLI AVVENIMENTI PRINCIPALI OCCORSI NEL PERIODO
DI OCCUPAZIONE TEDESCA DAL SETTEMBRE 1943 AL MAGGIO 1945
Dal Settembre 1943 al Maggio 1945 sono passati venti mesi di
sofferenze, di spaventi, di preoccupazioni che nella storia recente non trovano
alcun riscontro; venti mesi saturi di avvenimenti, che, se si fosse tenuto conto
giorno per giorno, basterebbero a riempire un volume Noi ci limiteremo a un po'
di cronaca severa e imparziale dei fatti principali che ricordiamo perchè
ci accaddero da vicino e che forse non sarà inutile ricordare.
Molti altri paesi - notiamo subito - hanno sofferto ben di più della Parrocchia
di Santo Stefano di Cadore; per cui è convinzione generale che la Protezione
celeste non ci sia mai mancata. E di questo siamo grati a Dio e alla Vergine
SS.ma del Rosario. Ciò nonostante i segni della guerra che è passata vicino a
noi, sfiorandoci appena, resteranno impressi a lungo nella nostra piccola
storia.
8 Settembre 1943
Dichiarazione di armistizio. Dal 25 Luglio questo avvenimento era stato atteso,
o previsto, o temuto; perciò, chi gode e chi si preoccupa grandemente. Il
presidio militare della GAF, dapprima incerto, si mette poi in allarme, pronto a
difendersi, se occorrerà, contro l'invasore.
Alla fine il Comando verrà invece a patti senza sparare un colpo e senza
dimostrare valore.
Intanto, il giorno seguente, in paese l'agitazione cresce: molti fuggono verso
il basso con tutti i mezzi, nella tema che i tedeschi discendano da Monte Croce.
Il Ten. Colonnello del presidio ordina ai suoi soldati - alcune centinaia con
reparti di artiglieria - di far la copertura del fronte. La sera il panico
causato da false notizie è indescrivibile. Il Comando non sa cosa fare. Si dice
che i germanici discendono verso Candide. Qualche ufficiale e qualche soldato mi
chiedono l'assoluzione per la strada prevedendo prossimo il combattimento. I
nostri uomini sono tutti fuggiti ai monti. Le donne non vogliono andare a letto
e si rivolgono a me per consigli e protezione. Intanto si prendono d'assalto i
magazzini del deposito e si fa man bassa di tutto quel che può capitare sotto
mano: generi alimentari, vestiario, biancheria quanto può essere utile è
asportato, dietro l'esempio dei soldati e degli ufficiali che poi si
squagliano. Il saccheggia lascerà in paese molto malcontento. La notte
però non porta novità e soltanto il giorno seguente o il successivo gli animi
si distendono e gli uomini ritornano, al susseguirsi di notizie meno
preoccupanti e all'arrivo dei primi germanici che prendono subito il controllo
del paese e dei paesani che provengono dalle file del disciolto esercito italiano
L'autunno e l'inverno sono passati relativamente calmi e senza scompigli di
molta entità. Caratteristica di questo periodo è stata la continua
peregrinazione della gente verso la bassa in cerca di viveri, specie di grano.
Con moli sacrifici il paese ha il sufficiente per sbarcare il lunario. La
gendarmeria in questo primo inverno non ha mai molestato alcuno.
La comanda un maresciallo delle SS che si vanta di aver ucciso di sua mano, in
un sol giorno un migliaio di ebrei. Imperversa il mercato nero. Le famiglie sono
preoccupate per la mancanza di notizie dei rimasti prigionieri od oltre il
fronte.
Alla festa dell'Immacolata si emette con grande fervore il voto proposto dal
Vescovo; voto che sarà periodicamente rinnovato.. La guerra è ancora lontana e
si fa sentire solo indirettamente. Scarseggiano i mezzi di comunicazione e viene
a mancare quasi del tutto la stampa nostra. Anche le coscienze si annebbiano e
la fede, anzichè aumentare, viene meno. La frequenza alla chiesa e ai
Sacramenti è stazionaria e si ravviva appena alla morte del Vescovo Catarossi.
Tra un'alternativa di speranze e di delusioni giunge intanto la primavera.
In primavera si sente dire delle prime formazioni di partigiani anche sui nostri
monti. L'organizzazione prende piede ogni giorno di più e molti dei nostri
giovani vi prendono parte col favore anche dei Sacerdoti. La zona però è
ancora sotto la giurisdizione delle bande della Carnia di colore prettamente
rosso. A Santo Stefano anche un Comitato di liberazione si è costituito e
lavora. L'Autorità comunale si trova a disagio dovendo salvare capra e
cavoli e cioè fare gli interessi della popolazione e non urtare né tedeschi,
né partigiani; ma infine si comporterà fino alla fine in modo degno di ogni
encomio.
Turbò molto l'opinione pubblica un delitto consumato da uno pseudo partigiano a
scopo di rapina il 3 Luglio ai danni della persona del mutilato invalido di
guerra Menia Paolo, trovato cadavere nel fienile di sua proprietà. Degli indizi
portarono alla individuazione del colpevole certo Pomarè Florindo della Borgata
Cunettone, il quale venne acciuffato dai partigiani e processato per
direttissima nella sala della Pretura di Santo Stefano durante la notte del 6
Luglio 1944; e dopo essere stato munito dei conforti religiosi, venne fucilato
nei pressi del cimitero, assistito dal sottoscritto, poi sepolto a Campolongo
con la commiserazione dei suoi. Doveva essere affetto da alienazione mentale
incorsa a causa della guerra in Grecia. L'episodio inasprisce l'avversione
esistente da lunga data tra le due frazioni di Santo Stefano e Campolongo.
Durante l'estate nulla di particolarmente degno di nota. Passano ogni giorno gli
apparecchi alleati e noi li guardiamo con divertente curiosità Si sente dire
che i partigiani visitano di notte, or questa or quella casa per prelevare
generi e denaro; e anche - perchè non dirlo? - per intimidire e spaventare le
persone. Le maniere non sono sempre le più corrette; le estorsioni provocano
dei malumori; anche la loro condotta morale lascia alle volte a desiderare. Da
questo punto si comincia passare il segno.
In Agosto la tensione tra tedeschi e partigiani si fa più acuta; si fanno
saltare ponti, si molestano le milizie regolari nelle loro caserme. Data
l'occasione, i tedeschi vengono attaccati nelle strade o quando stanno
recuperando o trasportando qualche salma, come avvenne a Presenaio i primi di
Settembre. Vi fu una giornata di lotta; alla sera i partigiani ebbero ragione e
fecero prigioniero l'ufficiale coi suoi soldati. A Santo Stefano si
diffuse la notizia che i tedeschi venivano in forze per una spedizione di
rappresaglia; e allora altro esodo generale della popolazione maschile e panico
dei rimasti. Solo l'autorità comunale e i sacerdoti sono al loro posto.
Qualche giorno dopo mi si consegna la salma di un partigiano della Parrocchia
morto in combattimento a Domegge e trasportato a Campolongo per via Razzo dai
suoi compagni: tale Buzzo Gino di Pietro, che sono costretto a inumare in quel
cimitero. Nessuno si fida a intervenire alla mesta e pietosa cerimonia; sono
tanto solo, che sono costretto ad aiutare il necroforo a calare il cadavere
nella fossa. Ho anche un lungo colloquio con il capo dei partigiani, denominato
con nome di battaglia "Alberto", il quale insiste per avere un
Sacerdote in banda - lui comunista! - e mi comunica che ha l'intenzione di
attaccare il presidio di Santo Stefano della gendarmeria fra qualche giorno. Io
mi adopero a tutto potere per dissuaderlo, onde evitare disastrose conseguenze
al paese. E il presidio non verrà attaccato.
Mi si parla anche di spionaggio esistente al capoluogo a favore del nemico. Io
non condivido tale opinione; ma il giorno seguente alcuni notabili del luogo
sono prelevati e portati in montagna a Casera Razzo. Si dubita che ritornino
vivi. Dopo alcuni giorni di interrogatorio, di maltrattamenti e di
intimidazioni, tutti ritornano. Il trattamento più duro lo dovettero subire un
appuntato dei Carabinieri e un Ten. Colonnello che comandava il presidio della
GAF alla caduta del R.Esercito. I loro racconti confermati da testimoni fanno
rabbrividire per le scene di ferocia e di barbarie cui furono sottoposti. Io
credo che anche il sottoscritto abbia avuto un merito, anche piccolo, per
salvare la loro vita, nel senso che si interpose con lettere e in altri modi in
loro favore.
Ho dovuto anche interessarmi per lo scambio di prigionieri fra le due parti in
contesa. Dopo elaborati preliminari e rischiose lunghe trattative, i rispettivi
comandanti si incontrarono in canonica nel mio Ufficio, e patteggiarono; ma al
momento degli scambi i patti non furono mantenuti dai partigiani, per cui ebbi a
temere per me e pel paese.
Dovetti anche temere per un proditorio assalto a un convoglio che scortava uno
dei nostri di Campolongo - tale De Zolt Silvio - deceduto a M. Croce e sepolto a
San Candido, poi, per l'interessamento della famiglia, riesumato e restituito
dai tedeschi alla stessa per la sepoltura in paese. I soldati della Wehrmacht si
prestarono al trasporto e io stesso facevo parte al convoglio che venne
assaltato all'angolo della chiesa di San Giacomo. Soltanto dietro nostro
interessamento furono restituiti uomini e mezzi. Ma quali saranno le
conseguenze? - In seguito, per le segnalazioni della gendarmeria, giunge nel
capoluogo un contingente di circa 2000 uomini a scopo di rastrellamento. Si
temono ormai le feroci rappresaglie che sono nel sistema teutonico.
Da questo momento per il Comelico cominciano i guai.
Il 12 Ottobre 1944 fu forse la giornata più nera.
Noi Sacerdoti alzati di buon mattino, siamo impediti di recarci a celebrare la
Santa Messa, perchè, ci si dice, il paese è in stato di assedio per una
"operazione". I soldati si sono appostati dovunque, sbarrando le vie
d'uscita dal paese e controllando le abitazioni con armi di tutti i calibri.
Sono dappertutto, persino in campanile. Si dirama l'ordine che tutti gli uomini
devono trovarsi in Piazza per le ore 8. Eseguito l'ordine, pattuglie
armate perquisiscono minutamente e frugano tutte le case. Altrettanto avviene a
Campolongo e verso Casada. Dei concentrati in piazza, che sono centinaia, si
esaminano i documenti; i più sono rilasciati durante il giorno, ma alcuni sono
anche trattenuti e rinchiusi nella sala del cinematografo del Dopolavoro.
Le autorità e il medico locale molto si prestarono per liberare anche quelli,
ma purtroppo una trentina, qualche giorno dopo, dovette partire per il campo di
concentramento di Bolzano e per la Germania. Verso mezzogiorno di quello stesso
12 Ottobre, ci accorgiamo di dense colonne di fumo che salgono in più punti a
Campolongo. Si sospetta di che si tratti, si chiede di potervi andare, ma
invano. Il primo a ottenere è il sottoscritto, verso le tredici. Alla Borgata
Cunettone incontro le colonne dei rastrellati che vengono condotti verso Sato
Stefano. Lo spasimo più atroce si legge sui loro volti. Quale sarà la loro
sorte? Intanto le loro abitazioni bruciano. Sei case al mio arrivo ardevano
ancora. Un giovane - tale De Zolt Arturo - era stato ucciso a colpi d'arma da
fuoco a bruciapelo, sul greto del Piave e nessuno fino a quel momento aveva
potuto avvicinarsi. Gli abitanti rimasti, donne e fanciulli specialmente, erano
a portare la loro opera di soccorso e spegnimento dove il bisogno era maggiore.
A sera una trentina d persone erano sul lastrico. Ma subito si pensò a loro; e
furono collocati bene e soccorsi dal Comune, dalla popolazione che si mostrò
veramente solidale e dall'opera di soccorso organizzata in Parrocchia dai
Sacerdoti. Da quel giorno periodicamente la stessa operazione si ripeterà in
tutti gli altri paesi del Comelico con maggiore o minore spietatezza. I Parroci
molte volte mi pregano di accompagnarli dal comando per trattare gli interessi
dei loro fedeli e dei loro paesi, specialmente per liberare il maggior numero
possibile di detenuti al Dopolavoro destinati ai campi di concentramento.
Il 4 Novembre si ebbe il primo bombardamento di Santo Stefano. Eravamo stati nel
Cimitero dei caduti per l'annuale funzione di suffragio, quando cominciarono a
passare gli apparecchi. Alle 11.45 circa, un sibilo, poi una detonazione e altre
ancora.
Quando aprimmo gli occhi il paese era coperto da una densa nuvola di polvere e
fumo. Otto bombe, o forse più, erano state sganciate sulla via di San Candido e
via Venezia senza provocare gravi danni e senza fare delle vittime. Tre uomini
trovarono la morte per uno scoppio ritardato e un edificio crollò per uno
scoppio avvenuto durante la notte. Da quel giorno non si potrà più stare
indifferenti al passaggio degli aerei, ma al primo allarme sarà tutto un
fuggire dal paese.
Il secondo bombardamento avvenne il 22 Febbraio. Il mio Cooperatore don Riccardo
Strim arrischiò la vita sulla via di Costalissoio, verso mezzogiorno. Anche
questa volta le bombe furono una decina. Due scoppiarono a lui molto vicine: una
a circa otto passi e l'altra a venti, coprendolo di terriccio e di polvere, ma
lasciandolo illeso e in piedi. Il giorno seguente celebrò una santa Messa di
ringraziamento per lo scampato comune pericolo.
Il terzo avvenne nel Marzo a un mese circa di distanza: due bombe caddero a
cento metri, parte per parte della canonica. Nessuna vittima e pochi danni:
saltarono migliaia di vetri, molti anche della chiesa e della canonica, la quale
subì anche qualche piccolo danno.
Arriviamo così ad Aprile e alla fine delle ostilità. In canonica fu costituito
un nuovo Comitato di liberazione e si trattarono i primi problemi per quando la
fine si fosse profilata all'orizzonte; e nulla fu fatto in quei giorni, senza
interpellare il Parroco. Andai anche con altro messo a chiedere la resa, ma
invano, il mattino del 2 Maggio. Verso mezzogiorno una macchina giunse con dei comandanti che portavano l'ordine di resa
per le ore 14. Alle 14 furono suonate le campane ed esposte le bandiere
tricolori. Una suora dell'Asilo arrischiò la vita, presa di mira da un
ufficiale tedesco, mentre esponeva il tricolore. La sera fu abbastanza calma.
Durante la notte cominciarono di nuovo i saccheggi dei depositi e delle colonne
di passaggio. Il giorno 3 Santo Stefano corse il suo rischio più grave. I
tedeschi erano ormai partiti per Monte Croce, quando un generale li raggiunse e
ordinò loro di tornare indietro a riprendere le armi per consegnarle, non ai
partigiani, come avevano fatto, ma alle truppe regolari degli alleati quando
fossero giunti. Si sarebbero anche vendicati di qualche maltrattamento
subìto in quei giorni. Alla notizia dell'arrivo di ritorno delle colonne -
erano circa 700 - grande panico nel capoluogo: gli uomini corrono alle armi e si
inizia un combattimento con fucili e mitragliatrici. Dopo pochi minuti il fuoco
cessa e i tedeschi si arrendono: vengono disarmati e perquisiti nei
cortili della nuova caserma e consegnati poi agli americani, giunti verso le ore
diciotto.
Solo alcuni feriti dovetti assistere, tedeschi e partigiani, e poi curarli in
quella sera; dovetti anche proteggere dai maltrattamenti - per quanto mi fu
possibile - i tedeschi disarmati. Essi furono portati via con le macchine alcuni
giorni dopo.
La nuova Amministrazione si insediò in municipio il giorno 4; e i giorni
seguenti cominciarono ad arrivare i nostri primi internati e prigionieri. Fu
costituito un Comitato di Assistenza di cui tenne la presidenza il sottoscritto;
e a ciascun rientrato in famiglia venne offerta la somma di Lire 500,00, insieme
con trecento decimetri cubici di legname in tavole e un buono di generi
alimentari, oltre ad altre provvidenze per i più bisognosi. Non avvennero scene
di vendetta e di sangue; invece fu da deplorarsi una organizzazione di feste
danzanti in serie il cui seguito non è ancora giunto a termine e le cui
conseguenze si sono dimostrate e saranno molto amare.
Altro fatto deplorevole, a cui credo di dover accennare, avvenne la domenica 6
Maggio prima ancora di cantare il Te Deum della Liberazione. Durante la Messa
grande la chiesa venne assediata dai partigiani in armi. Vennero puntate le
mitragliatrici contro le uscite; qualche armato entrò in chiesa per frugare
confessionali e sagrestie col pretesto di eseguire un rastrellamento. La gente
fu costretta a uscire per una uscita obbligata e passare dinanzi a un plotone
armato di controllo. Il sottoscritto fece le sue proteste più energiche, ma non
ebbe soddisfazione alcuna, per cui fui costretto a mettere la cosa nelle mani
del Vescovo.
Ora si va ritornando alla normalità. E vogliamo sperare che Iddio giusto e
misericordioso vorrà pesare i sacrifici e le privazioni di questi anni di
guerra e di sofferenza e risparmiarci ulteriori sciagure. Il che potrà avvenire
solo se gli uomini delle amare e dure esperienze della guerra sapranno fare
tesoro.
Santo Stefano di Cadore, 30 Giugno 1945
don Nicolò Bortolot
Pievano - Vicario Foraneo
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