dal libro "CON I MIEI RAGAZZI"
della maestra Élia De Lorenzo Tobolo (1993)
" ....vuol essere un omaggio......, ai miei ex allievi e alle loro famiglie.....che mi furono affettuosamente vicini nella mia lunga carriera scolastica"
(la maestra ricorda anche il suo lavoro a Costalissoio)
Costalissoio
Costalissoio, a differenza
di S. Nicolò, era un paese povero, diviso come ora in due parti da un breve
torrentello che vi scorre in mezzo e che per lo più è asciutto. Chi lo vede
oggi lindo, curato, con belle case e belle strade, con negozi, bar, e una
corriera che giunge giornalmente per portare persone e posta, non sa che cos'era
nel 1927 e come vivevano i suoi abitanti di cui soltanto qualcuno, molto raro,
si distingueva per modi e per abitudini. |
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Abitavo nell'unica osteria del paese con un collega giovane
al pari di me, Enrico Lorenzi di Cortina d'Ampezzo. La sera veniva a tenerci compagnia il parroco, don Angelo Arnoldo, che ci raccontava dei soldati morti sulle nostre montagne nella guerra '15-'18 ed i cui resti egli andava raccogliendo. Erano storie di pietose salme e di povere ossa, a cui difficilmente si poteva dare un nome, che egli radunava e portava dapprima nella sua canonica, coprendole col tricolore, poi nel Cimitero militare di Santo Stefano, che proprio per questo fu costruito in quel periodo. |
Per questa sua vita di volontario errare alla ricerca di
misere spoglie, in quali condizioni egli si trovasse ci è facile immaginare,
gli era necessario un qualche minimo aiuto, che trovava fermandosi ogni tanto a
un'osteria dove un bicchiere di vino o un "cicchetto" di grappa lo
rincuorava e gli ridava fiato e ottimismo. Si racconta addirittura che il mulo
che cavalcava pei suoi viaggi sulle montagne, appena arrivava in paese, si
fermava da solo davanti alle abituali osterie, Don Angelo diventava allora anche
allegro e "biondassi" erano per lui tutti i militari: i miei "biondassi"
erano i carabinieri che incontrava e pregava di chiuder un' occhio se in paese i
giovani facevano qualche ballo senza permesso; "biondassa" fu chiamata
addirittura la Madonna in una predica a Candide: era la festa dell'Assunta (15
agosto) giorno in cui la statua della Madonna lascia la sua nicchia abituale per
il centro della Chiesa, attorniata da fiori, ceri e drappeggi. Di passaggio in
Comelico Superiore e pregato di tenere l'omelia nella Messa solenne, don Angelo
esordì con: "Vardéla là la me biondassa, in mezzo alla chiesa, tra voi,
per darvi aiuto e conforto...". La gente a queste uscite sgranava gli
occhi, ma le accoglieva con tanta benevolenza perchè tutti lo conoscevano e lo
amavano.
Io ricordo la comicità di alcuni suoi racconti, in
particolare l'avventura capitatagli una volta con un poveraccio di Santo
Stefano, conosciuto con il nome di Pitanzio, il quale spesso, di notte, forse a
suo modo divertendosi, sostava sotto la Canonica e cantava il Miserere.
"una volta mi sveglio - è lui che racconta - e sento
sotto casa il solito canto da morto di Pitanzio. Mi alzo e, in mutande (a
leto no vado miga col pivial!) esco, lo acciuffo e lo faccio rotolare lungo
la scarpata che scende dalla strada davanti alla Canonica, poi torno a letto. Ma
non ero tranquillo (Sta a veder che l'ò copà!) esco di nuovo e sento
che viene su pian piano, arrancando e brontolando. Bene, l'è vivo. Torno a
letto finalmente in pace". Da allora il Miserere cessò. La lezione
era servita.
A fine anno scolastico venne a salutarci e a ringraziarci per
il lavoro svolto a favore dei bambini, si accomiatò con molta cordialità,
baciò il maestro e mi porse la mano dicendo: ""A éla l baso lo
darà un toso, mi no posso, son un prete".
Di questo sacerdote così caratteristico e unico nel suo
genere si potrebbe scrivere un volume intero, tanti sono gli episodi e le opere
e tanto copiosa e prodiga è stata la sua vita.
.........(a don Angelo è dedicata una specifica pagina
in questo sito: "Personaggi")
I
bambini della scuola di Costalissoio erano buoni... . Ricordo tanti zoccoli
d'inverno, e tanti piedini nudi nella buona stagione; e ricordo giacche e
calzoncini ciondolanti e logori tra i quali i rigori invernali
giocavano a nascondino senza curarsi dei bimbi infreddoliti.
Ho ritrovato uno di questi ragazzi a Bologna, dopo 50 anni!
Lavorava ai Telefoni di Stato e un giorno scoprì nell'elenco telefonico il mio
nome. Mi chiamò, mi chiese se ero proprio la maestra Elia e mi disse che lui
era stato un mio scolaro.
"Dove?" - gli chiesi - " A Costalissoio"
- mi rispose-: Mi tornò alla mente in un lampo un visetto sparuto di bimbo
affettuoso e carente di affetti; gli dissi "Non puoi essere che Ettore
Somià!(Rino)". Era lui.
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