Approfondimenti:    origini delle Regole


[da Enciclopedia Italiana (Treccani), voce: 'Comune']

Origine delle regole e dei comuni cadorini

 Il comune rurale. Si dice comune rurale o rustico l'organizzazione giuridica ed economica dei minori centri abitati delle campagne formata dalle classi rurali. [...] Perciò il comune rurale abbraccia i piccoli centri abitati, cioè i villaggi, le ville, i vici, le pievi, le valli e così via; ed è formato da una classe abbastanza uniforme, la classe dei lavoratori della terra, piccoli proprietari rurali o coloni. [...] Le basi di questa organizzazione si possono cercare nei più remoti stabilimenti umani, dove sia un nucleo di popolazione legato a un determinato territorio, e allorché questo nucleo di popolazione, sciogliendosi dal consorzio gentilizio, trapassa alle forme della comunità di villaggio. [...] Ma l'affermazione dell'autonomia, che è veramente il momento creativo del comune rurale, allorché l'organizzazione giuridica ed economica, fino allora direttamente dipendente dai poteri politici sovraposti, o nell'ambito dei vasti nessi latifondiarî, coartata entro le forme di servitù della gleba o del colonato, guadagna una sfera d'azione libera, più o meno limitata, si ha soltanto nel sec. XI o XII, e si accompagna con quel vasto movimento d'autonomia delle classi, dei ceti, dei corpi territoriali, che seguì alla rovina degli stati barbarici e alla dissoluzione feudale. [...] Quale la genesi di questa organizzazione libera? Molte opinioni sono state esposte su questo problema; ma, poiché tutto il vasto spazio territoriale mediterraneo, salvo pochi territorî, fu già nei tempi antichi sottoposto all'organizzazione romana, e tutto più tardi fu travolto, più o meno profondamente, dall'invasione germanica, le opinioni suaccennate tendono a ridursi a due. La prima prende in considerazione principalmente l'organizzazione romana, e spiega la genesi del comune rurale del Medioevo come una continuazione delle forme giuridiche ed economiche dei vici e delle ville dell'età antica, allorché, caduta l'organizzazione municipale e venuto meno il dominio barbarico, quelle forme, rimaste in vita, si sarebbero sviluppate, sotto la spinta dell'autonomia medievale, guadagnando un regime di relativa indipendenza, nel tessuto della società feudale e comunale. La seconda, invece, spiega tale organizzazione come un prodotto interamente nuovo del Medioevo, il quale sarebbe una conseguenza delle nuove forme insinuate dal diritto germanico, con le sue spiccate tendenze militari e individualiste, in quanto avrebbe provocato la genesi delle libertà comunali, anche nelle campagne [...] per spiegare l'origine del comune rurale, almeno per l'Italia, è necessario far ricorso all'organizzazione dei vici e dei pagi dell'età romana, organizzazione rimasta integra nell'alto Medioevo, nelle forme delle ville e delle pievi; [...] Ora, a dare completa l'immagine di questa organizzazione rurale, si deve aggiungere che tanto i pagi quanto i vici hanno terre comuni, che sono lasciate all'uso libero degli abitanti secondo norme fissate dalla consuetudine; e queste terre comuni, anche quando si configurano come terre comprese nelle pertinenze dei distretti fondiari, costituiscono un vincolo, che ha già un'importanza notevole per lo sviluppo del comune rurale. Le terre comunali del vico si dicono generalmente compascua, ma anche communia e, fin da quella remota età, commune [...] Ora. per sempre meglio chiarire il carattere generale di questa organizzazione, va notato che essa non è affatto d'origine romana; è già nell'ordinamento prevalentemente rurale dei popoli precedenti a Roma, assoggettati poi alla conquista romana.

 

P.Cesco Frare rilegge ed integra quanto sopra-scritto nell'Enciclopedia Italiana

Origine delle regole e dei comuni cadoríni

L'origine delle regole e dei comuni cadorini è da ricercare nell'istituto dei comune rurale o rustico cioè nell'organizzazione giuridica ed economica dei minori centri abitati delle campagne formata dalle classi rurali. Le basi di questa organizzazione si possono cercare nei più remoti stabilimenti umani, dove sia un nucleo di popolazione legato a un determinato territorio, e allorché questo nucleo di popolazione, sciogliendosi dal consorzio gentilizio, trapassa alle forme della comunità di villaggio. L'affermazione dell'autonomia cioè l'affrancamento dai poteri politici sovraposti si ha soltanto nel sec. XI o XII, e si accompagna con quel vasto movimento d'autonomia delle classi, dei ceti, dei corpi territoriali, che seguì alla rovina degli stati barbarici e alla dissoluzione feudale. Per spiegare l'origine dei comune rurale, almeno per l'Italia, è necessario far ricorso all'organizzazione dei vici e dei pagi dell'età romana, organizzazione rimasta integra nell'alto Medioevo, nelle forme delle ville e delle pievi. A dare completa l'immagine di questa organizzazione rurale, si deve aggiungere che tanto i pagi quanto i vici hanno terre comuni, che sono lasciate all'uso libero degli abitanti secondo norme fissate dalla consuetudine. Le terre comunali dei vico si dicono generalmente compascua, ma anche communia e, fin da quella remota età, commune. Per meglio chiarire il carattere generale di questa organizzazione, va notato che essa non è affatto d'origine romana; è già nell'ordinamento prevalentemente rurale dei popoli precedenti a Roma, assoggettati poi alla conquista romana. Nella montagna bellunese, specialmente in Cadore, l'istituzione regoliera è stata il cardine dell'organizzazione territoriale, sociale e giurisdizionale delle comunità rurali. La coesione degli uomini delle singole Regole ha permesso loro di proporsi con relativa autonomia nei confronti delle forze politiche dominanti dei centro cittadino di riferimento o dei governi più lontani. Autonomia impostata sulla gestione corresponsabile e sull'uso comune di campagne, pascoli e boschi, secondo norme codificate nelle assemblee dei capi delle famiglie patriarcali e tramandate da una generazione all'altra. Autonomia che si è mantenuta veramente tale dove, ad esempio nelle aree di alta montagna, è stata sostenuta da un sistema democratico di elezione di una gerarchia di persone, dal marigo ai consiglieri o laudatori, ad altre ancora con ruoli più specifici. Il marigo, oltre a rappresentare la Regola e a presiedere l'assemblea regoliera in determinati giorni dell'anno, esercitava la giustizia civile nella comunità di cui era il capo e controllava le infrazioni con il coinvolgimento dei saltari. La rinuncia alla nomina del marigo da parte dei signore feudale deve essersi verificata attorno alla prima metà dei XIII secolo. Nel 1446 poi il dominio veneto decise di affrancare i feudi cadorini e quelli che rimanevano per i monti vennero acquistati dalle regole. In Comelico però tali acquisti erano già avvenuti almeno due secoli prima.

Le origini.
    
(dalla "MEMORIA"  al ricorso presentato dalla Frazione Mezza Danta di Sotto e dal comune di Danta contro......1910)

            (terminologia corrente: Villa=paese/frazione; Laudo=statuto: Marigo=caporegola/presidente; Fabula=assemblea regoliera.

epoca: dominazione Longobarda (vedi pagina "argomenti:origini storiche")

.......ma appunto perché gli occupanti erano di stirpe germanica, la proprietà che acquistavano non era considerata dell'individuo nel concetto romano, bensì collettiva della famiglia. E la proprietà degli immobili si considerava nel misura e nel tempo in cui si usufruivano. Ed ecco considerarsi la casa e l'orto proprietà della famiglia che l'abita, e i campi circostanti circoscritti da confini, che coltiva, e che fatta la raccolta si aprono, per rinchiuderli alla stagione delle seminagioni. I terreni fuori degli abitati e dei colti, lasciati al comune pascolo degli animali, senza determinazione né chiusura di confini. Tutte le norme per la coltivazione, emanano, non dall'individuo, bensì dal capo della famiglia (maior).
     Col crescere delle famiglie crescono le case, si formano le ville, si estendono i campi coltivati, i pascoli esterni: e le norme per la coltivazione di quelli, per l'uso di questi, emanano dall'assemblea dei capi famiglia che a tempi determinati (fra Natale ed Epifania) si raccolgono a fabulare (onde il nome di fabula dato alla assemblea). E fra i maiores ogni anno si elegge nella fabula quello fra essi che deve far eseguire le deliberazioni dell'assemblea della Villa. Ma siccome questo maior del maiores (onde è appellato
mairicus-marigo, estrinseca nelle funzioni la volontà dei suoi colleghi capi famiglia, non soltanto la sua individuale, è assistito da consiglieri  pur essi eletti dalla fabula chiamati laudatores, in quanto laudano, prestano la loro approvazione al Marigo. Né manca il giurato che ha l'ufficio di  determinare il valore delle cose che si scambiano fra gli abitanti della Villa, (con appropriata parola trovata da un chiarissimo magistrato che di tali questioni si è occupato, chiamati confocolieri).
     Il Marigo inoltre funge quale giudice nelle piccole cause fra confocolieri, decide le liti di confini dei campi coltivati e chiusi, dei danni, dei piccoli meleficii. Può imporre côlte per le spese generali della Regola. Ed il Marigo per l'esecuzione dei suoi ordini ha a sua disposizione i
saltari.
     Sicché la Villa si è costituita a guisa di piccola Repubblica (come dice lo storico Ciani).
     Le deliberazioni della fabula conservate tradizionalmente da padri ai figli, sono veramente regolamenti speciali a ciascun gruppo di famiglie o Villa e ne costituiscono talmente il vincolo sociale, che la Villa finisce ad assumere il nome di
REGOLA.
    Col crescere delle famiglie le Regole si moltiplicano e cominciano necessariamente i contatti fra Regola e Regola, questioni specilamente pell'uso reciproco dei pascoli, e per mantenere l'ordine e la coesione fra esse, che nel loro complesso devono formare la patria del Cadore e difenderne i confini, si manifesta la necessità di magistrature proposte dalle Regole. Ed ecco sorgere, indubbiamente introdottovi dai Franchi, l'ufficiale chiamato
centenario che presiede un Tribunale (Banco) assistito da consiglieri (Bancali) al quale le Regole comprese nella sua giurisdizione possano ricorrere per le liti fra di esse, ed anche per quelle per le quali fu tolta la competenza del Marigo, nonchè pei maleficii gravi.
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(da "LA PROPRIETA' REGOLIERA NEL CADORE" dottor Giovanni Doriguzzi- convegno.......1946
     ..... Le Regole,  per il loro carattere storico e la loro struttura, preparano i regolieri alla pratica del governo locale e delle libertà pubbliche; nel loro insieme costituiscono un potente elemento di stabilità e di organizzazione collettiva precedendo, di molti secoli, le moderne vedute sul collettivismo agrario e la socializzazione delle terre.
..........Le Regole del Cadore (da Riegl = direzione) trovano una analoga e antichissima istituzione nelle "Allmenden" della Svizzera (Allmenden = La proprietà comune).
..........Secondo il prof. M. Andrea Heulser di Basilea, l'associazione degli usufruttuari forma un corpo giuridico. Essa è costituita dalla riunione dei diritti individuali associati in vista di un beneficio da realizzare, come lo sono le società commerciali. Il corpo in se stesso ha una esistenza propria ed uno scopo distinto che è la prosperità economica della Villa. Sussiste in se stesso per il bene perpetuo della comunione e non per il vantaggio immediato e transitorio dei suoi membri. E' così che ad essi è interdetto di vendere, dividere o diminuire la proprietà comune. .....Queste comunità non sono delle accolte di individui che posseggono, ma sono delle corporazioni perpetue che si conservano ininterrottamente nei secoli.
    L'usufruttuario non ha una parte della proprietà fondiaria, egli ha solamente il diritto ad una parte proporzionale del prodotto comune. Il diritto di godimento non può né delegarsi né cedersi; è un diritto strettamente personale regolato da apposite norme (laudi delle regole).

I laudi.
       I laudi (statuti) riportano antichissimi usi tradizionalmente conservati nella loro forma primitiva.
       Il laudo più antico del Cadore che si conosca, è quello di Candide del 1235.

REGOLE: tradizione, civiltà, storia e i "nuovi barbari"

(articolo tratto da "Il Cadore" giugno 2000  - rubrica "dicono la loro" a firma di Mario Da Rin Baigo)

    Non si spaventi il lettore  per il termine "nuovi barbari" palesemente provocatorio. Barbaro significava nella sua prima accezione "balbuziente". I  Greci tenevano in tale considerazione la propria cultura da definire barbari i popoli limitrofi, incapaci di avere o di saper conservare una propria identità. Teniamo presente che la civiltà europea nasce dalla civiltà greca, da questa ha ricevuto le forme essenziali del pensiero e dell'espressione. Siamo noi i nuovi barbari? O, parafrasando Pasolini che amava profondamente la sua terra friulana: "se ne vanno gli usignoli della memoria cadorina, non più c'è chi ne riprenda il canto".
    Il concetto di Regola è stato sviscerato e sezionato da ogni dove, attribuendogli prettamente un significato patrimoniale, ma in questo periodo storico assume un valore culturale e spirituale, comprendendo entro questo orizzonte quel sostrato etico-religioso fondamentale proprio di ogni ciclo storico. Affondando le radici nella civiltà longobarda, rappresenta, tra tradizione orale e scritta, 15 secoli di memoria storica. Per i testi scolastici ufficiali e per la gioventù, le nostre vicende storiche sono tabù o quasi. Il revisionismo ripristina però la verità nella riscrittura del passato. La ricerca post-moderna ha una conoscenza maggiore delle problematiche della storia. Storia delle strutture, delle evoluzioni e delle trasformazioni. Non soltanto la storia dei potenti, delle élites, dei re, dei grandi. Ma quanto finora è stato trascurato dalla storiografia: i deboli, i semplici, gli uomini e le donne comuni, il popolo la cui sofferenza diventa tragedia.
    Quando nel 1420 la Comunità Cadorina si dette alla Repubblica Venezia, il doge Mocenigo accettò uno stato di fatto: un Cadore libero con piena autonomia legislativa e giuridica fino all'avvento napoleonico. Napoleone irrompe nella storia che lo erge a protagonista ed enfatizza un individuo che in nome dei diritti umani ha messo a ferro e fuoco il continente. Ne presento in sintesi il curriculum. Per oltre due decenni semina la morte in Europa. Nella spedizione in Russia lascia quasi mezzo milione di morti, per lo più giovani reclutati anche in Cadore. Non avendone a sufficienza trova il tempo di fare un viaggio in Egitto distruggendo e defraudando quanto trova di una civiltà che ha sei millenni di storia codificata in uno straordinario alfabeto geroglifico. Arriva in Italia e in Cadore. Semina morte, nefandezze e soprusi. E' un rapace straordinario di opere d'arte da musei e chiese; il tutto portato in Francia non fa più ritorno.
    Sradica dalle nostre terre le istituzioni regoliere, i cui statuti, nella loro straordinaria semplicità, sono un esempio unico di democrazia diretta. Chiassosa e turbolenta ma democrazia, da non confondersi con le attuali monocrazie od oligarchie comunali. Infrange l'ordine storico-etico anteriore per ripristinare il quale ci sono voluti due secoli, complice lo Stato Italiano.
    Solo in Italia, patria del diritto, poteva accader ciò. Erano sufficienti le leggi semplici del diritto naturale. In quale stato europeo vigono le leggi degli invasori? L'esercito francese se ne va dal Cadore lasciando la Comunità Cadorina con un milione e mezzo di lire di debito, cifra astronomica per quei tempi, che sistemò il Cadore per alcuni decenni. Si moriva di fame. Con il decreto vicereale del 1806 abolisce le regole. Con il decreto del 1810 opprime gli ordini monastici, cancellando una realtà esistente da secoli, che aveva veicolato fino a noi il patrimonio spirituale e culturale dell'antichità classica attraverso la ricerca, la conservazione, la trascrizione di codici, pergamene. Purtroppo questa è la storia vera.
    Ritorno al titolo. Per quanto attiene alla regola: tradizione, civiltà, storia sono usati spesso in modo improprio e superficiale. La tradizione è un aggregato di usanze, credenze e pratiche che dà continuità ad una cultura, civiltà o gruppo sociale e in questo modo dà forma alle loro concezioni. L'uso spesso parziale del termine non deve farci ignorare il fatto che la tradizione fa parte essenziale dell'esistenza sociale e storica di tutti gli uomini. La vita umana è semplicemente impensabile senza l'elemento della tradizione che plasma l'intera esistenza culturale di uomini e donne: è sinonimo dell'intero modo di vivere di una società, della sua cultura e come realtà umana garantisce a una comunità la propria continuità, identità e unità. La tradizione forgia il legame fra le generazioni successive in una società. Dal passato noi riceviamo il nostro linguaggio, le leggi, i simboli e tutte quelle idee e sentimenti che danno a una comunità i propri caratteristici valori culturali. Una generazione trasmette all'altra norme e modelli di comportamento  in base ai quali la società ha sinora funzionato e cerca ora di perpetuare se stessa. Il nuovo viene in cima al vecchio. Mutamento e tradizione, lungi dall'escludersi a vicenda, sono in funzione una dell'altra. Oltre che operare la continuità dentro il flusso della storia, una tradizione ereditata e la sua relativa cultura ci identificano qui e ora, al livello più profondo. I valori e le convenzioni tradizionali aiutano a stabilire la nostra identità culturale.
    In breve la tradizione opera come principio di continuità e unità in qualsiasi società umana. Accogliendo, mutando e trasmettendo la propria tradizione, un gruppo sociale agisce come soggetto collettivo, come interprete e amministratore di questa tradizione che è la somma delle esperienza individuali e la rispettiva espressione di esse. Civiltà. "
Nell'uso comune questo termine designa le forme più alte della vita di un popolo e cioè la religione, l'arte, la scienza, ritenute particolarmente indicative del grado di formazione umana o spirituale raggiunta dal popolo stesso. La civiltà può essere definita come l'aspetto  tecnologico-simbolico di una cultura determinata e costruisce l'armamento, cioè l'insieme degli strumenti di cui la stessa dispone per conservarsi, rinnovarsi e progredire".
    La civiltà regoliera può essere definita primitiva, con un forte senso del sacro e del religioso che aveva permeato tutto il tessuto sociale. " Ogni civiltà è decisa dall'esperienza che fornisce l'orizzonte a partire dal quale risulta comprensibile il modo di pensare e il senso dell'agire di quella determinata civiltà". L'età moderna o età della tecnica, tagliati i ponti con il mondo agro-silvo-pastorale, annulla umanesimo ed etica perché non rientra nel proprio programma trovare risposte a simili domande. L'uomo diventa storico perché memoria e radici del passato gli vengono cancellate. Il binomio Fede-Dio viene sostituito da ragione-tecnica. Deve dunque rivedere i concetti di individuo, etica, religione e storia ed anche anima, coscienza e spirito che riconosciamo come tratto specifico dell'uomo.
    Due elementi fondamentali possiamo rimpiangere in quelle micro-civiltà: la profonda religiosità e il senso della comunità, peculiari ed essenziali nelle Regole. Assolto il suo compito primario metafisico, la religione diventa collante etico e straordinario elemento di aggregazione, indispensabile nella sua funzione sociale;
"Vorrei tentare una riflessione sulla Comunità, a partire dal suo originario etimo latino. Benché non sia direttamente attestato, il significato che tutti i dizionari etimologici danno come più probabile è quello che associa cum a munus. Tale derivazione è importante nella misura in cui qualifica in maniera precisa ciò che tiene insieme i membri della comunità. Essi non sono legati da un rapporto qualsiasi, ma da un munus , vale a dire da un compito, un dovere, una legge. I membri della comunità sono tali perché vincolati da una legge comune e da un obbligo. La comunità è necessaria perché è il presupposto della nostra esistenza, visto che da sempre esistiamo in comune. La legge della comunità va intesa come esigenza di non smarrire questa condizione originaria. L'individuo trova la sua completezza e determinazione in quanto soggetto alla legge".
L'addio all'arcaismo è stato rapidissimo e stiamo assistendo alla omologazione americana della nostra cultura. In un breve periodo storico si concentra l'evoluzione di secoli: l'antico, il moderno, il post-moderno, pagando però un prezzo altissimo in termini culturali e spirituali. L'avvento della modernità sta travolgendo miti , simboli, tradizione, sacralità e tutti i fenomeni che rappresentano l'identità etnica. L'uomo moderno versa in una situazione di incertezza e precarietà. La superficie dei valori e dei concetti tradizionali è in frantumi e diventa problematica l'autocomprensione del nostro tempo. Entra nel nostro vocabolario una parola sconosciuta, mai usata, ma opprimente nel suo significato spirituale e culturale: il nichilismo. Manca il fine, manca la risposta al perché, e i valori supremi e concettuali  della civiltà si svalutano. Nichilismo è la situazione di disorientamento che subentra una volta venuti meno i riferimenti tradizionali, cioè gli ideali e i valori che rappresentano la risposta al perché e come tali illuminavano l'agire dell'uomo.
    Un tradimento dell'originaria idea di ragione-civiltà, un imbarbarimento di quel logos partito dal pensiero greco e giunto fino a noi.
"Non abbiamo più una prospettiva privilegiata; non la religione, non il mito, non l'arte, né la morale e la scienza sono in grado di indicare l'orizzonte. Si crea allora una terminologia negativa: perdita di senso, svalutazione dei valori. Nasce la consapevolezza che noi moderni siamo senza radici e stiamo navigando senza bussola che ci orienti nel mare della vita e della storia.
La nostra memoria storica? La Regola come istituzione; la Regola come patrimonio agro-silvo-pastorale alla cui materialità si legano tradizioni e valori. Entro questo orizzonte ottiene unità di senso anche il ladino come espressione idiomatica di noi montanari romanizzati. Spero di aver dato un corpo omogeneo alle mie riflessioni e all'altrui pensiero, per un piccolo contributo alle nuove Regole che stanno nascendo.

Mario Da Rin Baigo Regola di Vigo-Oltrepiave

 

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Anno 2  n.2 gennaio 1953       pillole -appunti-storia dal mensile "IL COMELICO"

 

Le Regole del Cadore

Napoleone Le Regole - I Comuni

 

«Viveva il Cadore - scrive il Fabbiani - da quasi 400 anni sotto le ali protettrici del leone veneto quando in Francia scoppiò la rivoluzione. Nessun effetto ebbe il rivolgimento politico francese e nessuna preoccupazione potevano avere le personalità cadorine del tempo per le nuove idee che la rivoluzione agitava... perchè il Cadore viveva da secoli in libertà, uguaglianza e fratellanza, che i Dogi avevano sempre rispettato e i francesi, che vi fossero capitati, non avrebbero avuto che da confermare l’esistente e da meravigliarsi, anzi, che un ordinamento così democratico sussistesse in terra tanto remota».

Ai primi di ottobre del 1796 un corpo d'esercito tedesco invade il Cadore, diretto a Bassano. Ma è battuto e si ritira verso il Tagliamento. I soldati che risalgono il Piave sono al comando del Generale Lusignan. Li insegue il Generale Massena e li batte al «Pian delle Forche » (Polpet) e li insegue fino a Perarolo, ove i francesi arrivano il 15 marzo 1797.

Il 13 maggio a Pieve giunge un reparto di soldati. Il 17 il Consiglio Cadorino delibera di rendere omaggio al Gen. Dalmas a Belluno. Il 27 per ordine dello stesso il Cadore viene diviso in 6 cantoni: Pieve, Lozzo, Campitello, Vodo, Selva e Forni. Ogni cantone avrà una Municipalità. A Pieve risiederà un Consiglio della Municipalità Centrale.

Il 10 novembre vien pubblicato a Pieve il trattato di Campoformio.

Nel gennaio del 1798 se ne vanno i francesi e giungono gli austriaci. In data 6 febbraio il Gen. Wallis emette un editto con cui viene ripristinato l’antico ordinamento (i Centenari Cadorini). Il Cadore però sarà aggregato alla provincia di Belluno.

Il 13 febbraio I801 i francesi sono nuovamente in Cadore. Il 5 aprile dello stesso anno tornano gli austriaci.

Il 26 luglio 1801 giunge a Venezia l'arciduca Giuseppe con l'incarico di organizzare le provincie venete.

Il Consiglio Cadorino invia allo stesso una supplica « ... mosso dalla necessità della conservazione dei propri privilegi, dai quali dipende la felicità non solo ma la sussistenza di questa popolazione.... e per rassegnarle il quadro esatto della costituzione e dei privilegi di questo paese costantemente mantenuti dal decesso veneto governo.... supplicando di doverli confermare e di voler in ordine ai medesimi ed al sempre praticato sino all' epoca 1796 sciogliere ed accettare li nostri corpi pubblici dal vincolo dell'ora comandata dipendenza nelle disposizioni dei propri beni, già riconosciuti e dichiarati per propri ed *allodiali dai speziosi decreti del governo veneto e similmente nell'agitare e difendere i propri diritti che da essi discendono giusta ('anticamente praticato... che siano confermate le deposizioni anteriori all'epoca 1796 come fondate sopra le statutarie leggi nostre ».

Col trattato di Presburgo, l'Austria dovette cedere alla Francia le provincie venete. Così il Cadore il 20 novembre 1805 torna sotto il dominio francese. Con decreto del 25 aprile 1806 il Veneto venne diviso in provincie. Il Cadore con Belluno e Feltre formò quella di Belluno.

Si riunisce a Pieve il Consiglio Cadorino, il quale delibera: «di far presenti all' A. S. il Viceré.... l'antichissima costituzione, privilegi e concessioni accordati agli abitanti di questo montano distretto dalli Patriarchi d'Aquileia e dal Veneto Governo che lo dominarono.... di voler confermare a questa popolazione quei privilegi e concessioni che dalli mentovati Patriarchi e Veneto Dominio furono accordati in conoscenza della naturale sterilità di questi alpestri fondi e della notoria miseria del paese».

  

Napoleone, le Regole, i Comuni.

 

Poi delibera ancora: «di mantenere e preservare la costituzione e la libertà del Cadore assieme all'allodialità di suoi monti, pascoli e boschi da cui ritraggono gli abitanti la loro principale sussitenza”.

Nell'aprile del 1606 Napoleone riceve i Cadorini. Il Dott. Jacobi legge alla sua presenza un indirizzo che fra l'altro diceva: « che gli allodi delle Comuni, ente principale della sussistenza, andrebbero a perdersi senza provveder alle naturali esigenze se non fossero amministrati in una comunione patriarcale... che questa comunione non potrebbe agevolmente conciliare senza la sussistenza della costituzione comunale derivando da questa l’unione, la fratellanza e l'interesse comune per vincere gli ostacoli e ritrarre i possibili vantaggi della sterilità di alpestri scoscesi monti collocati fra ghiacciai perpetui ».

Poco prima, il 30 marzo 1806 lo stesso Napoleone creava 12 ducati tra i quali il Cadore.

Cessava col nuovo ordinamento d'aver vigore lo statuto cadorino. Contemporaneamente veniva modificata l'amministrazione provinciale. Il Cadore fa parte del dipartimento del Piave con capitale Belluno. II Cadore formava un distretto e veniva diviso in Cantoni di Pieve ed Auronzo. Ogni Cantone era diviso in più Comuni e questi in frazioni.

Da questo momento si andrà riformando l'amministrazione cadorina, ormai fossilizzata nei secoli.

Così le vecchie, gloriose regole venivano a costituire i naturali presupposti sia trasformandosi senz'altro in Comune (come accadde per Danta e Lozzo) sia trasformandosi in Frazioni di Comune quando questo abbracciò più regole.

E il nuovo Comune, ente morale, territoriale, politico, amministrativo, per riflesso della legge Napoleonica del 25 novembre 1806 (sebbene dichiarata inapplicabile in Cadore) assunse tuttavia, di fatto, in amministrazione i beni posseduti dalle Regole.

I Centenari, organi di decentramento amministrativo dello Stato cadorino sparirono con la soppressione di questo.

L'ordinamento napoleonico, con lievi modificazioni (le Regole Ampezzzane assurgono a persona giuridica, espressamente riconosciuta dal Codice Civile Austriaco art. 26 e la legge speciale par. 32 lett. D. dell’ordinanza 31 ottobre 1857, a norma della sovrana patente 5 luglio 1853) fu conservato dall'amministrazione austriaca e passò poi nel 1866 nel Regno d'Italia.

Il Comune nascendo non ha fatto che riunire sotto un'unica amministrazione i beni di proprietà delle rispettive Regole, conservando però rigorosamente (è il Doriguzzi che lo rileva) tutti i diritti acquisiti dai regolieri.

Mai il Comune in 14 decenni di amministrazione ha compiuto un atto contrario alla storia, alla tradizione, agli statuti del Cadore, ai Laudi delle Regole.

Nella sostanza il Comune si è bensì sostituito di fatto alle Regole, ma è rimasto ligio alla tradizione.

Non solo, ma i Sindaci e i Consigli Comunali, tutte le volte che i governi, succedutisi in Cadore, hanno tentato di modificare a favore della generalità degli abitanti, l'ordinamento secolare, sono insorti vivacemente per tutelare e difendere il patrimonio spirituale e materiale trasmessoci attraverso enormi sacrifici dalle generazioni passate.

(Vedi ad esempio l'esposto del Sindaco di Santo Stefano in data 4 gennaio 1812 al Vice Prefetto del Cadore contro il decreto 27 maggio 1811 e la importante deliberazione dello stesso Comune in data 24 maggio 1879, cui fecero seguito altre proteste degli altri Comuni del Comelico avverso la legge forestale 1877).

La Legge Fascista sugli Usi Civici.

 

Le idee e i sentimenti individuali e collettivi possono avere irresistibile energia suggestiva, propulsiva e rivoluzionaria, ma soltanto allorché si oppongono ad altre idee e sentimenti, non quando urtino l'invincibile forza d'inerzia della necessità e dell’esperienza, contro l'autorità di quei fallì che prevale su ogni concezione soggettiva.

In questo campo di lotta quelle idee e quei sentimenti potranno imporre la riforma di qualche parte della costituzione tradizionale, non mai la soppressione di essa o la sua completa sostituzione.

Le Regole Cadorine sono uno di questi fatti, parto genuino della necessità e dell’esperienza.

Inutilmente, come abbiamo visto, leggi passate e recenti hanno cozzato contro questo istituto basato sulla consuetudine millenaria, perchè infrante da una imprescindibile necessità che si concreta nella funzione integrativa della piccola proprietà privata montana.

Gli ideatori del Decreto Legislativo (benché imperfetto) del 3 maggio 1948 n. 1104 hanno saputo cogliere nel segno l’essenza dell’alta funzione economico-sociale di questi beni di proprietà collettiva, sviscerando «con sapiente adattamento alle esigenze moderne» quanto era sufficiente per non ledere da un lato gli interessi dei Regolieri e dall'altro gli imprescindibili bisogni dell’Ente Comune.

Raccogliendo le conclusioni che discendono dall’analisi storico-giuridica da noi fatta negli articoli precedenti, balza evidente il contrasto tra questa realtà storico-giuridica e la legge fascista del maggio 1928, interpretativa della stessa, che ignorando la particolare origine e struttura della proprietà regoliera del Cadore, misconosceva gli aspetti particolari, economici e giuridici delle Regole, confondendole, scientemente o no, con i beni demaniali di uso civico e le aveva private del diritto della gestione regoliera, affidandone la gestione stessa ai Comuni o alle Frazioni a mezzo di un Commissario Prefettizio, infrangendo, come abbiamo detto, un diritto basato sulla consuetudine millenaria, aprendo l’uso delle terre di proprietà collettiva dei soli originari a tutti i cittadini, senza limite di numero, utilizzandole secondo il diritto amministrativo a profitto dei Comuni senza tener conto delle necessità di conservazione e di miglioramento dei pascoli e dei boschi, includendoli così tra i beni demaniali.

Ma c'è di più. La legge sugli Usi Civici, non tenendo conto della realtà storica e giuridica dei consorzi o comunioni familiari del Cadore, con una unificazione legislativa, che generalizzava situazioni caratteristiche dell'ordinamento fondiario del Mezzogiorno, poneva in chiaro l’assoluto contrasto tra le condizioni richiesto dalla dottrina per l'esigenza dell'Uso Civico e la proprietà degli stessi consorzi familiari.

Questi consorzi o comunioni, detti anche consorterie. Società di antichi originari e più comunemente, in Cadore, Regole, non possono assolutamente confondersi con gli Usi Civici.

Esse, Regole, hanno una propria origine, una propria struttura e quindi debbono essere oggetto di una distinta valutazione, di una disciplina giuridica corrispondente a quella origine e a quella struttura.

Per meglio convincersi dell'inapplicabilità della legge sugli Usi Civici alla fattispecie del Cadore, sarebbe opportuno procedere ad una ulteriore valutazione del fenomeno considerando anche i suoi aspetti etnici ed economici.

 

Non è compito nostro, però, questo, essendoci riproposti fin dall'inizio di sviscerare gli aspetti storici e giuridici. Rimandiamo comunque alla pubblicazione del Dr. Doriguzzi: «La proprietà Regoliera nel Cadore - Aspetti sociali, economici e tecnici».

Se le condizioni per l’esistenza **dell’Uso Civico sono : una proprietà pubblica e demaniale; una corporazione pubblica territoriale; un vincolo giuridico di natura amministrativa (Aliquò - Uso Civico di Caccia), nella specie, invece, si tratta di una proprietà comune ed ereditaria di consorzi familiari. (Le Regole non possono confondersi con le corporazioni pubbliche territoriali).

Caratteristica della proprietà regoliera non è la demanialità, ma Uso Civico.

E se per demaniale si intende ogni immobile, la cui proprietà o godimento sono necessari a un Ente Pubblico Territoriale per l’esercizio di una funzione esclusiva (Guicciardi), nella specie non esiste che un patrimonio comune necessario al consorzio regoliero.

«La proprietà collettiva, mentre impedisce due fenomeni patologici del suolo, cioè il frazionamento eccessivo e il latifondo, presenta tutti i pregi della proprietà demaniale senza averne i difetti (Valenti) ». Interessa i contadini alla conservazione e al miglioramento dei beni... dà una base economica alla famiglia; ferma il lavoratore alla terra e ne sconsiglia l’emigrazione... contribuisce a mantenere fra gli uomini una più giusta eguaglianza, condizione indispensabile ad uno stabile assetto della democrazia.

Con ciò si spiega, come abbiamo visto, per quanto riguarda il Cadore, come il Senato Veneto, il Regno Italico, l’Austria, la Legislazione Forestale Italiana (la legge forestale 30 dicembre 1923, n. 3267, premessa la distinzione tra diritti di uso nei boschi e domini collettivi di associazioni, partecipanze, vicinie, regole, attribuisce | facoltà di erigersi in Aziende Speciali, di amministrarsi a mezzo delle proprie assemblee e regolarsi in conformità dei propri statuti), rispettassero e conservassero la proprietà regoliera quale espressione di una economia essenzialmente agricola e familiare.

 

Ovidio Menegus 

*allodiali:

Allodio

Il termine allodio era utilizzato nel Medioevo per indicare i beni e le terre possedute in piena proprietà, in opposizione ai termini feudo o "beneficio", con i quali si indicavano invece i beni ricevuti in concessione da un signore dietro prestazione di un giuramento di fedeltà. Wikipedia

**Uso Civico: L'uso civico è un diritto di godimento collettivo che si concreta, su beni immobili, in varie forme, spettanti ai membri di una comunità, su terreni di proprietà pubblica o di privati. Wikipedia