Approfondimenti: origini delle Regole
[da Enciclopedia Italiana (Treccani), voce: 'Comune']
Origine delle regole e dei comuni cadorini
Il comune rurale. Si dice comune rurale o rustico l'organizzazione giuridica ed economica dei minori centri abitati delle campagne formata dalle classi rurali. [...] Perciò il comune rurale abbraccia i piccoli centri abitati, cioè i villaggi, le ville, i vici, le pievi, le valli e così via; ed è formato da una classe abbastanza uniforme, la classe dei lavoratori della terra, piccoli proprietari rurali o coloni. [...] Le basi di questa organizzazione si possono cercare nei più remoti stabilimenti umani, dove sia un nucleo di popolazione legato a un determinato territorio, e allorché questo nucleo di popolazione, sciogliendosi dal consorzio gentilizio, trapassa alle forme della comunità di villaggio. [...] Ma l'affermazione dell'autonomia, che è veramente il momento creativo del comune rurale, allorché l'organizzazione giuridica ed economica, fino allora direttamente dipendente dai poteri politici sovraposti, o nell'ambito dei vasti nessi latifondiarî, coartata entro le forme di servitù della gleba o del colonato, guadagna una sfera d'azione libera, più o meno limitata, si ha soltanto nel sec. XI o XII, e si accompagna con quel vasto movimento d'autonomia delle classi, dei ceti, dei corpi territoriali, che seguì alla rovina degli stati barbarici e alla dissoluzione feudale. [...] Quale la genesi di questa organizzazione libera? Molte opinioni sono state esposte su questo problema; ma, poiché tutto il vasto spazio territoriale mediterraneo, salvo pochi territorî, fu già nei tempi antichi sottoposto all'organizzazione romana, e tutto più tardi fu travolto, più o meno profondamente, dall'invasione germanica, le opinioni suaccennate tendono a ridursi a due. La prima prende in considerazione principalmente l'organizzazione romana, e spiega la genesi del comune rurale del Medioevo come una continuazione delle forme giuridiche ed economiche dei vici e delle ville dell'età antica, allorché, caduta l'organizzazione municipale e venuto meno il dominio barbarico, quelle forme, rimaste in vita, si sarebbero sviluppate, sotto la spinta dell'autonomia medievale, guadagnando un regime di relativa indipendenza, nel tessuto della società feudale e comunale. La seconda, invece, spiega tale organizzazione come un prodotto interamente nuovo del Medioevo, il quale sarebbe una conseguenza delle nuove forme insinuate dal diritto germanico, con le sue spiccate tendenze militari e individualiste, in quanto avrebbe provocato la genesi delle libertà comunali, anche nelle campagne [...] per spiegare l'origine del comune rurale, almeno per l'Italia, è necessario far ricorso all'organizzazione dei vici e dei pagi dell'età romana, organizzazione rimasta integra nell'alto Medioevo, nelle forme delle ville e delle pievi; [...] Ora, a dare completa l'immagine di questa organizzazione rurale, si deve aggiungere che tanto i pagi quanto i vici hanno terre comuni, che sono lasciate all'uso libero degli abitanti secondo norme fissate dalla consuetudine; e queste terre comuni, anche quando si configurano come terre comprese nelle pertinenze dei distretti fondiari, costituiscono un vincolo, che ha già un'importanza notevole per lo sviluppo del comune rurale. Le terre comunali del vico si dicono generalmente compascua, ma anche communia e, fin da quella remota età, commune [...] Ora. per sempre meglio chiarire il carattere generale di questa organizzazione, va notato che essa non è affatto d'origine romana; è già nell'ordinamento prevalentemente rurale dei popoli precedenti a Roma, assoggettati poi alla conquista romana.
P.Cesco Frare rilegge ed integra quanto sopra-scritto nell'Enciclopedia Italiana
Origine delle regole e dei comuni cadoríni
L'origine delle regole e dei comuni cadorini è da ricercare nell'istituto dei comune rurale o rustico cioè nell'organizzazione giuridica ed economica dei minori centri abitati delle campagne formata dalle classi rurali. Le basi di questa organizzazione si possono cercare nei più remoti stabilimenti umani, dove sia un nucleo di popolazione legato a un determinato territorio, e allorché questo nucleo di popolazione, sciogliendosi dal consorzio gentilizio, trapassa alle forme della comunità di villaggio. L'affermazione dell'autonomia cioè l'affrancamento dai poteri politici sovraposti si ha soltanto nel sec. XI o XII, e si accompagna con quel vasto movimento d'autonomia delle classi, dei ceti, dei corpi territoriali, che seguì alla rovina degli stati barbarici e alla dissoluzione feudale. Per spiegare l'origine dei comune rurale, almeno per l'Italia, è necessario far ricorso all'organizzazione dei vici e dei pagi dell'età romana, organizzazione rimasta integra nell'alto Medioevo, nelle forme delle ville e delle pievi. A dare completa l'immagine di questa organizzazione rurale, si deve aggiungere che tanto i pagi quanto i vici hanno terre comuni, che sono lasciate all'uso libero degli abitanti secondo norme fissate dalla consuetudine. Le terre comunali dei vico si dicono generalmente compascua, ma anche communia e, fin da quella remota età, commune. Per meglio chiarire il carattere generale di questa organizzazione, va notato che essa non è affatto d'origine romana; è già nell'ordinamento prevalentemente rurale dei popoli precedenti a Roma, assoggettati poi alla conquista romana. Nella montagna bellunese, specialmente in Cadore, l'istituzione regoliera è stata il cardine dell'organizzazione territoriale, sociale e giurisdizionale delle comunità rurali. La coesione degli uomini delle singole Regole ha permesso loro di proporsi con relativa autonomia nei confronti delle forze politiche dominanti dei centro cittadino di riferimento o dei governi più lontani. Autonomia impostata sulla gestione corresponsabile e sull'uso comune di campagne, pascoli e boschi, secondo norme codificate nelle assemblee dei capi delle famiglie patriarcali e tramandate da una generazione all'altra. Autonomia che si è mantenuta veramente tale dove, ad esempio nelle aree di alta montagna, è stata sostenuta da un sistema democratico di elezione di una gerarchia di persone, dal marigo ai consiglieri o laudatori, ad altre ancora con ruoli più specifici. Il marigo, oltre a rappresentare la Regola e a presiedere l'assemblea regoliera in determinati giorni dell'anno, esercitava la giustizia civile nella comunità di cui era il capo e controllava le infrazioni con il coinvolgimento dei saltari. La rinuncia alla nomina del marigo da parte dei signore feudale deve essersi verificata attorno alla prima metà dei XIII secolo. Nel 1446 poi il dominio veneto decise di affrancare i feudi cadorini e quelli che rimanevano per i monti vennero acquistati dalle regole. In Comelico però tali acquisti erano già avvenuti almeno due secoli prima.
Le
origini.
(dalla
"MEMORIA" al ricorso presentato dalla Frazione Mezza Danta di
Sotto e dal comune di Danta contro......1910)
(terminologia
corrente: Villa=paese/frazione; Laudo=statuto: Marigo=caporegola/presidente;
Fabula=assemblea regoliera.
epoca: dominazione Longobarda (vedi pagina "argomenti:origini storiche")
.......ma
appunto perché gli occupanti erano di stirpe germanica, la proprietà che
acquistavano non era considerata dell'individuo nel concetto romano, bensì
collettiva della famiglia. E la proprietà degli immobili si considerava nel
misura e nel tempo in cui si usufruivano. Ed ecco considerarsi la casa e l'orto
proprietà della famiglia che l'abita, e i campi circostanti
circoscritti da confini, che coltiva, e che fatta la raccolta si aprono, per
rinchiuderli alla stagione delle seminagioni. I terreni fuori degli abitati e
dei colti, lasciati al comune pascolo degli animali, senza determinazione né
chiusura di confini. Tutte le norme per la coltivazione, emanano, non
dall'individuo, bensì dal capo della famiglia (maior).
Col crescere delle famiglie crescono le case, si
formano le ville, si estendono i campi coltivati, i pascoli esterni: e le norme
per la coltivazione di quelli, per l'uso di questi, emanano dall'assemblea dei
capi famiglia che a tempi determinati (fra Natale ed Epifania) si raccolgono a
fabulare (onde il nome di fabula dato alla assemblea). E fra i maiores ogni anno
si elegge nella fabula quello fra essi che deve far eseguire le deliberazioni
dell'assemblea della Villa. Ma siccome questo maior del maiores (onde è
appellato mairicus-marigo, estrinseca nelle funzioni la volontà
dei suoi colleghi capi famiglia, non soltanto la sua individuale, è assistito
da consiglieri pur essi eletti dalla fabula chiamati laudatores, in quanto
laudano, prestano la loro approvazione al Marigo. Né manca il giurato che ha
l'ufficio di determinare il valore delle cose che si scambiano fra gli
abitanti della Villa, (con appropriata parola trovata da un chiarissimo
magistrato che di tali questioni si è occupato, chiamati confocolieri).
Il Marigo inoltre funge quale giudice nelle piccole
cause fra confocolieri, decide le liti di confini dei campi coltivati e chiusi,
dei danni, dei piccoli meleficii. Può imporre côlte per le spese generali
della Regola. Ed il Marigo per l'esecuzione dei suoi ordini ha a sua
disposizione i saltari.
Sicché la Villa si è costituita a guisa di piccola
Repubblica (come dice lo storico Ciani).
Le deliberazioni della fabula conservate
tradizionalmente da padri ai figli, sono veramente regolamenti speciali a
ciascun gruppo di famiglie o Villa e ne costituiscono talmente il vincolo
sociale, che la Villa finisce ad assumere il nome di REGOLA.
Col crescere delle famiglie le Regole si moltiplicano e
cominciano necessariamente i contatti fra Regola e Regola, questioni
specilamente pell'uso reciproco dei pascoli, e per mantenere l'ordine e la
coesione fra esse, che nel loro complesso devono formare la patria del Cadore e
difenderne i confini, si manifesta la necessità di magistrature proposte dalle
Regole. Ed ecco sorgere, indubbiamente introdottovi dai Franchi, l'ufficiale
chiamato centenario
che presiede un Tribunale (Banco) assistito da consiglieri (Bancali) al quale
le Regole comprese nella sua giurisdizione possano ricorrere per le liti fra di
esse, ed anche per quelle per le quali fu tolta la competenza del Marigo, nonchè
pei maleficii gravi.
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(da "LA PROPRIETA' REGOLIERA NEL CADORE" dottor Giovanni Doriguzzi-
convegno.......1946
..... Le Regole, per il loro carattere storico
e la loro struttura, preparano i regolieri alla pratica del governo locale e
delle libertà pubbliche; nel loro insieme costituiscono un potente elemento di
stabilità e di organizzazione collettiva precedendo, di molti secoli, le
moderne vedute sul collettivismo agrario e la socializzazione delle terre.
..........Le Regole del Cadore (da Riegl = direzione) trovano una analoga e
antichissima istituzione nelle "Allmenden" della Svizzera (Allmenden =
La proprietà comune).
..........Secondo il prof. M. Andrea Heulser di Basilea, l'associazione degli
usufruttuari forma un corpo giuridico. Essa è costituita dalla riunione dei
diritti individuali associati in vista di un beneficio da realizzare, come lo
sono le società commerciali. Il corpo in se stesso ha una esistenza propria ed
uno scopo distinto che è la prosperità economica della Villa. Sussiste in se
stesso per il bene perpetuo della comunione e non per il vantaggio immediato e
transitorio dei suoi membri. E' così che ad essi è interdetto di vendere,
dividere o diminuire la proprietà comune. .....Queste comunità non sono delle
accolte di individui che posseggono, ma sono delle corporazioni perpetue che si
conservano ininterrottamente nei secoli.
L'usufruttuario non ha una parte della proprietà fondiaria, egli ha solamente
il diritto ad una parte proporzionale del prodotto comune. Il diritto di
godimento non può né delegarsi né cedersi; è un diritto strettamente
personale regolato da apposite norme (laudi delle regole).
I laudi.
I laudi (statuti) riportano antichissimi usi tradizionalmente conservati nella
loro forma primitiva.
Il laudo più antico del Cadore che si
conosca, è quello di Candide del 1235.
REGOLE: tradizione, civiltà, storia e i "nuovi barbari" (articolo tratto da "Il Cadore" giugno 2000 - rubrica "dicono la loro" a firma di Mario Da Rin Baigo) Non si spaventi il
lettore per il termine "nuovi barbari" palesemente
provocatorio. Barbaro significava nella sua prima accezione
"balbuziente". I Greci tenevano in tale considerazione la
propria cultura da definire barbari i popoli limitrofi, incapaci di avere
o di saper conservare una propria identità. Teniamo presente che la
civiltà europea nasce dalla civiltà greca, da questa ha ricevuto le
forme essenziali del pensiero e dell'espressione. Siamo noi i nuovi
barbari? O, parafrasando Pasolini che amava profondamente la sua terra
friulana: "se ne vanno gli usignoli della memoria cadorina, non
più c'è chi ne riprenda il canto". Mario Da Rin Baigo Regola di Vigo-Oltrepiave
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Anno 2 n.2 gennaio 1953 pillole -appunti-storia dal mensile "IL COMELICO"
Napoleone Le Regole - I Comuni
«Viveva il Cadore - scrive il Fabbiani - da quasi 400 anni sotto le ali protettrici del leone veneto quando in Francia scoppiò la rivoluzione. Nessun effetto ebbe il rivolgimento politico francese e nessuna preoccupazione potevano avere le personalità cadorine del tempo per le nuove idee che la rivoluzione agitava... perchè il Cadore viveva da secoli in libertà, uguaglianza e fratellanza, che i Dogi avevano sempre rispettato e i francesi, che vi fossero capitati, non avrebbero avuto che da confermare l’esistente e da meravigliarsi, anzi, che un ordinamento così democratico sussistesse in terra
tanto remota».
Ai primi di ottobre del 1796 un corpo d'esercito tedesco invade il Cadore, diretto a Bassano. Ma è battuto e si ritira verso il Tagliamento. I soldati che risalgono il Piave sono al comando del Generale Lusignan. Li insegue il Generale Massena e li batte al «Pian delle Forche » (Polpet) e li insegue fino a Perarolo, ove i francesi arrivano il 15 marzo 1797.
Il 13 maggio a Pieve giunge un reparto di soldati. Il 17 il Consiglio Cadorino delibera di rendere omaggio al Gen. Dalmas a Belluno. Il 27 per ordine dello stesso il Cadore viene diviso in 6 cantoni: Pieve, Lozzo, Campitello, Vodo, Selva e Forni. Ogni cantone avrà una Municipalità. A Pieve risiederà un Consiglio della Municipalità Centrale.
Il 10 novembre vien pubblicato a Pieve il trattato di Campoformio.
Nel gennaio del 1798 se ne vanno i francesi e giungono gli austriaci. In data 6 febbraio il Gen. Wallis emette un editto con cui viene ripristinato l’antico ordinamento (i Centenari Cadorini). Il Cadore però sarà aggregato alla provincia di Belluno.
Il 13 febbraio I801 i francesi sono nuovamente in Cadore. Il 5 aprile dello stesso anno tornano gli austriaci.
Il 26 luglio 1801 giunge a Venezia l'arciduca Giuseppe con l'incarico di organizzare le provincie venete.
Il Consiglio Cadorino invia allo stesso una supplica « ... mosso dalla necessità della conservazione dei propri privilegi, dai quali dipende la felicità non solo ma la sussistenza di questa popolazione.... e per rassegnarle il quadro esatto della costituzione e dei privilegi di questo paese costantemente mantenuti dal decesso veneto governo.... supplicando di doverli confermare e di voler in ordine ai medesimi ed al sempre praticato sino all' epoca 1796 sciogliere ed accettare li nostri corpi pubblici dal vincolo dell'ora comandata dipendenza nelle disposizioni dei propri beni, già riconosciuti e
dichiarati per propri ed *allodiali dai speziosi decreti del governo veneto e similmente nell'agitare e difendere i propri diritti che da essi discendono giusta ('anticamente praticato... che siano confermate le deposizioni anteriori all'epoca 1796 come fondate sopra le statutarie leggi nostre ».
Col trattato di Presburgo, l'Austria dovette cedere alla Francia le provincie venete. Così il Cadore il 20 novembre 1805 torna sotto il dominio francese. Con decreto del 25 aprile 1806 il Veneto venne diviso in provincie. Il Cadore con Belluno e Feltre formò quella di Belluno.
Si riunisce a Pieve il Consiglio Cadorino, il quale delibera: «di far presenti all' A. S. il Viceré.... l'antichissima costituzione, privilegi e concessioni accordati agli abitanti di questo montano distretto dalli Patriarchi d'Aquileia e dal Veneto Governo che lo dominarono.... di voler confermare a questa popolazione quei privilegi e concessioni che dalli mentovati Patriarchi e Veneto Dominio furono accordati in conoscenza della naturale sterilità di questi alpestri fondi e della notoria miseria del paese».
Napoleone, le Regole, i Comuni.
Poi delibera ancora: «di mantenere e preservare la costituzione e la libertà del Cadore assieme all'allodialità di suoi monti, pascoli e boschi da cui ritraggono gli abitanti la loro principale sussitenza”.
Nell'aprile del 1606 Napoleone riceve i Cadorini. Il Dott. Jacobi legge alla sua presenza un indirizzo che fra l'altro diceva: « che gli allodi delle Comuni, ente principale della sussistenza, andrebbero a perdersi senza provveder alle naturali esigenze se non fossero amministrati in una comunione patriarcale... che questa comunione non potrebbe agevolmente conciliare senza la sussistenza della costituzione comunale derivando da questa l’unione, la fratellanza e l'interesse comune per vincere gli ostacoli e ritrarre i possibili vantaggi della sterilità di alpestri scoscesi monti collocati fra
ghiacciai perpetui ».
Poco prima, il 30 marzo 1806 lo stesso Napoleone creava 12 ducati tra i quali il Cadore.
Cessava col nuovo ordinamento d'aver vigore lo statuto cadorino. Contemporaneamente veniva modificata l'amministrazione provinciale. Il Cadore fa parte del dipartimento del Piave con capitale Belluno. II Cadore formava un distretto e veniva diviso in Cantoni di Pieve ed Auronzo. Ogni Cantone era diviso in più Comuni e questi in frazioni.
Da questo momento si andrà riformando l'amministrazione cadorina, ormai fossilizzata nei secoli.
Così le vecchie, gloriose regole venivano a costituire i naturali presupposti sia trasformandosi senz'altro in Comune (come accadde per Danta e Lozzo) sia trasformandosi in Frazioni di Comune quando questo abbracciò più regole.
E il nuovo Comune, ente morale, territoriale, politico, amministrativo, per riflesso della legge Napoleonica del 25 novembre 1806 (sebbene dichiarata inapplicabile in Cadore) assunse tuttavia, di fatto, in amministrazione i beni posseduti dalle Regole.
I Centenari, organi di decentramento amministrativo dello Stato cadorino sparirono con la soppressione di questo. L'ordinamento napoleonico, con lievi modificazioni (le Regole Ampezzzane assurgono a persona giuridica, espressamente riconosciuta dal Codice Civile Austriaco art. 26 e la legge speciale par. 32 lett. D. dell’ordinanza 31 ottobre 1857, a norma della sovrana patente 5 luglio 1853) fu conservato dall'amministrazione austriaca e passò poi nel 1866 nel Regno d'Italia.
Il Comune nascendo non ha fatto che riunire sotto un'unica amministrazione i beni di proprietà delle rispettive Regole, conservando però rigorosamente (è il Doriguzzi che lo rileva) tutti i diritti acquisiti dai regolieri.
Mai il Comune in 14 decenni di amministrazione ha compiuto un atto contrario alla storia, alla tradizione, agli statuti del Cadore, ai Laudi delle Regole.
Nella sostanza il Comune si è bensì sostituito di fatto alle Regole, ma è rimasto ligio alla tradizione.
Non solo, ma i Sindaci e i Consigli Comunali, tutte le volte che i governi, succedutisi in Cadore, hanno tentato di modificare a favore della generalità degli abitanti, l'ordinamento secolare, sono insorti vivacemente per tutelare e difendere il patrimonio spirituale e materiale trasmessoci attraverso enormi sacrifici dalle generazioni passate.
(Vedi ad esempio l'esposto del Sindaco di Santo Stefano in data 4 gennaio 1812 al Vice Prefetto del Cadore contro il decreto 27 maggio 1811 e la importante deliberazione dello stesso Comune in data 24 maggio 1879, cui fecero seguito altre proteste degli altri Comuni del Comelico avverso la legge forestale 1877).
La Legge Fascista sugli Usi Civici.
Le idee e i sentimenti individuali e collettivi possono avere irresistibile energia suggestiva, propulsiva e rivoluzionaria, ma soltanto allorché si oppongono ad altre idee e sentimenti, non quando urtino l'invincibile forza d'inerzia della necessità e dell’esperienza, contro l'autorità di quei fallì che prevale su ogni concezione soggettiva.
In questo campo di lotta quelle idee e quei sentimenti potranno imporre la riforma di qualche parte della costituzione tradizionale, non mai la soppressione di essa o la sua completa sostituzione.
Le Regole Cadorine sono uno di questi fatti, parto genuino della necessità e dell’esperienza.
Inutilmente, come abbiamo visto, leggi passate e recenti hanno cozzato contro questo istituto basato sulla consuetudine millenaria, perchè infrante da una imprescindibile necessità che si concreta nella funzione integrativa della piccola proprietà privata montana.
Gli ideatori del Decreto Legislativo (benché imperfetto) del 3 maggio 1948 n. 1104 hanno saputo cogliere nel segno l’essenza dell’alta funzione economico-sociale di questi beni di proprietà collettiva, sviscerando «con sapiente adattamento alle esigenze moderne» quanto era sufficiente per non ledere da un lato gli interessi dei Regolieri e dall'altro gli imprescindibili bisogni dell’Ente Comune.
Raccogliendo le conclusioni che discendono dall’analisi storico-giuridica da noi fatta negli articoli precedenti, balza evidente il contrasto tra questa realtà storico-giuridica e la legge fascista del maggio 1928, interpretativa della stessa, che ignorando la particolare origine e struttura della proprietà regoliera del Cadore, misconosceva gli aspetti particolari, economici e giuridici delle Regole, confondendole, scientemente o no, con i beni demaniali di uso civico e le aveva private del diritto della gestione regoliera, affidandone la gestione stessa ai Comuni o alle Frazioni a mezzo di un
Commissario Prefettizio, infrangendo, come abbiamo detto, un diritto basato sulla consuetudine millenaria, aprendo l’uso delle terre di proprietà collettiva dei soli originari a tutti i cittadini, senza limite di numero, utilizzandole secondo il diritto amministrativo a profitto dei Comuni senza tener conto delle necessità di conservazione e di miglioramento dei pascoli e dei boschi, includendoli così tra i beni demaniali.
Ma c'è di più. La legge sugli Usi Civici, non tenendo conto della realtà storica e giuridica dei consorzi o comunioni familiari del Cadore, con una unificazione legislativa, che generalizzava situazioni caratteristiche dell'ordinamento fondiario del Mezzogiorno, poneva in chiaro l’assoluto contrasto tra le condizioni richiesto dalla dottrina per l'esigenza dell'Uso Civico e la proprietà degli stessi consorzi familiari
Questi consorzi o comunioni, detti anche consorterie. Società di antichi originari e più comunemente, in Cadore, Regole, non possono assolutamente confondersi con gli Usi Civici.
Esse, Regole, hanno una propria origine, una propria struttura e quindi debbono essere oggetto di una distinta valutazione, di una disciplina giuridica corrispondente a quella origine e a quella struttura.
Per meglio convincersi dell'inapplicabilità della legge sugli Usi Civici alla fattispecie del Cadore, sarebbe opportuno procedere ad una ulteriore valutazione del fenomeno considerando anche i suoi aspetti etnici ed economici.
Non è compito nostro, però, questo, essendoci riproposti fin dall'inizio di sviscerare gli aspetti storici e giuridici. Rimandiamo comunque alla pubblicazione del Dr. Doriguzzi: «La proprietà Regoliera nel Cadore - Aspetti sociali, economici e tecnici».
Se le condizioni per l’esistenza **dell’Uso Civico sono : una proprietà pubblica e demaniale; una corporazione pubblica territoriale; un vincolo giuridico di natura amministrativa (Aliquò - Uso Civico di Caccia), nella specie, invece, si tratta di una proprietà comune ed ereditaria di consorzi familiari. (Le Regole non possono confondersi con le corporazioni pubbliche territoriali).
Caratteristica della proprietà regoliera non è la demanialità, ma Uso Civico.
E se per demaniale si intende ogni immobile, la cui proprietà o godimento sono necessari a un Ente Pubblico Territoriale per l’esercizio di una funzione esclusiva (Guicciardi), nella specie non esiste che un patrimonio comune necessario al consorzio regoliero.
«La proprietà collettiva, mentre impedisce due fenomeni patologici del suolo, cioè il frazionamento eccessivo e il latifondo, presenta tutti i pregi della proprietà demaniale senza averne i difetti (Valenti) ». Interessa i contadini alla conservazione e al miglioramento dei beni... dà una base economica alla famiglia; ferma il lavoratore alla terra e ne sconsiglia l’emigrazione... contribuisce a mantenere fra gli uomini una più giusta eguaglianza, condizione indispensabile ad uno stabile assetto della democrazia.
Con ciò si spiega, come abbiamo visto, per quanto riguarda il Cadore, come il Senato Veneto, il Regno Italico, l’Austria, la Legislazione Forestale Italiana (la legge forestale 30 dicembre 1923, n. 3267, premessa la distinzione tra diritti di uso nei boschi e domini collettivi di associazioni, partecipanze, vicinie, regole, attribuisce | facoltà di erigersi in Aziende Speciali, di amministrarsi a mezzo delle proprie assemblee e regolarsi in conformità dei propri statuti), rispettassero e conservassero la proprietà regoliera quale espressione di una economia essenzialmente agricola e familiare.
Ovidio Menegus
Allodio
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