Scrivo dalla provincia di Milano dove, da sempre, vivo con la mia famiglia. Mio padre è di origini cadorine ed io ho passato le estati della mia infanzia a Costalissoio. Questo è forse il motivo principale che lo scorso agosto mi ha indotto ad approfondire quello che era per me un lontano ricordo.
Frequento da due anni il corso
di laurea in Scienze dei Beni Culturali dell’Università di Milano con
indirizzo Musicologico. Al termine della frequentazione di un corso di
Etnomusicologia, dinnanzi alla possibilità di esporre un argomento a scelta in
una breve tesina, mi sono occupata di scoprire più da vicino uno dei piccoli
grandi tesori che la Val Comelico offre agli abitanti ed ai visitatori: il
patrimonio folklorico musicale rappresentato da uno dei numerosi gruppi folk
della zona, i Legär. |
Grazie alla disponibilità ed all’interessamento del sig. Massimo De Martin, ideatore di un sito internet sul Comelico, sono entrata in contatto con Eugenio D’Ambros, direttore del gruppo, il quale ha gentilmente messo a disposizione il proprio bagaglio di conoscenze folkloriche, offrendomi la possibilità di entrare concretamente in una realtà che precedentemente era stata da me contemplata da un punto di vista esclusivamente esterno e distaccato. La “ricerca sul campo”, come è in questo settore definita la fase pratica di studio di un fenomeno, si è realizzata in un arco di tempo di tre settimane, per un numero complessivo di sette incontri con il gruppo, tra uscite per le rappresentazioni, quali la sfilata dei gruppi agordini a Falcade, interviste o partecipazione alle prove. Tutto ciò è stato motivo di avvicinamento ad un orizzonte musicale assai lontano da quello offerto dall’esperienza quotidiana, all’interno di una rivalutazione del patrimonio popolare locale.
Innumerevoli aspetti sono emersi in tale studio, ma ciò che personalmente ha più colpito la mia attenzione “musicale”, e che è dunque divenuto il centro del lavoro in seguito svolto, è la considerazione della musica tradizionale come momento essenziale di aggregazione dell’intera comunità, nonché del singolo gruppo. Una potenzialità che è stata colta dai Legär, che se ne sono avvalsi per recuperare una cultura passata a rischio di estinzione. Il Paris, il Matažin, le vécie ed i valzer, sono stati ripresi nei passi e nei costumi dei padri ed arricchiti coreograficamente in un ideale legame tra passato e presente, musica e danza. Illuminanti in questo senso sono stati poi il testo di Gianluigi Secco sul Carnevale comeliano, Mata, e la raccolta di liriche di Pio Zandonella Necca, per la cui pubblicazione è stata ideata la coreografia di un nuovo valzer.
Ciò su cui intendo porre l’accento con questo mio
breve scritto, che molto sommariamente vuole tracciare le linee della mia
esperienza, è proprio l’importanza di fenomeni di questo tipo. Fenomeni che
vengono ignorati dall’“alta” cultura e che solo negli ultimi anni sono
stati rivalutati nell’orizzonte etnico, musicale, folklorico. La loro vastità,
l’ampiezza di proporzioni che manifestano permette di illuminare solo alcuni
aspetti tra i più interessanti ma questi bastano senza dubbio a darci una vaga
idea di quale tesoro storico e culturale si nasconda dietro un canto, una danza,
un detto popolare. Qualcosa che oggi abbiamo il dovere di salvaguardare per
arricchire non solo il futuro culturale dei nostri figli ma anche la nostra
personalità.
Ringraziandovi porgo distinti saluti
Bianca De Mario