ALLA RICERCA DEL VILLAGGIO PERDUTO**

Un contributo toponomastico alla storia degli insediamenti in Comèlico

Nicoletta e Piergiorgio Cesco-Frare

"Fondamentalmente linguistica, l'esplorazione dei nomi locali è contemporaneamente geografica e storica. Una buona monografia toponomastica con raccolte capillari e bene informata, basata su documenti storici estesi alla microtoponomastica, può costituire un fondamento essenziale per la descrizione della colonizzazione e lo sviluppo dei nuclei umani in determinati ambienti geografici".

(Giovan Battista Pellegrini, Toponomastica italiana)

Una questione di pascoli

Non era giorno di festa quel 4 gennaio del 1278, eppure gente da ogni parte del Comelico gremiva il sagrato della chiesa plebana di S. Stefano. Era un martedì e i rappresentati dei fuochi delle tre regole di S. Stefano, S. Pietro e S. Nicolò erano lì non per devozione bensì per un solenne atto pubblico, che i rispettivi marighi Alteprano Pedevacca, Giovanni Maranzon e Odorico Malnepote si accingevano a rogare dinanzi al notaio Gerardino e in presenza di sette testimoni provenienti da alcuni villaggi del regolato di Candide. L’oggetto dell’atto giuridico era la composizione amichevole di una controversia, per dirimere la quale aveva interposto la sua autorità lo stesso Ainardo, podestà del Cadore per il signore feudale Gerardo da Camino. Il pomo della discordia tra la regola di San Nicolò da un lato, e le regole di Santo Stefano e di San Pietro dall’altro, erano stati i diritti per la monticazione sui tre alpeggi di Londo arvaglino, Dignàs e Apleto situati nella valle di Visdende.

Il notaio procede alla stesura dei termini dell’accordo in un lungo e complesso documento, nel quale si riconosce la fondatezza delle rivendicazioni di S. Nicolò che, pertanto, l'estate potrà portare i propri animali sui monti in questione insieme a S. Stefano e S. Pietro, con parità di diritti e di oneri. A tal fine, saggiamente si prestabiliscono gli abbinamenti per la monticazione tra ville dell'una e dell'altra parte. Si formano così tre gruppi, quanti sono gli alpeggi: il primo è costituito dalle ville di Rino, Campedello e Gianigo della regola di S. Nicolò e quelle di Casada, Costalissoio, Casafavaio, Casacitoio, Anta, Ronco e Bedogledo della regola di S. Stefano. Il secondo da Costa ravagnana, Asolaria e Fraine di S. Nicolò unitamente a Padola, Calcarola, Trasaga di sotto, Trasaga di sopra, Duzon, Sala, Puledo, Avara, Campolongo e Costola pure di S. Stefano. Il terzo, infine, da Avara, Gera, Viale e Dugon di S. Nicolò con Stalmanzello, Stavello, Mare, Prazenario, Valle, Fraine di monte, Colle e Costalta della regola di S. Pietro. I marighi dichiarano di ratificare, sotto pena di trecento lire venete, l'accordo per sé e per tutti i consorti delle predette regole "ivi astanti, volenti e consenzienti".

Per il notaio Gerardino la parte più laboriosa dell'atto dovette essere l'elencazione minuziosa di ciascuno di questi oltre centoventi consorti, con l'indicazione del relativo luogo di provenienza e, in taluni casi, del casato. Fatica improba, dati il luogo e la stagione.

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Nell'intento di fornire un contributo toponomastico alla storia degli insediamenti in Comèlico, con particolare riguardo alle origini, ci è parso opportuno prendere come riferimento, tra i numerosi documenti medievali che ci dànno notizie in proposito, l'atto il cui contenuto abbiamo sinteticamente riportato sopra. Esso ha il pregio di fissare ad una certa data la situazione quasi completa dei nuclei abitati, situazione che richiede di essere integrata solo con i riferimenti, contenuti in atti coevi, alle poche ville della regola di Candide qui mancanti. Il documento è inedito e l'originale in latino crediamo sia andato disperso. Di esso disponiamo di alcune traduzioni in varia misura incomplete di Jacobi, Monti, Martini e De Donà. Inoltre una piccola parte della versione originale è riportata negli atti a stampa di un processo settecentesco per una lite tra il centenaro di Comelico inferiore e il comune di Oltrarino. Noi fortunatamente abbiamo rintracciato la copia integrale in latino fatta in occasione di questo processo, la quale ci ha permesso di chiarire ed emendare, sotto il profilo toponomastico, numerosi passaggi dubbi contenuti nelle traduzioni sopra ricordate. Questo documento, che ragioni di spazio ci impediscono di fornire in questa sede in edizione critica, rappresenta con ricchezza di particolari il Comèlico della fine del XIII secolo e offre preziose indicazioni in molti campi, che vanno dalla storia locale al diritto, alla demografia e alla linguistica. Qui ci limiteremo a coglierne per lo più l’aspetto toponomastico.

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Secondo i canoni della ricerca toponomastica, la nostra indagine si è sviluppata su tre piani: archivistico, geografico ed etimologico. Per il primo aspetto abbiamo già detto come ci sia servito da guida il documento del 1278 opportunamente integrato per il territorio di Comelico Superiore. Non si è tralasciato naturalmente di fare anche uno spoglio di tutti documenti coevi – e sono molti - che ci è stato possibile consultare. Sulla scorta dei materiali archivistici è stata poi condotta la ricerca geografica sul campo, la quale è consistita nel riscontro del repertorio antico con quello moderno della toponomastica ufficiale e delle voci popolari. In ciò ci sono stati di grande aiuto le fonti cartografiche ma soprattutto i numerosi informatori locali che spesso ci hanno materialmente condotto sui luoghi della ricerca topografica. L’interpretazione dei toponimi, infine, è frutto di innumerevoli discussioni con il professor Giovan Battista Pellegrini, cui sono in gran parte dovute le etimologie qui proposte nelle schede toponomastiche.

Il villaggio ritrovato

I risultati della ricerca sono sintetizzati nelle schede e nella cartina che seguono. Abbiamo preso in considerazione solamente le ville cioè, per dirla col Ciani, quei nuclei "con leggi, diritti e territorio proprio", tralasciando i centri minori. Qualche breve annotazione sull’evoluzione degli insediamenti potrà giovare ad una migliore comprensione dei dati raccolti nelle schede toponomastiche. Il Comèlico conta oggi una ventina tra paesi e borgate (ma il grosso della popolazione è concentrato in meno della metà di tali nuclei abitati) contro le quarantacinque ville di un tempo. Già è stato osservato, con riferimento al Cadore in generale, come "l'insediamento umano permanente era in origine caratterizzato da numerosi gruppi di piccole case, ben distinte tra loro [...]. Il Cadore conserva la fisionomia impressagli dal lento processo di colonizzazione a danno del bosco da parte di piccoli gruppi umani, che in origine erano forse altrettanti nuclei familiari" [Migliorini, 1979, p. 23]. Nonostante il secolare processo di aggregazione e fusione che ha interessato gli antichi nuclei, molte delle ville si sono conservate come frazione (la quale, sul piano giuridico, quasi sempre corrisponde a una regola) o quanto meno come semplice borgata comunale, ed hanno quindi un nome ufficiale. Altre, invece, furono abbandonate e sono ora fondi agricoli – spesso in via di rimboschimento - che conservano il nome originario in dialetto. Altre, infine, non hanno lasciato traccia di sé e di esse conosciamo solamente il nome rilevato dagli antichi documenti. Si noterà poi come manchino nelle schede S. Stefano, S. Pietro e S. Nicolò: in effetti, nella redazione in latino del documento del 1278 questi nomi sono chiaramente attribuiti ai territori delle tre vicìnie-regole o fabule che dir si voglia, ma non corrispondono ad una villa, come invece è stato erroneamente intepretato nelle traduzioni di cui si è parlato.

Come detto sopra, i risultati dell’indagine qui pubblicati riguardano solo le ville, ma la lettura integrale del nostro documento del 1278 lascia intravedere una struttura insediativa ancora più frazionata e puntiforme. In effetti, dall’elenco dei partecipanti all’atto si colgono nuclei abitati quali supravia e Mesola, l’attuale Médola (dal latino mensula ‘elevazione pianeggiante’), entrambe località di S. Stefano; Roiba di Trasaga di sopra; Fabrica Fàuria (col significato di ‘fabbricato’) nei pressi di Sala; Cortale di Presenaio; Puteo probabilmente Póz sopra Valle; Staldaveno Stadoàn Stadvën-ò dën, Casaviscoio, Casabalato Ciabalato (da *vallatu ‘avvallamento’?) tutti di Costalta; Summavilla (probabile trascrizione errata per *Summoviale ora Somià) di Costalissoio; Sonprato Sunprà di Dosoledo. Inoltre da documenti coevi sappiamo di altri piccoli agglomerati quali Casamaurino Ciamurìn, Alfaredo da cui il cognome Alfarè (da albaretum ‘pioppeto’) e Plaza presso Candide; Cercenado Zarznà di Valle?; Fistino di Casamazzagno, Stalparezo Stalparèz di Costa.

La complessiva distribuzione territoriale delle ville medievali in rapporto col territorio e con la presente situazione è stata rappresentata nella cartina. La posizione di taluni villaggi è frutto di nostre congetture, mancando un riferimento moderno certo. È il caso della villa di Dugono che non può essere identificata con l’attuale frazione di Sega Digón o comunque con altra località sul lato destro idrografico dell’omonimo torrente, essendo parte di S. Nicolò (nel laudo del 1402 di questo comune essa è chiaramente compresa nella fabula serrata cioè entro il perimetro dei coltivi che circondano le ville della regola). Troviamo in von Zach una località Digón a monte di Viale. Pure Rino non ha riscontri toponomastici attuali: così è stato situato sulla riva sinistra del Rio Larice per induzione, essendo Campedello su quella destra. La villa di Padola superiore è collocata un po’ più a valle dell’attuale centro di Pàdola, raccogliendo la tradizione locale che vuole essere stato l’antico villaggio sepolto da una frana mossa dal terremoto del 1348. Così pure abbiamo posto la villa di Casada nel luogo dove doveva essere, prima che una terribile valanga la spazzasse via nel XVII secolo. Candidate per Costola erano due località entrambe chiamate oggi Còstla: abbiamo scelto quella vicina a Bedogledo Bodaié a scapito di un’altra località omonima situata tra Costalissoio e S. Stefano e ciò in virtù della successione delle ville nell’elenco iniziale del documento. Di Padola di S. Stefano e Calcarola nulla si può dire se non che, poste entrambe sulla piana di S. Stefano, la prima potrebbe essere stata nei pressi del torrente omonimo, cui avrebbe dato il nome: nel 1278 doveva comunque già essere in atto tra le due ville un processo di fusione da cui trasse origine il paese di S. Stefano. Il piccolo mistero delle due Trasaga si risolve tenendo conto che tutta la sinistra orografica del Piave compresa tra Presenaio e S. Stefano è conosciuta come Tardaga Transacqua dagli abitanti dei paesi della riva opposta. La collocazione di Trasaga superiore nei pressi di Campolongo è dettata sia dalla tradizione toponomastica di questo paese, sia da elementi colti in vari documenti ove questa villa è sempre raggruppata con Campolongo, Sala, Avara e Dusson. Buio fitto per quanto riguarda Stalmanzello: siamo portati a credere che questo villaggetto si sia precocemente saldato con Colle dando origine all’attuale centro di S. Pietro. Vi sono buoni motivi per ritenere che Puledo sia da identificare con la località Polé tra Costalta e Costalissoio. Molto chiaro a questo riguardo un documento dell’epoca ove si cita Candonea de Puledo: Ciandònia è in effetti accanto alla località Polé (Pulié nel von Zach). Abbiamo lasciato per ultimo l’enigma più complesso e interessante: esistevano due ville col nome di Anta? Sarebbe troppo lungo qui sviscerare il problema, basti allora dire che: un documento cita un’Anta domeglina e la necessità di questa specificazione farebbe supporre l’esistenza di un’altra Anta; altro documento rafforza quest'ipotesi citando un’Anta di sotto, che dunque si contrapporrebbe ad un’Anta superiore (quella domeglina?). La toponomastica locale conserva in effetti il toponimo Anta per due distinte località diverse dall’attuale paese di Danta, dove forse, per ragioni a noi ignote, gli abitanti dell’una e l’altra villa ad un certo momento si riunirono, conservando però l’originaria appartenenza al centenaro del Comelico superiore gli uni (famiglie Doriguzzi e Maddalin) e a quello del Comelico inferiore gli altri (famiglie Menia, Mattea e Tosi).

 

Schede toponomastiche

Avvertenze per la lettura

Nelle schede, come pure nel testo dell'articolo, in maiuscoletto è dato il toponimo derivato dalla forma latinizzata dei documenti notarili con eventuali varianti notevoli; in quanto esistano, sono rese in carattere in corsivo la forma dialettale comelicana e in carattere normale la forma ufficiale registrata nelle tavolette al 25000 dell’IGM.

ë indica il suono velare come in pën 'pane's indica la 's' sorda come nell'italiano 'sasso'

s'c indica la pronuncia divisa di 's' sorda e 'c' dolce

ò indica la 's' sonora come nell'italiano 'rosa'

z indica l'interdentale sorda come il 'th' inglese in 'thing'

 

Anta di sotto Ante (S. Stefano C.).

Vedi il seguente.

Anta domeglina (1328) Anta Danta.

Dal latino anta 'pilastro, stipite della porta' nel significato di 'asse' 'tavola' e per traslato ‘tratto di campagna’. Domeglina denota l'appartenenza alla villa di Domegge di Cadore.

Avara Dara (S. Nicolò C.).

Vedi il seguente.

Avara Dara e Còl d Avara (S. Stefano C.).

Dal termine pancadorino vara ‘prato grasso’.

Asolaria (Dosolaria a. 1312) Dolèra e Dadolèra (S. Nicolò C.).

Da acidula (vedi Dasoledo) con suff. –aria che esprime un collettivo.

Bedogledo Bodaié (S. Stefano C.).

Da *betullea 'betulla' + suffisso -etum ‘bosco di betulle’.

Calcarola (S. Stefano C.).

Dal latino calcaria 'fornace da calce'.

Campedello Campitello Cianpdél.

Diminutivo di campus, vedi Campolongo.

Campolongo Campolongo Cianplòngo (S. Stefano C.).

Dal latino campus ‘luogo piano che può essere messo a coltura’, e da longus.

Candide Ciandìdi e Ciandìde Candide (Comelico Superiore).

Dal latino candeo che esprime il significato sia di luminosità sia di calore. Si riferisce all'esposizione favorevole del luogo o forse all’aridità del terreno.

Canigo o Gianigo Gianìgui Gianigoli (S. Nicolò C.).

Forse dal latino canna con suff. -ivus e –ulus da cui *cannivulus ‘luogo con canne palustri’.

Casacitoio Ciazitógn (S. Stefano C.).

Dal personale Cito (a. 1366) o dal friul. cit e cita ’pentola di terra cotta’ metaf. per ‘avvallamento’. Chiassitoi nelle mappe catastali.

 

Casada Ciadada Casada (S. Stefano C.).

Dal latino medievale casata 'abitazione con podere per una famiglia'.

Casafavaio (casafavani a. 1281) S'ciadfëgn (S. Stefano C.).

Probabilmente da casa e da un nome di persona, come per il seguente.

Casamazaio (Casa Mazani a. 1213) S'ciamazègn e S'ciamdazégn Casamazzagno (Comelico Superiore).

Da casa e dal nome personale Mazzagno.

Colle Còl (S. Pietro C.).

Evidentemente da collis 'colle'.

Costa ravagnana (Còsta) Costa (S. Nicolò C.).

Dal latino costa 'costa’ per ‘falda di monte’. Ravagnana forse dal nome di una figlia di Gabriele da Camino Giovanna detta anche Ravagnana.

Costalisoio (Costalisono a. 1281) Costlisëgn Costalissoio (S. Stefano C.).

Da costa + un derivato di lisa 'canale per avvallare fieno o tronchi’.

Costalta Costàuta Costalta (S. Pietro C.).

Da costa e alta.

Costola Còstla (S. Stefano C.).

È un diminutivo di costa.

Crode Cròdi (Comelico Superiore).

Da cròda 'roccia'

Dasoledo (Asoledo a. 1365) Dudlè, Duò, Dadolèi Dosoledo (Comelico Superiore).

Da acidula ‘Rumex acetosa’ (comel. dèdla)’ e suff. –etum: ‘prato di acetosella’.

Dugono Digón (S. Nicolò C.).

Dal lat. mediev ducone 'sentiero'.

Duzono Disón (S. Stefano C.).

Altro esito dal lat. mediev. ducone 'sentiero.

Fraine Frèine (S. Nicolò C.).

Verosimilmente da *fragina 'frana'.

Fraine di monte Frèine (S. Pietro C.).

Da *fragina 'frana'.

Glera Géra Gera (S. Nicolò C.).

Da glarea 'ghiaia' .

Mare Mar Mare (S. Pietro C.).

Dal preindeur. *marra 'slavina' 'detriti di roccia'.

Padola (Padola Superiore a. 1242) Pàdule Padola (Comelico Superiore).

Da patulus 'aperto, esteso, ampio’.

Padola di Santo Stefano (S. Stefano C.).

Vedi il precedente.

Palude Palú (Comelico Superiore).

Naturalmente da ‘palude’.

 

Prazenario Presenaio Pardnèi (S. Pietro C.).

Da pratum e Ianuarius ‘Gennaro’ (antic. gennaio era dnèi). O forse da ianua 'porta' nel senso di ‘luogo ove la valle si restringe’.

Prese Prèdi.

Da presa ‘tereno messo a coltura’.

Puledo Polé, Pulé, Pulié (S. Stefano C.).

Pulió, pulié in comel. è il ‘puleggio’ Mentha pulegium.

Rino (S. Nicolò C.).

Da rin ‘rio, trorrente’.

Ronco Rònco (S. Stefano C.).

Da runcare ‘ridurre il terreno a coltura’.

Saco Sacu Sacco (Comelico Superiore).

Da saccus 'insenatura, via senza uscita'.

Sala Sala (S. Stefano C.).

Dal prelatino *sala 'canale, acquitrino' e simili.

Stalmanzello (S. Pietro C.).

Da stabulum ‘stàvolo: dimora estiva di montagna con stalla e fienile', forse in unione con il nome di persona Manzo attestato in un documento dell’epoca.

Stalnovo Stunòvu (Comelico Superiore).

Da stabulum ‘abitazione stagionale di montagna’ e novum.

Stavello Stavél (S. Pietro C.).

Da stabulum + suff. –ellus.

Trasaga inferiore Transacqua Tardaga (S. Stefano C.).

Da trans aqua ‘di là dal fiume’.

Trasaga superiore Transacqua Tardaga (S. Stefano C.).

Vedi il precedente.

Valle Valle Val (S. Pietro C.).

Da vallis 'valle'.

Viale Vié (S. Nicolò C.).

Da viale 'sentiero'.

I nomi raccontano

Scriveva già nel 1949 il professor Giovan Battista Pellegrini a proposito degli insediamenti in epoca romana nella provincia di Belluno: "Dalla distribuzione e densità dei materiali archeologici e della toponomastica prediale, si può arguire quali siano state [...] le valli che, con tutta probabilità, erano ancora disabitate e prive di incolato stabile " [Pellegrini 1949, p. 70]. Tra queste egli annoverava anche il Comèlico. Ora, va riconosciuto che, a distanza di oltre cinquant’anni, non è emerso alcun nuovo elemento a indebolire tale opinione. Infatti, se da un lato non si segnalano novità in campo archeologico, dall’altro l’analisi etimologica, approfondita ed allargata anche agli antichi insediamenti, non fa che confermare l’assunto e deporre a favore di una colonizzazione altomedievale. Se esaminiamo i nostri toponimi sotto l’aspetto del significato, possiamo ricavare la seguente classificazione: 1) fitonimi (nomi legati alla vegetazione n° 5; 2) condizioni del terreno e oggetti geografici n° 28; 3) strutture pastorali n° 3; 4) disboscamenti e dissodamenti n° 4; 5) sedi umane n° 5.

Come si vede, non vi sono toponimi prediali (ossia derivanti da nomi di proprietari fondiari) o di altro genere, che comunque possano far pensare ad una colonizzazione in età romana (naturalmente escludere una colonizzazione romana significa a maggior ragione escludere insediamenti stabili di ancor più antica origine, paleoveneti o celtici). Del resto i nomi in questione sono tutti riconducibili all’ambito romanzo e sono, come si dice, trasparenti, nel senso che il loro étimo, almeno nella radice, è sempre riferibile ad un termine noto. Piuttosto, ci pare di dover fermare la nostra attenzione su due particolari categorie di nomi di luogo. Della prima fanno parte quei toponimi derivati da stabulum ‘stàvolo’ come stalnovo, stalmanzello, stavello. Questo tipo sembra peculiare del Comèlico, essendo del tutto assente nel Cadore centrale ed affiorando sporadicamente solo nella valle dell’Ansiei e in Ampezzo. Abbiamo potuto rilevare oltre una trentina di nomi di luogo appartenenti a questa tipologia che presenta il termine stabulum appunto in unione con un nome personale, un aggettivo o da solo in forma alterata o con un complemeto di specificazione. Le località sono oggi fondi agricoli disabitati (tranne Stavél frazione di S. Pietro), disposti in genere su piccoli terrazzamenti nei versanti occidentale e meridionale dell’ecumene comelicano nell'arco da Dosoledo sino a Valle, ove si riscontrano terreni a grande capacità idrica e ottima resa foraggera, ad un'altitudine che varia dai 1000 ai 1400 m circa.

Il Marinelli dà la seguente spiegazione del termine: "La voce stavolo (= stabulum), comune nella Carnia, nell'Alpago ecc. sotto varie forme (stâlo, staulir, staol ecc.), non si adopera generalmente in Cadore. Gli stavoli sono edifici, abitati solo temporaneamente, che servono allo sfruttamento dei pascoli medii, di proprietà privata, costituenti i così detti masi […]. Ogni stàvolo consta di una parte destinata ad abitazione e cucina, di una stalla e di un fenile" [Marinelli, 1901]. Ora, poiché queste dimore estive non potevano che essere al servizio di paesi posti ad una certa distanza, non pare improbabile che esse appartenessero a quelle stesse persone delle comunità del Cadore centrale, che nella buona stagione conducevano i propri animali sui pingui pascoli delle valli di Visdende e del Digón (e della Zeglia), di cui erano proprietarie [cfr. Cesco-Frare, 1996], e abbiano costituito una prima forma di colonizzazione del territorio comelicano. Del resto, questa progressiva riduzione a cultura dei terreni boscati, attraverso la pratica della creazione di pascoli maggenghi, ci pare costituire l'indispensabile fase preparatoria per il successivo insediamento stabile sul territorio, per il quale condizione essenziale era la disponibilità di un minimo di superficie coltivabile.

L’altra serie di toponimi, che potrebbero dare qualche utile indicazione per ricostruire le vicende della colonizzazione del territorio, è quella basata sull’appellativo casa. I quattro toponimi riferiti nelle schede (casada, casacitoio, casafavaio, casamazaio) non esauriscono la serie, poiché altri se ne conoscono (Ciabalato, Cedamùl, Ciamurìn, Ciamóra, forse Ciacùla), tutti riferiti a località situate nella fascia altimetrica degli stàvoli. Anche questi nomi potrebbero risalire a una fase di colonizzazione altomedievale, epoca in cui casa prende il significato di casa massericia 'podere a conduzione famigliare affidato a un massaro residente'.

Per concludere, vorremmo richiamare quanto scrivevamo sulle pagine di questa rivista [Cesco-Frare, 1996] a proposito della singolare posizione di S. Nicolò. Questa regola era la sola, tra tutte quelle del Comèlico, ad essere consorte sia negli alpeggi siti nella valle di Visdende - e il nostro documento del 1278 lo comprova -, sia in quelli delle valli del Pàdola e del Digón, ove oggi è rimasta unica proprietaria della mónte di Melìn, l'antico Londo domeglino. Dicevamo anche che questo alpeggio insieme con quello detto Londo arvaglino, ora semplicemente Londo, doveva costituire in antico un'unica proprietà promiscua delle regole di Domegge e di Arvaglo (Oltrepiave). Aderendo ad una convincente ipotesi formulata a suo tempo [Zanderigo Ròsolo, 1982], aggiungiamo ora che questa promiscuità doveva riguardare molto probabilmente non solo il Londo ma anche tutti gli altri alpeggi, prima che ragioni di carattere economico e demografico ne consigliassero la spartizione. Alla luce di ciò, la particolare situazione giuridica della regola di S. Nicolò si spiegherebbe col fatto che i suoi antichi originari si erano insediati prima che fosse attuata tale divisione e dunque potevano continuare a vantare i più ampi diritti sui pascoli montani del territorio, cosa invece negata ai coloni venuti in seguito da Domegge e da Arvaglo a completare il popolamento del Comèlico.

FONTI CITATE

Testi

Carte

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  1. Articolo pubblicato su "Le Dolomiti Bellunesi" - numero 46 Estate 2001 - in omaggio all'insigne glottologo prof. Giovanni Battista Pellegrini in occasione del suo ottantesimo compleanno.

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