E' anche storia paesana....
Il racconto sotto riportato è la parte 2° di quanto pubblicato da "IL CADORE" del 10 marzo 1986. E' stata evidenziata la parte che riguarda l'incontro "con un uomo di Costalissoio". La bambina "sopravvissuta" era Cimavilla Valentina (Tina d' Canzio- madre dei f.lli De Mario Sartor), il papà era Leonardo ed il bambino morto si chiamava Valentino.
L'anno della grande fame (occupazione austriaca 6 novembre 1917 - 6 novembre 1918)
(di Orazio De Zolt da Campolongo)
IN CARNIA,SULLA NEVE, IN CERCA DI CIBO
Fu una fortuna per noi che la Carnia non avesse sfollato e così poterono conservare le loro provviste alimentari ed anche rifornirsi nei magazzini militari, dove c'erano. La gente si riversò da quelle parti, Sauris compreso, in cerca di alimenti. Senza la Carnia la sopravvivenze nei nostri paesi sarebbe stata impossibile. Furono molto caritatevoli nei nostri confronti.
Per un po' di tempo si poté acquistare ancora col denaro qualche mucca, galline, orzo e grano saraceno da Sauris; dalla Carnia fagioli, avena, crusca, qualche bestia, frutta secca, noci, mele, ecc., ma durò poco.
Di tutto avvenne per scambio merci. La gente dovette privarsi di ogni cosa che avesse un certo valore. Ad aggravare la situazione la neve cadde abbondante in anticipo, ma la strada per la Carnia e per Sauris rimase sempre aperta, battuta costantemente dalla gente, e così si potè superare l'inverno.
Ma verso la primavera anche la Carnia aveva esaurito le sue scorte e fu la grande fame. Si pensi che eravamo ridotti a importare dalla Carnia baccelli secchi di fagioli e torsoli di granoturco, che venivano pestati e poi macinati Con la farina di baccelli bollita nell'acqua si faceva una brodaglia nauseante; con i torsoli una specie di segatura che, impastata con acqua e cotta in forno, dava un pane che scorticava l'apparato digerente.
LA RISORSA DELLE ERBE SELVATICHE PER UNA FAME CHE NON DÀ MAI TREGUA
Con l'avanzare della primavera si ebbe un certo sollievo dalle erbe selvatiche commestibili (ve ne sono molte, ora ignorate), che bollite con il latte costituivano un buon alimento; purtroppo non tutti avevano il latte. La più ricercata era l'ortica (sbulia) e lo spinacio selvatico (gràsla); si limitarono a raccogliere anche dalle malghe di Piandesire, Campo e Razzo, ove crescono abbondanti. Noi ragazzi mangiavamo bracciate di cumino (ciarói) e di acetosa (dèdle), ma lo stesso la fame non cessava mai Non dà mai tregua, dopo mangiato si è come prima, il pensiero e sempre rivolto al cibo, a quello che si ha mangiato prima e quanto. Un giorno, mentre accompagnavo in Carnia in cerca di qualcosa un anziano amico di famiglia, Bertrando, verso Passo Lavardet venimmo superati dì corsa da un uomo col gerlo.
Come seppi dopo era di Costalissoio e andava a prendersi il bambino di otto anni morto di fame sulla strada di Avausa, mentre con la sorella di dieci anni andavano cercando qualcosa da mangiare. La bambina fu soccorsa in tempo da una famiglia del luogo. Il padre si caricò la salma nel gerlo e la riportò a Costalissoio senza mai fermarsi.
A ricordo di coloro che durante il tribolato anno dell'invasione percorsero la strada di Frison verso la Carnia, negli anni Trenta a Cima Merendera sorse la chiesetta dedicata alla Madonna e a Sant'Osvaldo (patrono di Sauris), con un piccolo rifugio, al posto dell'antica «maina» (capitello). La costruzione fu merito di don Pio De Martin di Dosoledo), mansionario a Campolongo, che vi lavorò anche di persona e col concorso spontaneo della popolazione.
A ponte Val Inferno sotto Piandesire (in seguito chiamato «ponte del disarmo») un battaglione di fanteria era stato sorpreso mentre consumava il rancio e dopo una scaramuccia ere stato fatto prigioniero dalle avanguardie austriache. Vi furono 14 morti dei nostri, che furono sepolti alla meglio fra la strada e il fiume. Anche a passo Lavardet ci deve essere stato un combattimento, perché sotto un fiocco di abeti in mezzo al campìvolo di malga Campo si vedevano alcune tombe ben curate coi tumuli ricoperti di zolle erbose. Erano di austriaci, mentre un poco più discoste ce n'erano altre di soldati italiani, meno ben curate (lo salme in seguito vennero riesumate e sepolte nel cimitero militare di S, Stefano).
CON UN PIATTODI MINESTRA SI PUÒ SALVARE UNA VITA
La nostra casa è alquanto discosta dalle altre, verso la campagna fra il Piave e il Frison. Di frequente passavano soldati nostri evasi dai campi di concentramento. Cercavano di riguadagnare le nostre linee, chiedevano qualcosa da mangiare. Se era ora di pasto, la mamma dai nove piatti ne rimediava ancora uno dicendo: «Ragazzi, con un piatto si può salvare una vita».
L'anziano Basilio, geniale artigiano del ferro (costruiva serrature, chiavi e attrezzi vari), senza sostegno di famiglia, passava e ripassava sotto la nostra casa sulla strada delle segherie a Transacqua. Si fermava a trascorrere le ore del giorno presso la «rosta» e quando ripassava a mezzogiorno la mamma gli rimediava un piatto della nostra brodaglia. Lui non chiedeva nulla, ma un giorno passò in ritardo e la mamma gli disse: «Basilio perché così tardi? Non ho proprio nulla da darvi», e lui: «Fa niente no, parona, fa niente» (la chiamava così per rispetto). Ma la sera stessa morì e la mamma ne fu desolata.
Una donna anziana un po' matta divenne pazza del tutto dalla fame. Fu vista da alcuni strappare delle ortiche e divorarle cosi.
Qualche giorno dopo anch'essa morì. Quanti di questi casi? Nessuno lo seppe mai. Alla fine si aggiunsero le epidemie. In agosto si diffuse la dissenteria e, non essendoci né medici né medicine, chi veniva colpito doveva morire. A settembre-ottobre si diffuse la «febbre spagnola», ma in forma benigna. Fame ed epidemie falcidiarono i più deboli, anziani e bambini.
LASCIAPASSARE PER IL FRIULI. UNA POLENTA CON MILLE SAPORI
Per eliminare l'afflusso di gente che dilagava per i paesi della Carnia sempre alla ricerca di qualcosa venne istituito un posto di controllo a monte di Pesaris. Gli addetti erano dei civili, che portavano sul braccio uni fascia gialla e lasciavano passare solo chi era munito di lasciapassare del comando tedesco. I lasciapassare erano limitati a pochi capifamiglia, gli altri venivano respinti, ma molti riuscivano a filtrare lo stesso: un fratello di 18 anni vi riuscì, spingendosi fino in Friuli, ove potè avere 45 chili di granoturco in cambio di un taglio di vestito di stoffa. Portò il grano a spalla per tutto il percorso, giungendo a casa con i piedi in piaghe, ma noi potemmo mangiare la vera polenta, che anche senza companatico aveva mille sapori, tanto era squisita: era il 15 agosto 1918.
Col nuovo raccolto il Friuli, chi aveva il lasciapassare vistato dal comando tedesco poteva recarvisi. Molti si spinsero fino a Latisana e dintorni. Le granaglie venivano trasportate prima con la ferrovie fino a Villa Santina, con vari trasbordi a mano o con asini fino a Pesaris, di li a spalla a casa. Nel versante della Carnia non vi era strada da carro; molti andavano per Rigolato - Sappada con carretti a mano, con quel fondo stradale e quelle rampe da superare. Mio padre in più viaggi potè portare a Pesaris oltre tre quintali di frumento e noi tre fratelli provvedemmo al trasporto a spalla da lì fino a casa con carichi di 35, 25 e 15 chili, cioè un sacco da 75 chili per volta, facendo anche, qualche volta, il viaggio di andata e ritorno nel medesimo giorno, ma era una fatica terribile. Molti altri facevano lo stesso, oggi sembra incredibile.