Pillole di storia  n.1

Dal bel libro che la prof. Anna Comis (insegnate a Pieve di Cadore) ha dedicato ai suoi genitori ed al paese di origine: Casada.
Pubblicato nel 2003

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Copiate parti che sono comuni ai nostri paesi.

(Il regolamento comunale di fine 800 inizio 900 imponeva....)

Per avere diritto al rifabbrico i frazionisti dovevano rispettare le norme previste dal regolamento e dai relativi progetti. Nelle dimore che sorgevano in pendio, l'ingresso delle abitazioni si trovava a pianoterra e di fianco, sul lato meglio esposto. In quelle che erano state edificate su terreni pianeggianti o in debolissimo pendio, l’ingresso si trovava al centro della facciata a valle. L’ingresso immetteva in una “loda” (corridoio) dalla quale si entrava in cucina e in qualche caso nella cantina poste entrambe a monte; sul lato sinistro di chi entrava, c’era la “stua” (tinello) che sorgeva nell’angolo meglio esposto della casa. Al centro della cucina c’era il “larin” (focolare) dove si trovava sempre un “brondin” per l’acqua calda, sormontato dalla tradizionale “napa” (cappa). Attorno al “larin” erano disposte alte panche su due o tre lati. La “stua” era all’interno tutta rivestita di tavole lignee, piallate e verniciate. Essa era l’ambiente nel quale, durante la cattiva stagione, la famiglia trascorreva la maggior parte delle ore. Vi era sempre un grande “forno” (stufa) murata a volta con il relativo “soraforno”. Il forno era sempre addossato alla parete della “loda” sulla quale si apriva l’apertura per il fuoco. Oltre che per il riscaldamento il “forno” serviva alle volte per cucinare il pane di segale o la “peta” dolce tipico. In fondo al corridoio si trovava la scala lignea che portava ai piani superiori dove c’erano per lo più stanze. Dal pianerottolo delle scale, spesso si accedeva al gabinetto. L’ampia soffitta veniva utilizzata anche per mettere ad asciugare i prodotti agricoli e la legna. Le case di legno sopravvissute a questo rifabbrico ricevettero il colpo di grazia nel secondo dopoguerra con la ricostituzione delle antiche proprietà regoliere che concessero contributi a quanti costruirono una casa nuova o rimodernarono radicalmente la vecchia eliminando le costruzioni in legno, un pericolo potenziale in caso d’incendio. Molte case costruite con sasso a vista negli anni ’50 ebbero l’intonacatura con tinteggiature intonate e rifacimenti interni. Altre case furono costruite negli anni ’60.


 

 Pillole di storia  n.2

Dal capitolo "Viabilità" una scrupolosa ricerca sulla storia della strada Campitello-Casada-Costalissoio.

 

La strada principale dell’abitato di Casada era quella detta Ronco-Ronchin; essa partiva da Campitello e metteva alTestremo dell’abitato-Questa strada che, oltrepassato l’abitato di Casada, continuava per Costalissoio, non era certamente una strada agevole. L’ing. Luigi De Candido nella relazione relativa alla costruzione di una nuova strada in sostituzione della precedente così ce l’ha descritta:

“L’attuale strada di vecchia costruzione, mette a capo a Campitello alla testata sinistra del ponticello sul Rio Saucè subito sopra l’altro ponte esistente sulla Consorziale da S. Stefano a Padola. Da questo punto la strada ascende (sale) tortuosamente il versante di ponente del monte su cui sta Costalissoio, spaziando attraverso una grandissima estensione di fertili prati e terreni arativi finché giunge alle prime case di Costalissoio, all'ingresso ovest del villaggio. Essa strada, che misura un’estesa di metri 1700, è quasi tutta incassata nel terreno di una ripidissima falda di monte, la carreggiata è larga non più di metri 1,50 ed in molti tratti meno assai. Il piano carreggiabile è profondamente solcato e danneggiato dalle acque che a lungo andare asportarono la parte minuta del materiale che vi componeva il suolo, mettendo a nudo grossi sassi e deformando la via in modo da doverla giudicare letto di un Rio anziché ima strada.

Tale è la condizione di viabilità in cui oggidì si trova la strada. Venendo poi a dire alcun che sul suo andamento planimetrico è da farsi notare che egli è quanto mai vizioso e perché condotto attraverso i più difficili passaggi che potevasi schivare, e perché presenta nelle rivolte tale strettezza da non permettere il giro dei carri i cui sterzi sono limitatissimi.

L’andamento altimetrico della via non è meno vizioso, poiché presentasi in molti luoghi tratti che si devono giudicare insormontabili giungendo la pendenza nientemeno che al 60%.

E dunque la via attuale nelle più tristi condizioni ed inoltre pericolosa, perché non provveduta sul ciglio esterno da opera alcuna di presidio”.

Gli abitanti di Casada e Costalissoio più volte fecero richiesta al Comune di provvedere ad una via ben sistemata che li mettesse in comunicazione col centro del Comune e con le altre grandi arterie stradali da poco costruite. Tale sentita necessità non potè essere presto soddisfatta perché “ le finanze comunali e le forze dei patrimoni delle Frazioni maggiormente interessate, Casada e Costalissoio, erano stremate e sfinite per le spese per la costruzione delle relative chiese e campanili e Costalissoio per riparare ai danni provocati dall’incendio che consunse nell’anno 1836 metà dei villaggio”. Con le loro richieste ottennero però che venissero appaltati nel 1864 a Giuseppe fu Carlo Comis di Casada lavori di “riatto del tronco di strada che dal viottolo di Stalorenzo, confine con Costalissoio metteva, percorrendo l’abitato di Casada a Ronco, indi a Campitello alla grande strada consorziale del Comelico anche con la costruzione di un ponte ad arco murale traverso il rio Saucè”. Nel 1867 furono appaltati altri lavori di riatto “della strada carreggiata detta di Casada che da Campitello metteva al villaggio di Casada a Pietro De Mario che fu obbligato ad impiegare in tali lavori tutti gli individui di Casada che lo avessero richiesto per così impiegare quella classe operaia dei Frazionisti che in mancanza di lavoro e privi di mezzi necessari alla vita per lo scarso prodotto del suolo sarebbero stati costretti a domandare sussidi”.

Cessate, con l’andare del tempo, “le strettezze finanziarie si potè finalmente nell’anno 1868 pensare seriamente ad aprire una linea stradale tra Campitello e Costalissojo tragittando per l’abitato di Casada”.

Nel 1868 l’Amministrazione Comunale diede incarico all’ing. Civile Luigi de Candido di “studiare la più facile linea su cui sviluppare una comoda strada”.

La Delibera Consigliare 28 marzo 1872, approvò il progetto 11 giugno 1871, compilato dall’ingegnere civile Luigi De Candido, progetto che prevedeva un tracciato che abbandonava quasi da per tutto la traccia del precedente e che si sarebbe sviluppato per una complessiva lunghezza di m. 2.360 e una larghezza variabile da m. 3 a m. 3,90. Erano previsti quattro grandi tornanti “inevitabili e necessari per guadagnare l’altezza delle case di Ronco e la spianata di Medei senza spingere la pendenza oltre il 10%”.

Approvato il progetto era indispensabile reperire i fondi necessari. Il consigliere di Casada Gio:Battista Comis ed il consigliere di Costalissoio Valentino De Mario, visto che la strada era stata inclusa nel 1869 nell’elenco delle strade comunali obbligatorie, ritenevano che tale spesa dovesse gravare sulle casse del Comune Generale come fino ad allora erano gravate le spese di tutte le altre opere, mentre per i restanti 13 consiglieri, rappresentanti delle frazioni di S. Stefano e di Campolongo, le spese dovevano essere sostenute solamente dalle due frazioni interessate. Né la petizione dei frazionisti per ottenere un “miglior riparto di spese e di Consiglieri”, né il sollecito del Prefetto affinché l’Amministrazione presentasse la documentazione necessaria per attingere al fondo speciale previsto dalla legge 30 agosto 1868, valsero a far cambiare idea al Consiglio Comunale. La strada rimaneva sempre quella vecchia strada bisognosa di periodici lavori di sistemazione. Nel 1882 vennero eseguiti, impiegando solo manodopera della frazione, “lavori di riatto della strada comunale che dalla piazza di S. Lorenzo discendeva da un lato a Campitello e dall’altro al Cristo di Ciacitoi verso S. Stefano”. Ai primi del 1900 poiché “la strada non rispondeva più alle esigenze ed ai crescenti bisogni dei frazionisti, sia pel fatto che la stessa rivestiva appena il carattere di strada mulattiera per ragioni non solo della limitata larghezza ma anche a motivo della fortissima pendenza che presentava” l’Amministrazione Comunale affidò l’incarico all’ing. Civile Giuseppe De Zolt di “allestire un progetto a base dell’esecuzione dei lavori”. L’ing. De Zolt apportò delle correzioni e delle modifiche al tracciato dell’ing. De Candido, fissando “definitivamente l’andamento planimetrico ed altimetrico della nuova strada in armonia con la configurazione e la natura del terreno”. Il nuovo tracciato previsto si scostava da quello precedentemente pensato nel tratto in piano da Ronco alla fine del paese; si limitava solamente alla sistemazione della sede stradale già esistente. Il tratto tra il ponte sul rio Saucè ed il confine estremo dell’abitato di Casada in prossimità della casa Janesi Tamon, prevedeva, dove possibile, una larghezza di m. 6 in “considerazione che le zone laterali si prestano per l’impianto di nuove costruzioni così che in epoca non lontana detto tronco figurerà come strada interna del nuovo abitato...nei punti di maggior importanza verranno collocati dei paracarri a presidio della strada non trovandosi attualmente la frazione in condizione di provvedere alla costruzione di una barriera lungo tutto il percorso stradale”.

Anche questa volta si presentò la necessità di reperire i fondi per l'apertura di un primo tronco di strada tra Campitello e Casada "dell'estesa di m. 1.030 e con l’ascesa complessiva di m. 90” e di un secondo tra Casada e l’abitato di Costalissoio “dell’estesa di m. 1.360 ulteriore dislivello di m. 110”.

Per determinare la “caratura da assegnarsi alle due frazioni per il concorso nella spesa da incontrarsi per la costruzione della nuova strada" l'ing. De Zolt prese in esame i seguenti elementi: popolazione (Casada contava 228 abitanti, Costalissoio 622); ricchezza territoriale, agraria, industriale e commerciale; ragione inversa della distanza; lunghezza della strada per la parte di cui ciascuna frazione possa giovarsi. In base a detti elementi il contributo stabilito fu “nella misura di 29/84 per Casada ed f i residui 55/84 per Costalissoio” da corrispondere “colla caratura di cioè di un terzo a sostegno della spesa che verrà incontrata per la costruzione del primo tronco fino a Casada e con l’obbligo di integrare tale versamento ed elevarlo a 55/84 della spesa totale al momento che sarà aperto anche il secondo tronco fino a Costalissoio”.

Per tale opera vennero occupati parte dei terreni di: ....

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I lavori di Costruzione furono assunti dall’impresa Doriguzzi Paolo con atto di aggiudicazione 17 ottobre 1904 e furono collaudati nel 1911.

Nel 1954 l’amministrazione di Casada | fece eseguire lavori per una radicale sistemazione del fondo stradale e di allargamento. Non fu però ] possibile ottenere l’allargamento adeguato proprio all’ingresso della via principale e neppure correggere la pendenza non sempre uniforme. Nel 1957 fu sistemato l’innesto sulla strada provinciale ed eseguita l'asfaltatura anche se non per l’intero tratto. Non era stata asfaltata una rampa, la più acuta, chi diceva per mancanza di fondi, chi invece per non rendere difficile il passaggio durante la stagione invernale. Nello stesso anno fu sistemato anche il tratto rimasto della vecchia strada usato come scorciatoia: “la curta”. Essa fu resa più praticabile e più comoda e completata con una gradinata finale. L’alluvione del 4 novembre 1966 distrusse il ponte sul rio Saucè. Un ponte provvisorio fu ricostruito a tempo di primato e nel 1967 fu riedificato in muratura. Dal 1° luglio 1976 il tratto di strada Costalissoio-Campitello passò alla manutenzione provinciale. Nel 1988 l’Arnministrazione Provinciale appaltò alla Ditta Conte di Padova la posa in opera dei guard-rail in legno sulla strada di Casada eliminando così la pericolosità per le vetture in transito. La ditta Olivotto costruì il muretto di sostegno in via Solferino e contemporaneamente allargò la strada rendendola possibile a parcheggio. Nel 2001 furono rifatti i muri di sostegno che mostravano segni di cedimento in seguito al passaggio continuo di camion carichi di sassi diretti a Costalissoio. Per due anni era stato impedito il regolare transito di veicoli.

 

Pillole di storia  n.3

Dal capitolo "Economia"    ...si legge "Casada" ma vale lo stesso per Costalissoio.

La scelta del sito del paese di Casada è stata detta senz’altro dalla ne­cessità di usufruire di alcuni piccoli terrazzi del pendio, di sfruttare la durata dell’insolazione, di evitare il pericolo rappresentato nel fondovalle dalle piene del Padola.

La popolazione che vi si stabilì si dedicava alle coltivazioni di segale, avena, orzo, fava, ortaggi soprattutto cappucci e “ravi”, e successivamen­te a grano saraceno (paian), fagioli, patate la cui coltivazione venne in- trodotta nel Comelico nel 1807, inoltre venivano coltivati lino e pochi altri prodotti. “Verso levante - scrisse Don Gio:Batta Barnabò, quella val­le (il Comelico) giace in un sito infelicissimo, di terreno quasi del tutto incolto: quivi poverissima è la campagna, quale non scorgersi ripiena che di segale, orzi, marzole, e di gran copia di legumi, in alcuni luoghi di quella vedesi anco frumento, ma non di quella perfezione che si trova nel resto del Cadore, ma a questa loro mancanza supplisce la gran copia di lattici­ni. che misciati coi loro legumi rendono sazie quelle povere genti che per questo solo oggetto vivono assai più, e dimostrano aspetto civile, e di bel sangue e specialmente le donne”. In primavera, quando era ancora per­messo calpestare l’erba e cioè fino al giorno di San Marco, 25 aprile, soprattutto le donne e i bambini raccoglievano erbe commestibili come ra­dicchi da prato (tarassaco), “dota dona” (selene), “gardilogn”, asparagi sel­vatici, grassola (a detta di chi l’ha conosciuta la mia bisnonna conosceva ben 44 tra erbe commestibili e piante per decotti o tisane curative). Que­sta agricoltura, praticata su piccoli appezzamenti di terreno vicino alle­ntato, è sempre stata un’attività complementare come pure la coltivazione di rari meli, peri, susini, ciliegi “marasche”, ribes “uva spina rossa e nera”. Spesso tali coltivazioni non riuscivano ad arrivare alla giusta ma­turazione per le improvvise gelate, per le estati troppo brevi o piovose e allora la popolazione, per poter sfamarsi, era costretta a ricorrere alla di­stribuzione di granaglie dispensate dalla Regola ed acquistate da essa all’ ingrosso in pianura. Tale pratica è attestata anche nella supplica che la deputazione comunale del Comelico Inferiore rivolse “Al R.° Commissa­rio Distrettuale di Auronzo” il 3 marzo 1830 affinché ripristinasse que­sta antica consuetudine. “...Non solo prima del 1798 in cui ebbe luogo la prima Dominazione Austriaca, pur durante la medesima fino nel 1806, la allora Regola di Casada, come ogni altra, distribuiva a vantaggio parziale delle famiglie i proventi dei boschi, concorrendo coi medesimi e con prestiti a suo carico a riparare ai loro bisogni, disponendo dei divanzi delle sue vendite quando ne esigeva necessità. Questo fatto è notorio. Du­rante il regno italico continuò tale disposizione a vantaggio dei Frazioni­sti stessi e venne ritenuta negli stessi preventivi e consuntivi Comunali, che anzi nella scarsezza allora avvenuta dei prodotti campestri e pur con la combinazione delle angustianti vicende di quei tempi, la frazione di Casada e tutte le altre dedicarono tutti i loro proventi rimasti dal paga­mento delle spese ordinarie d’amministrazione a benefìcio dei frazionisti. Ciò stava in correlazione nell’aver quegli abitanti acquistate nei primi tempi le proprietà, ed all’averle disposte a quella specie di prodotto bo­schivo pel loro sostentamento, poiché la natura del suolo e la posizione non presentavano che quest’unico modo, senza cui non avrebbero potuto cam­pare, ne lo potrebbero ugualmente ove si consideri, che li terreni coltivi so­no pochissimi, e che li terreni boschivi non sarebbero suscettibili di una diversa economia. Anche dopo il 1815 fino al 1819 incluso fu praticato un tale riguardo e con l’esame dei conti segreti e legali di quest’epoca in cui la fame gemea all’estremo si scorge tale verità. Posteriormente gli abi­tanti non percepirono che le scarse mercedi dei lavori e condotte delle ta­glie e rimasero li rivanzi in cassa dei rispettivi esattori comunali, come ri­sulta dagli annuali preventivi e consuntivi presso le superiorità. A causa delle tante privazioni a cui per tale mancanza dovettero sottomettersi le famiglie, molte delle medesime sono decadute e versano nella miseria e nella desolazione, altre dovettero costituirsi in debiti molti e gravi, non po­tendosi rammentare le ipoteche innumerabili di cui sono affette le pro­prietà. Nella deficienza di questo detto mezzo di sostentamento a fronte di qualunque sforzo degli abitanti, riesce loro impossibile difendersi dai bi­sogni della vita”.

Anche il 1864 fu un anno di scarso raccolto. L’ing. Antonio Pante nella sua Relazione del 1865 così scrisse: “Essendo stati scarsissimi ed assolutamente insufficienti ai bisogni della popolazione i prodotti del suolo nel Comune di Comelico Inferiore nell’anno 1864 testé spirato, il Consi­glio Comunale nella seduta del giorno 22 novembre 1864 stabilì di far eseguire vari lavori di pubblico vantaggio (sistemazione strade o di ripari ai boschi) in tutte e quattro le frazioni e con questi dare un mezzo di guadagno ai rispettivi frazionisti onde far fronte alla carestia che sop­portano durante il corrente anno 1865. La spesa da impiegarsi in questi lavori fu prevista a secondo delle forze economiche di ciascuna delle fra­zioni quali hanno redditi propri ed interessi separati. L’importo di Casa­da fu stabilito in F. 1.000...”. In seguito a ciò nei contratti, in quel periodo, era riportata la seguente clausola: “E obbligo dell’appaltatore di im­piegare in tale lavoro ripartitamente ed equamente gli individui tutti del­la Frazione di Casada che vi si volessero prestare e che vi fossero atti, avendo l’autorità autorizzato il Municipio a far eseguire il lavoro propo­sto che ritorna a pubblico vantaggio e che permette di occupare la classe operaia dei Frazionisti che, in mancanza di lavoro e priva di mezzi ne­cessari alla vita per lo scarso prodotto del suolo, si sarebbe altrimenti fat­ta a domandare sussidi”.

Pur necessaria, però, la coltivazione rappresentava solo un’attività complementare poiché il vero pilastro dell’economia della popolazione sono sempre stati lo sfruttamento delle risorse forestali e l’allevamento.

 

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Pillole di storia  n.4

Dal capitolo "Economia"    ...si legge "Casada" ma vale lo stesso per Costalissoio.

 

 

L’attività primaria era l’allevamento del bestiame. Nell’ Ottocento e nel Novecento venivano allevati: mucche, vitelle, maiali, pecore e capre. Queste ultime soprattutto da quelli che non possedevano prati sufficienti per ammassare fieno nella quantità necessaria al mantenimento dei bovini nel periodo invernale.

Indispensabile, per un proficuo allevamento, era avere un buon raccolto di fieno. “Nelle vicinanze dell’abitato, secondo la stima Miari, i prati in generale venivano concimati ogni due anni ed alternativamente ogni sei anni circa ridotti a campo e, dopo altri sei, erano lasciati in riposo e ad uso di prato che acquistano il nome di Vara ossia prato grasso. Secondo la loro posizione i prati potevano essere concimati mediante l’introduzione in essi, alle opportune stagioni, delle acque grasse e temperate che apportavano ai medesimi il concime”. Il concime veniva pure trasportato con la “lioda” e sparso qua e là sui prati verso la fine di febbraio o nella prima quindicina di marzo dopo che, sulla neve con le “ciaspe”, si era provveduto a tracciare una specie di strada. Lo scioglimento della neve avrebbe facilitato l’assorbimento del concime. “Ogni anno si procedeva a pulire i terreni dai sassi e da altro materiale spinto in superficie dalle talpe. I campi venivano concimati ogni anno ed arati con l’aiuto di un paio di manzi. Per concimare i fondi, sia arativi ogni anno che prativi ogni due, occorreva che il proprietario fosse provvisto dei seguenti animali: 6 armente, 2 giovenche”. I prati nonostante venissero così opportunamente curati consentivano solo due tagli di fieno all’anno. Il primo taglio iniziava verso la metà di giugno. I falciatori iniziavano a falciare alle prime luci dell’alba in modo che la rugiada facilitasse lo scorrere della lama e che l’erba tagliata potesse asciugarsi al sole nelle ore centrali. Verso le 7.30 facevano una pausa e approfittavano per fare colazione, quindi riprendevano lo sfalcio e continuavano fino alle ore 10 circa e cioè fino a quando il sole cominciava a scaldare troppo. Gli “andei” che si formavano con il taglio della falce venivano “spanti” con una forca di legno o ferro dalle donne e dai bambini. Il prodotto dello sfalcio, dopo essere lasciato sparso al suolo per l’essicazione, veniva raccolto il giorno successivo se il tempo lo permetteva, diversamente veniva ammassato sui cosiddetti pali da fieno, piantati verticalmente nel terreno e vi rimaneva finché era asciutto. L’erba, una volta secca, veniva raccolta in “viestre”. Ogni 5-7 di queste bracciate di fieno pressato venivano raccolte in un fascio e legate con la “funathela” corda di cuoio oppure con il “righin” corda di canapa. Il fascio, trasportato solitamente dagli uomini, era issato sulla testa con l’aiuto di uno o due compagni. Il fieno veniva conservato nel tabià (tabié) posto in paese o nel barco se i prati erano lontani dall’abitato. Il “tabié” era un fabbricato rustico con stalla nel piano inferiore e, sopra, il deposito del fieno, l’aia (èra) interna, spazio posto tra la porta piccola e quella grande usato come passaggio per andare in soffitta, nel periodo autunnale era utilizzato per battere l’orzo e la segala. Gli ampi ballatoi (pnize) venivano utilizzati per essiccare i prodotti dei campi o il lino od il fieno se a causa del cattivo tempo non si era essiccato adeguatamente sul prato. A Casada i tabià di grandi dimensioni erano usati da più proprietari.

Chi terminava la fienagione prima poiché aveva meno prati, aiutava gli altri. Terminata la fienagione verso il 22 luglio, S. Maria Maddalena, delle “vare” vicino al paese, iniziava quella dei “colnei”, cioè dei lotti di segativo, in alta montagna.

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Pillole di storia  n.5

Dal capitolo "Economia"    ...si legge "Casada" ma vale lo stesso per Costalissoio.

 

Quando...

 

 ...fondi distavano più ore di cammino dall'abitato così le persone, per periodi più o meno lunghi, solitamente una settimana, nel mese di agosto si trasferivano vicino ai fondi da falciare e dormivano nei “barchi” sul fieno e cucinavano all’aperto. Il fieno di monte profumato e ritenuto molto energetico era gradito dalle mucche alle quali veniva dato mescolato all’altro fieno. Il fieno tagliato in montagna veniva conservato nei “barchi” o in “mede” pressando il fieno attorno ad un palo centrale formando un covone. Tale fieno veniva trasportato a valle nel periodo invernale con le “liode”, utilizzate anche per il trasporto  della legna. Per andare a recuperare il fieno era necessario partire verso le quattro del mattino, data la distanza. Completato il carico della “lioda”, il guidatore, impugnate le due prese laterali, si sedeva sul davanti della slitta poggiando la schiena sul cumulo di fieno e con i piedi puntati sulla neve doveva frenare la corsa della slitta. Prima di iniziare i tratti di discese ripide e scoscesi, venivano messi sotto i pattini della “lioda” delle catene in ferro che, facendo attrito sulla neve, ne rallentavano la corsa.

Terminata la fienagione in alto a metà settembre riprendeva la falciatura del secondo fieno “otigoi” delle vare.

Tutte le persone si dedicavano nel periodo estivo alla fienagione poiché il bestiame, salvo qualche capo che veniva tenuto in paese per il latte, era condotto all’alpeggio, dopo la festa di S. Giovanni 24 giugno. La smonticazione avveniva a Santa Croce, 14 settembre. Queste date non venivano mai cambiate se non per la permanenza od il sopraggiungere della neve. Chi aveva la possibilità o personalmente o pagando qualche persona (pastura) poteva prima e dopo l’alpeggio far pascolare i propri animali nei pascoli promiscui di Val Visdende e pernottare nella casera di Prà Marino o nella casa di Casada al di là del “roi”. Chi non aveva questa possibilità, prima e dopo l’alpeggio poteva condurre i propri animali al pascolo nelle proprietà della Regola,....... Dopo la Madonna del Rosario, la domenica d’ottobre, quando erano stati raccolti il secondo fieno ed i prodotti dei campi, era consentito pascolare anche sui prati privati.

Nei tempi passati, per condurre gli animali all’alpeggio, gli abitanti di Casada dovevano rispettare scrupolosamente il percorso d’andata e quello di ritorno stabilito nel loro Laudo7.

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Pillole di storia  n.6

Dal capitolo "Economia"    ...si legge "Casada" ma vale lo stesso per Costalissoio.

 

Quando...

 

Gli abitanti, nei secoli precedenti, per integrare le entrate delle attività legate all’allevamento ed alla modesta agricoltura, trovavano occupazione nei lavori boschivi, nei lavori di ripristino strade, ponti, fontane, tutti lavori che la Regola ogni anno predisponeva, o nella costruzione di edifici pubblici come la chiesa nella metà del 1800 o delle scuole all’inizio del 1900. Molti trovavano lavoro nella costruzione nel 1800 delle Grandi Strade oppure nella prima metà del 1900 nella costruzione della diga della Valle. Quando non c’era possibilità di lavoro in zona, molti uomini, anche giovanissimi, emigravano stagionalmente per trovare lavoro come carpentieri, muratori, falegnami, manovali, braccianti, taglia pietre ecc. in Austria, Germania ed in altri stati europei. Questo tipo di emigrazione non aveva ripercussioni dannose sul numero degli abitanti, poiché si trattava solo di temporanea assenza degli uomini, che partivano a marzo per rientrare quando il freddo interrompeva i lavori all’estero. Verso il 1910 e in un’ondata successiva nel 1925-26, a questa migrazione stagionale si affiancò un’altra migrazione quella oltre oceano negli Stati Uniti, nell’America del Sud, in Nuova Zelanda ed in Australia. Partirono in molti uomini, anche più d’uno per famiglia; al paese rimasero i familiari a cui si spedivano i risparmi per sistemare la casa o acquistare un po' di terra. Solo alcuni di questi emigranti fecero ritorno, molte famiglie rimasero smembrate. I giovani all’estero si sposarono e formarono una famiglia senza più fare ritorno in patria. Altri, poiché il benessere di molti paesi stranieri migliorava, chiamarono presso di sé il resto della famiglia. Dopo la seconda guerra mondiale, diminuì l’emigrazione oltre oceano a vantaggio di quella per i paesi europei quali Svizzera, Germania, Belgio, Francia ed altri. Verso il 1930, anni di crisi mondiale, alcuni giovani di Casada a piedi si recarono in Liguria e in Piemonte in cerca di lavoro: i più fortunati trovarono dei lavori saltuari altri dovettero subito fare ritorno. Altri giovani del paese  trovarono lavoro per la bonifica delle paludi Pontine: tornarono a casa ammalati di malaria. Nel 1956 e 57 in conseguenza delle migliori prospettive economiche che offriva particolarmente la Svizzera, da una parte, e l’insicurezza dell’occupazione sul posto, dall’altra, l’emigrazione aumentò oltre il previsto. In quegli anni si intensificò pure l’emigrazione interna diretta soprattutto nelle città di Milano, Roma e Torino oltre che nel Centro Cadore, nella Val del Boite e nel resto del Veneto.

 

 

 Pillole di storia  n.7

Dal capitolo "Economia"    ...si legge "Casada" ma vale lo stesso per Costalissoio.

 

 

Dal capitolo "Le guerre"...

 

 

Le fonti di sostentamento della popolazione del Comelico e di conseguenza di Casada, prima della grande guerra, si basavano soprattutto sull’allevamento, sullo sfruttamento delle risorse forestali e su una limitata agricoltura. Questo trova conferma anche nella relazione, 20 settembre 1918, stesa dai sindaci e dai parroci dei Comuni del Comelico ed inviata All’I. R. Comando Gruppo Belluno. “...Nel Comelico, per la sua posizione altimetrica e accidentata di piccoli piani, di valli e rive; per gli alti monti rocciosi e nudi che la circondano; per la natura stessa del terreno formato di ghiaie e di sedimenti; per la brevità della buona stagione che si apre in maggio e si chiude in ottobre, i prodotti del suolo, in derrate, sono molto limitati e scarsi: poca è la campagna coltivabile; incalcolabile o nulla la coltivazione del granoturco e dei fagioli; pochissimi i campi a frumento e a segala; un po’ più estesa la semina delle patate; in complesso tali derrate possono bastare tutto al più per il vitto della popolazione per tre mesi all’anno. I prodotti principali del luogo sono: a) Il foraggio, mercé il quale era florida la pastorizia, l’allevamento del bestiame e l’industria casearia; ogni piccola borgata teneva aperta una latteria sociale, ove venivano confezionati i prodotti latticini, formaggio, burro, ricotta i quali unitamente al commercio del bestiame, erano fonte di guadagno e formavano la principale risorsa delle famiglie private; b) La merce legnosa da commercio, ricavata dai boschi di piante conifere, mediante il taglio annuale che praticavano i Comuni fruttavano le entrate con le quali i Comuni, oltre a sopperire alle spese dei loro bilanci, supplivano alle deficienze delle famiglie, mediante elargizioni di somme per beneficenza ai poveri, forniture di generi di vitto alla generalità della popolazione e davano pure occupazione agli operai boscaioli, che generalmente vi attendevano alternativamente ai lavori, di campagna, prima e dopo la falciatura del fieno. In tal modo, con tali risorse, e mercé altri lavori che abbondavano, le famiglie vivevano quasi agiatamente, provvedendo dalla pianura e dai luoghi di produzione i generi che non produce la campagna locale, come il granoturco, il frumento, il riso, ecc.”. Le condizioni di vita della popolazione inevitabilmente con la guerra del ’15-18 peggiorarono. Gli uomini ed i giovani furono chiamati sotto le armi; rimasero in paese solo vecchi, donne e bambini che, da soli, si trovarono a dover svolgere tutti i lavori inerenti l’allevamento e l’agricoltura.

La situazione si fece ancora più critica nel novembre 1917, dopo la ritirata di Caporetto. Alla popolazione in seguito ad un ordine dell’Autorità militare italiana fu imposto di abbandonare la propria casa ed i propri beni. I primi partiti riuscirono ad arrivare a Calalzo, prendere il treno “tradotta” ed andare profughi; ad esempio la famiglia di mia nonna Annunziata in provincia di Ferrara presso una famiglia di contadini. Parte degli abitanti di Ca-sada che erano partiti successivamente ai precedenti, arrivati a Calalzo giunsero troppo tardi per prendere la “tradotta” e dovettero rimanere nei comuni del distretto di Pieve, molti a Nebbiù, come mia nonna Graziosa, paese di origine del Mansionario don Zoppa: anch’egli aveva dovuto abbandonare Casada. Nel periodo in cui i profughi rimasero lontani i loro campi e prati in Comelico vennero lavorati da coloro che non avevano potuto partire come è testimoniato dal documento.

Altri dovettero rimanere in paese e dar fondo a tutti i risparmi fatti prima dell’occupazione e privarsi anche di biancheria, di capi di vestiario, di ori, di argenti, di rame e di quanto potevano dare in cambio di generi alimentari. Cibo che “gli individui sani d’ambo i sessi, quali pellegrini erranti, sfidando l’imperversare del tempo, affrontando la neve, il gelo e le intemperie, per sentieri pericolosi e valicando montagne” si procuravano recandosi nel Friuli, soprattutto nella Carnia. Ad immiserire maggiormente la popolazione contribuirono anche le requisizioni operate dall’esercito di animali bovini e da tiro, di foraggi, di lana e per le quali non venne effettuato alcun pagamento.

 

 

Pillole di storia  n.8

   Dal capitolo "Le guerre"...       ...si legge "Casada" ma vale lo stesso per Costalissoio.

 

La situazione non migliorò nemmeno con la fine della guerra: beni requisiti, case saccheggiate, mancanza di riserve alimentari, interruzione dello vie di comunicazione, pochi i capi bovini per cui non fu possibile aprire le latterie sociali, I comuni erano senza fondi di cassa e quindi si trovavano nell'impossibilità di provvedere ai servizi pubblici, all’assunzione di operai, ad aiutare le famiglie, a prendere provvedimenti per l'approvvigionamento di viveri.

 

Nell'inverno del 1918 alle morti causate dalla guerra si aggiunsero quelle provocate dall'influenza battezzata ‘Spagnola’. L’epidemia influenzale causata dal retrovirus A del genere Orthomyxoviridae, responsabile in genere di banali affezione alle  mucose respiratorie, dopo febbre altissima, complicazioni polmonari, causò la morte soprattutto dei giovani.

Nel dopoguerra il Mansionario don Angelo Arnoldo, Cappellano Militare del 7* Reggimento alpini, si prodigò nella raccolta di salme sulle montagne del Longiarin, del Cavallino, del Quaterna, dell’Aiarnola, del Chivion, dal Sesis e del Peralba che furono sepolte nel cimitero di guerra di S Stefano da lui ideato e da lui sollecitato. Nel cimitero fatto erigere nel 1923 per volontà di Alberto Lobetti-Bodoni in memoria del figlio Adriano caduto sul Rothech nel 1915, vi sono sepolti 831 italiani. 109 austriaci. 1 boemo, 1 ascaro tutti, raccolti dalle pietose mani di Don Angelo.

A quésti si sono aggiunti: la salma dell’alpino restituita nell'estate del 1983 dal ghiacciaio di Popera ai piedi del Passo della Sentinella e tumulata il 13 agosto alla presenza del Presidente della Repubblica ed i resti del milite della prima guerra mondiale ritrovati anche questi nel Vallon Popera e sepolti con una solenne cerimonia il 9 agosto 2003. Vi sono inoltre sepolti cinque militari italiani caduti nel secondo conflitto mondiale.

In seguito all’invasione nel 1935/36 dell'Etiopia, allora meglio conosciuta come Abissinia, la Società delle Nazioni impose all’Italia sanzioni economiche. Par controbilanciare gli effetti delle sanzioni e per sopperire alle necessità della guerra, il 18 novembre 1935 tutte le donne italiano furono chiamate a donare le loro fedi nuziali ricevendo in cambio una di ferro con la scritta "Oro alla Patria".

 

Pillole di storia  n.9

   Dal capitolo "Le guerre"...       ...si legge "Casada" ma vale lo stesso per Costalissoio.

 

Allo scoppio della II guerra mondiale il 1 settembre 1939, l’Italia adottò la posizione di “non belligeranza”, ma in seguito alla dichiarazione di guerra, 10 giugno 1940, partecipò al conflitto. Con la guerra l'amministrazione del Comune di S. Stefano assunse carattere straordinario e venne nominato un Podestà: Giovanni Fontana. Dalla sua pubblicazione “Durante la guerra e l’occupazione tedesca dal 1939 al 1945” ho ricavato le seguenti informazioni: “ Il Podestà era l’amministratore unico del Comune e doveva provvedere: - alla gestione tecnica ed amministrativa del patrimonio silvo-pastorale delle frazioni ed al godimento, da parte della popolazione, dei diritti di rifabbrico, di pascolo e di legnatico (compiti ora assolti dalla regola); - al tesseramento annonario; - al rifornimento di viveri extra tesseramento; - all’assistenza ai richiamati ed alle loro famiglie; - all’assistenza in generale (E.C.A. Ente Comunale Assistenza; O.N.M.I. Comitato Comunale dell’Opera Nazionale Maternità e Infanzia; Mutua Sanitaria Comunale per l’assistenza medica, farmaceutica, ospedaliera. Del comitato amministrativo di tale ente faceva perte Gio:Batta Comis) ed altro ancora. In aiuto al Podestà vennero nominati dei collaboratori. Per Casada fu nominato fiduciario Gio:Batta Comis (1874-1950) che in seguito all’istituzione dei commissari prefettizi, dal dicembre 1941 in applicazione della Legge sugli Usi Civici, fu sostituito dal commissario frazionale Gilmo Mario e quest’ultimo nel 1944 da Gaetano Comis Da Ronco (1892-1980). In seguito all’occupazione tedesca per meglio assistere e guidare la popolazione fu istituito un Comitato Consultivo ed il rappresentante di Casada era Antonio Giuseppe Comis da Ronco. Comis Carlo (1896-1946) era capo delle guardie boschive e faceva parte dell’équipe che provvedeva a tutte le complesse, numerose operazioni necessarie per le utilizzazioni boschive e per la segagione dalla martellata delle piante effettuata dalla Milizia forestale, alla consegna del segato agli Enti Militari. Nel periodo bellico consistenti erano gli scambi di legname e di legna da ardere con generi alimentari, principalmente cereali che venivano venduti alla popolazione extra tesseramento a prezzo di costo ed anche a prezzi ridotti o gratuitamente... L’assistenza ai bambini ed ai ragazzi, specialmente per ovviare alle deficienze alimentari veniva effettuata attraverso l’O.N.M.I., il Patronato scolastico con distribuzione negli asili e nelle scuole di ricostituenti e con la refezione scolastica. Nel periodo estivo l’assistenza continuava con le colonie elioterapeutiche realizzate negli edifici scolastici.

Nell’estate del 1944 i tedeschi stanziavano ad Auronzo e a Sappada e, talvolta, passava per il Comelico qualche camion di tedeschi per i rifornimenti. In uno di questi passaggi fu arrestato il partigiano Fiori Comis, che transitava con la motocicletta del macellaio Bruno Mario e portato al Presidio di Sappada. I partigiani locali chiesero al Podestà di recarsi a Sappada per cercare di ottenere la liberazione. Il Podestà Giovanni Fontana, dopo essersi informato sull’attività svolta da Fiori, assieme a Bruno Mario si recò al Presidio di Sappada dove testimoniò che Fiori aveva lavorato a raccogliere foraggio ed a far legna in montagna. Bruno Mario asserì che la moto gliel’aveva prestata. La loro testimonianza concordò fortunatamente con le risposte date dal Fiori negli interrogatori subiti. Il Podestà potè ottenerne la liberazione e ritornarono, accolti lietamente, a S. Stefano.

Dopo la liberazione, 25 aprile 1945, su designazione dei Comandanti dei Partigiani e del Locale Comitato Nazionale di Liberazione, fu costituita una Giunta Popolare. Fu nominato sindaco l’ing. Fausto De Zolt, assessore di Casada fu Gaetano Comis da Ronco e membri Antonio Giuseppe Comis Da Ronco ed Ermes Mario. La Giunta popolare fu sostituita da una amministrazione nominata dai capi famiglia il 29 luglio 1945”.

 

Pillole di storia  n.10

   Dal capitolo "La nuova Parrocchia"...       ...si legge "Casada" ma vale lo stesso per Costalissoio.

 

La Mansioneria di Casada, con la partenza e successiva scomparsa nel 1917 di Don Luigi Zoppa l’ultimo mansionario titolare a Casada, rimase senza mansionario; il Cav. Don Angelo Amoldo mansionario délia frazione di Costalissoio fu incaricato anche per la frazione di Casada. Nel 1934, con la partenza di Don Angelo Amoldo pure la mansioneria di Costalissoio restò scoperta. Solo nel 1948 fu nominato mansionario per le frazioni di Casada e Costalissoio Don Riccardo Strim. Fu stillato un apposito capitolato dei diritti e doveri, firmato da Don Nicolò Bortolot, Don Riccardo Strim, che accettava la nomina, e dai capifrazione Lorenzo Comis e Valentino Somià. Con taie accordo, le due amministrazioni frazionali s’impegnarono a pagare al mansionario lire 22.700 mensili. Con la rinata Mansioneria si fecero sempre più pressanti le richieste, che si protraevano ormai da 15 anni, degli abitanti di Casada e Costalissoio, desiderosi di staccarsi da S. Stefano ed avere tutti i servizi religiosi sul posto, per ottenere la Parrocchia. Dopo che essi, tramite il commissario Serse Baldovin, si erano accordati con la Curia di Belluno, 116 capifamiglia inoltrarono un esposto all’ammistrazione regoliera per chiedere il sollecito svolgimento delle pratiche necessarie per l’erezione in parrocchia della rinata mansioneria. Ottenuto il parere favorevole dell'assemblea dei regolieri, il commissario il 18 ottobre 1950, la delibera n. 100, con la quale si chiedeva alla Superiore Autorità Ecclesiastica la costituzione della parrocchia, assicurando al futuro parroco l’uso gratuito della casa canonica e un trattamento economico pari allo stipendio base di un segretario comunale di 8a cat., ciò secondo diritti storici (si veda la nota n. 4 Fabbriceria pag. 147). La delibera commissariale fu approvata dalla Giunta Provinciale Amministrativa il 9 novembre 1950. L’Ordinariato Diocesano, al quale la delibera era stata inviata, ritenendo sufficienti le garanzie offerte, procedette con Decreto Vescovile dei 21 dicembre 1950 all’erezione della nuova Parrocchia di Costalissoio e Casada. Casada era entrata a far parte délla nuova parrocchia sia per ragioni pastorali che per una razionale distribuzione di compiti e di lavoro, sia in seguito ad una petizione della maggioranza dei capifamiglia di detta frazione. La minoranza, che propendeva a mantenere i legami con S. Stefano e contestava la validità delle firme della maggioranza, impedì che l'ente Regola accettasse e convalidasse per alcuni anni l’operato délla Curia Vescovile. Anche il Consiglio Comunale, non per motivi d’ordine religioso, ma per motivi di prestigio, d’interesse, di conservatorismo diede la sua approvazione solamente quando si trovô nella necessità di riconoscere questa Parrocchia per poter appoggiare favorevolmente nel 1955 la richiesta per l’erezione della nuova Parrocchia di Campolongo. La nascente Parrocchia di Costalissoio-Casada fu solennemente proclamata nella Chiesa di Costalissoio, gremita di gente, il 24 dicembre 1950.

 

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Pillole di storia  n.11

   Dal capitolo "Preti"...       ...si legge "Casada" ma vale lo stesso per Costalissoio.

 

 

Don Riccardo Strim, nato a Caviola (Falcade) il 29 aprile 1920, ordinato Sacerdote a Belluno il 3 giugno 1944, fu Cooperatore a S. Stefano di Cadore fino all'agosto 1947, quindi mansionario di Costalissoio e Casada e dal 25 gennaio 1951 primo parroco della appena istituita Parrocchia di Costalissoio e Casada. Rivestì questa carica per breve tempo poiché, il 14 novembre 1951, morì in seguito ad infortunio stradale al ritorno da una visita fugace ai propri genitori. “Don Riccardo a bordo della “Guzzi” assieme al suo amico e discepolo don Giuseppe Clere, mentre viaggiava verso il Comelico, lungo il tratto di strada che da Macchietto porta a Perarolo, ha sbandato paurosamente, non si è mai saputo per quale causa sbattendo contro un muretto di protezione e su un palo delle linee telefoniche ferendosi gravemente. Trasferito all’Ospedale di Pieve alle ore 17 cessò di vivere” (Stella Alpina bollettino Parrocchiale di Costalissoio e Casada Anno 1° dicembre 1951 n. 3).

Il rev.mo pievano dì Candide, Don Giuseppe De Cassan, nella commemorazione funebre da lui tenuta alle esequie di Don Riccardo lo ricordò "collaboratore instancabile assiduo a tutte le opere del ministero, umile e docile a tutti gli insegnamenti, riconoscente e grato di ogni attenzione, premuroso sempre ad ogni bisogno. La sua pietà e la sua virtù, la sua gentilezza e bontà d’animo lo resero subito caro a tutti... Per ben 4 anni lo videro S. Stefano, Campolongo, Costalissoio e Casada passare per le strade frettoloso e sorridente per portarsi alle diverse chiese per la celebrazione dei divini ministeri, per la visita agli ammalati, per l’istruzione catechistica... fino a quando dal Pievano meritò l’assegnazione di cappellano esposto per la cura delle due frazioni di Costalissoio e Casada con residenza a Costalissoio. Il 1951 lo vide Parroco di Costalissoio e Casada...”.

Fra i molti articoli di commemorazione riportate sul bollettino parrocchiale così scrisse una parrocchiana di Casada “Alla distanza di un mese dalla dipartita del nostro don Riccardo, abbiamo avuto modo, noi di Casada, di espemerimentare tutto il vuoto che egli ci ha lasciato. Sebbene distanti dalla sede parrocchiale, quasi moltiplicando la Sua presenza, Egli nulla ci ha mai lasciato mancare. Il Suo zelo e la Sua premura ci hanno procurato un trattamento pari a quello del Centro. E noi lo vedevamo tutte le Domeniche venire di corsa, il mattino, per la Messa, e, il pomeriggio, per il Catechismo e le SS.me Funzioni. Lo vedevamo lungo la settimana venire, a giornate fìsse, per le Messe feriali, per la Dottrina ai piccoli, per la visita a qualche ammalato, per le varie adunanze e per aver modo di incontrarsi con chiunque dei Suoi figli spirituali. E come desiderava questi incontri! A tutti aveva una parola da dire; a tutti un consiglio da dare; a molti un richiamo da fare. E come si leggeva in Lui la sete di conquistare tutti a Cristo; il desiderio che tutti diventassero buoni; il dolore perché molti vivono lontani da Dio! L’ardore della sua anima si manifestava ovunque; in Chiesa e fuori di Chiesa; e la sua voce, se assumeva il tono forte quando stigmatizzava il vizio e l'errore, aveva flessioni di carità e di dolcezza per coloro che ne erano le vittime quasi inconsce. A quanti di noi Gli volevano far capire che avesse dei riguardi per la salute, rallentando se necessario, i viaggi a Casada, Egli aveva una parola sola: -Abbiamo una sola vita per servire Iddio e le anime e val bene la pena di spenderla tutta e presto.

 

 

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Pillole di storia  n.12

   Dal capitolo "Preti"...       ...si legge "Casada" ma vale lo stesso per Costalissoio.

 

Don Aurelio Frezza (nato a Joeuf il 21 novembre 1910, morto a Limana il primo maggio 1981) fu Parroco a Costalissoio-Casada dal 14 febbraio 1952 al 13 ottobre 1974. Era giunto in parrocchia, come lui stesso riportò nel Bollettino “Stella Alpina (aprile 1952 anno 2° n. 1) il 16 febbraio, in ritardo  rispetto al previsto, per intralci indipendenti dalla mia volontà, accolto dalle autorità e dalla popolazione che si era mostrata impaziente di vedermi. La cerimonia della presa di possesso della Parrocchia fu compiuta la Domenica 24 febbraio alla presenza di autorità comunali e regoliere”.

Mentre era parroco di Costalissoio e Casada Don Aurelio celebro il 25mo del suo sacerdozio e nel santino ricordo di tale avvenimento così scrisse:

Soli Deo honor et gloria Ad Rom., XVI, 27

 

Dall’alto dei miei 25 anni di Sacerdozio rivedo riaffioranti in sequenze luminose tante persone benevoli che mi furono gaudio e corona a CASTION dove mossi impaziente i primi passi nel ministero sacro a OSPITALE DI CADORE dove la generosità dei cuori diede ali all’opera multiforme a TAMBRE D’ALPAGO dove l’onerosità dei compiti fu temperata da rispondenza unanime a COSTALISSOIO CASADA che con i suoi riposanti panorami mi riserva tanta tranquillità rivedo tanti volti coronati di gloria incontrati sui campi di battaglia della Marmarica e di E1 Alamein e nei campi di prigionia dell’Algeria a tutti va oggi il mio ricordo pieno di affetto e di nostalgia a Dio Onnipotente il mio grazie dal profondo del cuore per il bene che forse ho potuto compiere.

8 luglio 1959 Don Aurelio Frezza


Il 13 ottobre 1974 dopo 22 anni, Don Aurelio Frezza lasciò, per motivi di salute, la guida della parrocchia di Costalissoio-Casada. Alla Messa e alla successiva cerimonia di commiato e di ringraziamento a Don Aurelio svoltasi nella sala della parrocchia erano presenti autorità militari, civili, religiose e la quasi totalità della popolazione delle due Frazioni. Sia il Sindaco che i Caporegola come pure i giovani ringraziarono ufficialmente il reverendo parroco Don Aurelio “per aver speso nella alta e nobile missione di sacerdote oltre 22 anni, che non sono pochi nella vita di una persona, sia per assolvere i suoi compiti strettamente spirituali e religiosi, che prodigarsi a favore di quanti a Lui sono ricorsi bisognosi del suo consiglio, della sua paterna parola, del suo aiuto per disbrigo di pratiche non attinenti al suo magistero...”.

 

 

 Pillole di storia  n.13

   Dal capitolo "Preti"...       ...si legge "Casada" ma vale lo stesso per Costalissoio.

 

Don Sisto Berton (nato il 19.7.1938 a Pederobba dioc. di Treviso) ordinato sacerdote il 28 giugno 1966, fu Vicario cooperatore a Rocca Pietore (1966*1968), a Polpet (1968-1970), Parroco di Borsoi (1970-1974), Delegato Vescovile a Tignes (1973-1974), Parroco di Costalissoio-Casada (dal 13 ottobre 1974 al 10 settembre 1978), Parroco di Mareson (1978-1986), Amministratore parrocchiale a Goima (1981-1984) e a Perarolo di Cadore (1.10.1986), Parroco di Ospitale di Cadore (17.11.1986). I Parrocchiani nella cerimonia di commiato ringraziarono Don Sisto soprattutto “per la carità e l’amore evangelico dimostrato con le visite frequenti ai nostri ammalati e degenti in casa di riposo” (Le Campane della mia Parrocchia n. 1 marzo 1980).

 



Don Riccardo Suster Romei (nato a Milano il 15 aprile 1940) ordinato sacerdote il 31 maggio 1969 fu Vicario cooperatore a Castion (1969-1971), ad Auronzo-Villagrande (1971-1972), Cappellano all’Ospedale Civile di Belluno (1973-1977), Parroco di Costalissoio-Casada (1978-1979), Vicario cooperatore a Castion (1979-80,1981-82), a Limana (1982-1983), Assistente Religioso aH’Ospedale di Feltre. Prese possesso della parrocchia di Costalissoio-Casada il 10 settembre 1978 e la lasciò, per altro incarico, alle ore 16 nell’aprile del 1979. Dalle pagine de “Le Campane della mia Parrocchia” Don Riccardo è stato ringraziato “per il vigore e la “forza” che la sua fede profonda trasfondeva con la parola ai fedeli.

 

Don Bruno Bersaglio (nato a Salce -comune di Belluno- il 28 marzo 1914) ordinato sacerdote l’il giugno 1938, fu Vicario cooperatore a Cesiomaggiore (1938-1942), ad Aune (1942), Parroco a S. Donato (1942-1945), a Villapaiera (1945-1954), a Cergnai (1954-1967), Assistente religioso all’Ospedale di Lamon (1967-1971), all’Ospedale Pullir (1971-1979), Vicario parrocchiale a Costalissoio-Casada (1979), Parroco di Norcen (1979-1986), Canonico della Cattedrale di Feltre (1.12.1986).

Rimase nella Parrocchia di Costalissoio-Casada solamente dall’aprile al novembre del 1979 a causa di una malferma salute. Ritornò Domenica 17 aprile 1988,3° di Pasqua., per celebrare il 50° anniversario della sua consacrazione sacerdotale nella Parrocchia di Costalissoio-Casada, accolto e festeggiato dalla comunità parrocchiale che gli rivolse espressioni di stima ed affetto.

 

 

Pillole di storia  n.14

   Dal capitolo "Regola"...       ...si legge "Casada" ma vale lo stesso per Costalissoio.

 

La Comunità Cadorina, con varie concessioni 2 luglio 1704,8 febbraio 1715,12 luglio 1749, 18 giugno 1750, 5 dicembre 1750 e 16 agosto 1752, (concessioni di cui si è già parlato) aveva assegnato in proprietà allodiale, cioè libera da ogni vincolo feudale, al Centenaro di Comelico di Sotto molti boschi e pascoli nella Valle Visdende. Il Centenaro di Comelico di Sotto era costituito dai Comuni di Casada, di Mezzo e di Oltrerino. Il Comune di Casada comprendeva allora le Regole di Costalissoio e di Casada, oggi Frazioni del Comune di S. Stefano, e di Mezza Danta di Sotto, oggi Frazione del Comune di Danta; il Comune di Mezzo o di Santo Stefano comprendeva le Regole di Campolongo e di S. Stefano, oggi Frazioni del Comune di S. Stefano; il Comune di Oltrerin comprendeva le Regole di S. Pietro, Costalta, Valle e Presenaio, componenti oggi il Comune di S. Pietro di Cadore.

Particolare curioso è senz’altro il riferimento a Mezza Danta. Mons. Da Ronco nel suo manoscritto spiega tale particolarità: “Danta era divisa in due parti denominate: Mezza Danta di Sopra e Mezza Danta di Sotto per la posizione dell’una relativamente alla posizione dell’altra, e perché ognuna contava pressappoco la metà degli abitanti, e ancora perché quella di Sopra fu data alla Centuria di Comelico Superiore e quella di Sotto alla Centuria del Comelico Inferiore. Il punto di confine per l’una e Faltra era la fontana che dava l'acqua al paese. Dapprima quindi la divisione era determinata dal sito delle case di abitazione in quanto cioè erano sopra o sotto la fontana, in seguito venne fatta per famiglie, e alla Mezza Danta di Sopra furono assegnate le famiglie Doriguzzi e Maddalin; alla Mezza Danta di Sotto le famiglie Menia, Mattea e Tosi. La divisione che era determinata dal sito delle case di abitazione risale senza dubbio all'epoca della divisione del Cadore in dieci Centurie o Centenari, avvenuta secondo ogni probabilità intorno al 1337. La divisione poi per famiglie e la rispettiva assegnazione fu stabilita con apposita sentenza nel 1670”.

I tre Comuni componenti la Centuria nel 1765 divisero i detti beni in due parti: una da godersi indivisa e comune, o promiscua, “a sussistenza dei pascoli, per le fabbriche (case, stalle e fienili), stroppi, scandole (tegole di legno), e madieri da focolar (combustibile per uso familiare), ma non per mercanzia”; un’altra da dividersi per terzo fra i tre Comuni, per essere goduta da ciascuno di essi separatamente. Il rogito 20 ottobrel765 del notaio Pellizzaroli contiene la descrizione della parte lasciata promiscua (si veda il capitolo “Un po’ di storia”).

Con la convenzione 22 dicembre 1765 presentata al Consiglio Nuovo dei XL (Quarantia Civil Novo) e da questo promulgata il giorno successivo, i beni goduti dal Centenaro di Comelico di Sotto in Val Visdende vennero suddivisi in parti uguali fra i tre Comuni che formavano detto Centenaro e precisamente il Comune di Mezzo con le frazioni di Santo Stefano e Campolongo, il Comune di Casada con le Frazioni di Casada, Costalissoio e Mezza Danta di Sotto, ed il Comune di Oltre Rin con le Frazioni di San Pietro, Valle, Presenaio e Costalta. Rimanevano in godimento promiscuo tutti i terreni di cui l’annotazione Pellizzaroli 20 ottobrel765, ossia praticamente i boschi ed i pascoli di fondo valle. La volontà di dividere anche questi beni si concretizzò con la convenzione 9 settembre 1844 fra i Comuni di Santo Stefano e San Pietro. Per arrivare a questo accordo fu concesso una «Antiparte» al Comune di San Pietro, riluttante all’inizio alla divisione poiché aveva maggior possibilità rispetto agli altri comproprietari di utilizzare i beni indivisi data la sua vicinanza ai beni medesimi. Per convincere alla divisione il Comune di Comelico Inferiore che si lamentava per la troppa estensione dell’antiparte, fu addotto questo motivo: “I boschi promiscui di Visdende, dal 1765 a questa parte, non offersero al Comune di Comelico Inferiore che poco o nessun vantaggio, avendo servito la maggior parte agli usi del Comune sol S, Pietro di combustibile, scandole e di stroppi, il qual Comune ha fatto dei medesimi man bassa con grave danno dell’economia forestale; ad onta di un sacrifìcio toma conto al Comelico Inferiore la proposta divisioni , mentre la porzione che sarà per toccare, sarà tolta alla devastazione e in pochi anni diverrà una macchia fiorente di bosco che coi suoi tagli metodici bene sussisterà la Cassa Comunale...”. Tolta l’Antiparte dei boschi promiscui, gli appezzamenti chiusi e dedicati al commercio furono divisi in ragione dei carati fìssati di n. 26.802 per il Comelico Inferiore e n. 21132 per S. Pietro e il rimanente venne diviso per giusta metà. In tal modo essendoli totale dei promiscui di circa 1.150 ettari, a S. Pietro tra antiparte e quota toccarono circa 700 ettari, mentre non doveva averne neanche 400; le frazioni del Comelico Inferiore che avrebbero dovuto avere complessivamente quasi 800 ettari, ebbero appena 450 ettari fra tutte e due e niente la Mezza Danta di Sotto. Secondo i titoli di possesso tale proprietà dei promiscui avrebbe dovuto essere divisa in tre parti uguali ossia circa ettari 383 a S. Pietro, circa ettari 383 a Casada, Costalissoio e Danta e circa ettari 383 a S. Stefano e Campolongo. Detto accordo ebbe esecuzione con la divisione fatta dall’ing. Sandi e perfezionata dalle parti il 21 settembre 1846. Questa divisione fu però successivamente contestata dai consorti Menia, Mattea, Tosi di Mezza Danta di Sotto i cui diritti, come appartenenti all’antico Comune di Casada, erano stati trascurati. Non essendosi potuto arrivare ad un pacifico accordo, nel 1892, ne nacque la causa che di ricorso in ricorso dai Tribunali alle Corti d’Appello, fu infine transata dalla Cassazione di Firenze mentre era pendente davanti alla Corte d’Appello di Lucca. Nella suddetta divisione nemmeno i rappresentanti delle Regole di Casada e Costalissoio vi avevano preso parte. Pertanto era mancata nella divisione anche il loro consenso. Inoltre già con raccordò del 22 dicembre 1765 era stata attribuita al comune d’Oltrerino un’antiparte di ducati 3.000 che erano stati prelevati dal terzo dei boschi che era toccato allora a Casada. Nell’atto del 1844, poi, non era stata stabilita né l’estensione né il valore dell’antiparte e questo creò non poche difficoltà quando i due Comuni di S. Stefano e S. Pietro sentirono la necessità di fare il conto preciso di quanto spettasse all’uno e all’altro per il pagamento esatto delle imposte, imposte che fino ad allora erano state pagate secondo criteri arbitrari. Anch’essi per far valere i propri diritti arrivarono davanti ai tribunali.

Solamente il 18 gennaio 1915 si arrivò ad un accordo che stabilì:

1) Annullate le precedenti divisioni dei promiscui di Val Visdende, l’intero corpo dei promiscui delineato e confinato nella annotazione Pellizzaroli 20-10-1765 sarà diviso ed assegnato in queste proporzioni: a) 22/48 saranno assegnati e consegnati in piena proprietà e possesso al Comune di San Pietro di Cadore e sua quattro Frazioni; b) 13/48 saranno assegnati e consegnati in piena proprietà e possesso alle due Frazioni di Santo Stefano e Campolongo; c) 13/48 g amano assegnati e consegnati in piena proprietà e possesso all’ antico Corame di Casada e precisamente su questi 13/48:1/8 e mezzo aspetterà m piena proprietà e possesso ai Consorti Merda, Mattea e Tosi di Mezza Danta di Sotto, 1/8 e mezzo alla Frazione di Casada e gli altri 5/8 alla Frazione di Costalissoio.

2) Le assegnazioni delle predette quote verranno fatte anzitutto rispettando le posizioni pascolive fino ad allora da ciascun Ente occupate e godute con le rispettive malghe e pascoli, salvo conguaglio in base alle quote sopra stabilite.

 

 

 

 

Pillole di storia  n.15

   Dal capitolo "Regola"...       ...si legge "Casada" ma vale lo stesso per Costalissoio.

 

La guerra 1915-18 interruppe le trattative avviate per l’esecuzione dell’accordo.

In seguito alla legge sugli usi Civici (legge n. 1766, 16 giugno, seguita dal R. Decreto 26/11/1928, n. 332) che voleva eliminare i diritti che fino allora le popolazioni avevano avuto sopra un territorio riguardo alla semina, al pascolo, al legnatico incamerando tali territori come beni “demaniali”, unificando così i bilanci frazionali ed il bilancio sociale in un unico bilancio comunale, dal Comelico partirono richieste allo scopo di far assegnare alle frazioni i beni già delle Regole. Per risolvere la questione si giunse ad una causa dinanzi al Commissario per gli Usi Civici di Trieste che, alla fine (24 giugno 1942), assegnò alle quattro frazioni i beni ex-Regolieri. Già prima della sentenza su richiesta del Commissariato degli Usi Civici di Trieste, con decreto Prefettizio dell’8 luglio 1940 n. 811 erano stati nominati i rappresentanti legali delle quattro frazioni. Per Casada era stato nominato Gaetano Comis Da Ronco. La sentenza di Trieste, favorevole alle frazioni, fu confermata dalla Corte d’Appello, Sezione speciale per gli Usi Civici di Roma, 17 dicembre 1943. In seguito a questa conferma Gaetano Comis Da Ronco fu nominato Commissario Prefettizio di Casada per la gestione separata dal Comune dei beni demaniali civici della frazione. Successivamente si aprirono nuove trattative che si conclusero con la convenzione 6 novembre 1947, firmata per la Regola di Casada da Gaetano Comis Da Ronco V. Presidente, che a sua volta stabiliva principalmente:

1) Di ritenere come base fondamentale per tutte le operazioni quanto era stato sanzionato nei verbali 18 gennaio 1915, 21 settembre 1934 e 23 febbraio 1939, per quanto non siano in contraddizione e con la presente convenzione;

2) Sui beni in godimento, le Amministrazioni potranno continuare le normali utilizzazioni ad eccezione dell’antiparte assegnata a San Pietro, dove dette utilizzazioni dovranno rimanere sospese fino al completamento della divisione;

3) Le utilizzazioni fatte s’intendono compensate e nessun conguaglio in denaro od in natura sarà effettuato, ad eccezione che per quelle utilizzazioni fatte su quelle porzioni di bosco che risulteranno dalla differenza di superficie attualmente in godimento a quella che verrà assegnata in proprietà definitiva con l’atto divisionale. II conguaglio in massa legnosa sarà fatto per il periodo che corre dal 1881 alla data dei rilievi.

L’esecuzione di detto accordo fu demandata ad un Collegio di Tecnici composto da: ing. Fausto De Zolt e geom. Tullio Pellizzaroli per il Comune di Santo Stefano, ingegnere Gio:Batta Cesco e geom. Gino De Villa per il Comune di San Pietro, dal dottor Giovanni Doriguzzi per i Consorti Menia, Mattea, Tosi. Il Collegio chiuse i suoi lavori preparatori presentando il 12 agosto 1954 una relazione nella quale i Tecnici dichiaravano di concordare con le carature stabilite nel verbale del 18 gennaio 1915 (carature già riportate) e di essere giunti alla definizione dei conguagli in natura tra il comune di S. Stefano e le sue Regole ed il comune di S. Pietro e le sue Regole. Nel comunicare le proprie conclusioni il Collegio dei Tecnici chiese agli Enti interessati di voler riferire:

1. “quali superfici a bosco il Comune di S. Pietro intendeva passare in proprietà al Comune di S. Stefano avendo in godimento, rispetto a quella spettategli una superficie in più di ha. 46.27.68;

2. quali superfici a pascolo il Comune di S. Stefano intendeva passare in proprietà al Comune di S. Pietro avendo in godimento, rispetto a quella spettategli una superficie in più di ha. 12.96.45;

3. eventuali proposte di permuta di conguaglio tra superficie a bosco ed a pascolo fra i Comuni di S. Stefano, di S. Pietro e dell’ex Comune di Casada;

4. eventuali proposte di conguaglio tra gli Enti delle superfici a cespugliato e ad incolto improduttive con superfici a bosco e a pascolo per semplificazioni nella divisione del cespugliato e dell’incolto;

5. eventuali proposte transitive tra i vari Enti peti quantitativi a conguaglio delle utilizzazioni boschive fatte dal 1881 in poi fra il Comune di S. Pietro e quello di S. Stefano e dell’ex Comune di Casada;

6. decisioni sulla opportunità di dividere e di mantenere -come attualmente- in comunione i Beni costituenti il “Centenaro” per provvedere con i relativi proventi alla manutenzione della strada Consorziale Ponte Cordevole e Cima Canale”.

Il 3 maggio 1948 a Roma fu approvata la legge n. 1.104 con la quale si ricostituivano le Regole della Magnifica Comunità Cadorina come Enti di diritto pubblico. Tale legge stabiliva che i loro beni immobili fossero “inalienabili, indivisibili e vincolati in perpetuo alla loro destinazione” e obbligava le Regole a presentare alla Prefettura l’elenco dei Regolieri (attualmente i Regolieri sono 97), le mappe dei “beni della Regola”, lo Statuto deliberato dall’Assemblea dei Regolieri.

La legge 25 luglio 1952 n. 991 riconobbe l’indipendenza delle Comunioni Familiari da altri enti amministrativi e la funzione privata-sodale dei beni delle Regole.

A partire dall’agosto 1954 si ebbero fra i rappresentanti delle Amministrazioni interessate più convegni nei quali furono esaminate varie proposte pratiche per attuare i conguagli secondo i dati comunicati dai Tecnici, ma senza poter arrivare ad un accordo, tanto che le Amministrazioni del Comune di Santo Stefano fecero intervenire l’aw. Odorico Larese.

La legge del 3 dicembre 1871 n. 1.102 riconobbe Enti di diritto privato le Comunioni Familiari e le dichiarò non soggette alla disciplina delle leggi degli usi civici.

Dopo varie riunioni nella seduta del 16/7/1977 si arrivò ad un accordo di accettazione di massima, (cioè ad un accordo non definitivo ma che lasciava dei margini di discussione su eventuali conguagli) per la divisione dei beni promiscui di Val Visdende calcolata in base ai rilevamenti del geometra G. Gamba ed il dott. E. Loss. Le assegnazioni riferite alle quote di riparto in ventinovesime, furono attuate secondo le seguenti carature: — Regola di S. Stefano 8/29 - Regola di Campolongo 8/29 - Regola di Costalissoio 10/29 - Regola di Casada 3/29.

 

....segue...

 

Pillole di storia  n.16

   Dal capitolo "Regola"...       ...si legge "Casada" ma vale lo stesso per Costalissoio.

 

NOTE
1 ) La Chiesa è sempre stata riconosciuta “Regoliere ad honorem”, non tanto e solo per una distinzione onorifica, quanto invece perché paragonata ai regolieri relativamente ai diritti. I diritti che la Chiesa ha sulla cassa della Regola e che la Fabbriceria, composta di regolieri, fa valere ogniqualvolta, ha dei bisogni o spese cui andar incontro, sono fondati negli antichi laudi e riconosciuti e riportati sugli Statuti attuali. Per cui sono diritti veri e propri. Storicamente questi diritti hanno un’origine ben chiara. Prima del 1870, la Chiesa aveva boschi propri che i vecchi avevano passato in proprietà della chiesa stessa e destinati ai bisogni della Fabbriceria e che la Fabbriceria amministrava. Con le leggi eversive del 1870, che incamerarono i beni della Chiesa a beneficio dello Stato, il Comune o Regola rivendicò come propri i beni fino allora goduti dalla Chiesa, e la Fabbriceria, prestandosi al gioco, accettò e approvò come legittima la rivendicazione dei beni in parola da parte del Comune o Regola. Così “nel 1876, ad evitare che il patrimonio boschivo della Pieve di Santo Stefano fosse incamerato dal Demanio dello Stato, il Comune ne rivendicò con successo la proprietà e passò detti boschi in godimento alle Frazioni e precisamente il bosco di Piniè alle Regole di Santo Stefano, Costalissoio e Casada in ragione rispettivamente di 3/6, 2/6 ed 1/6, ed il bosco della Madonna, in località Bosco Nero, alla Frazione di Campolongo. Sennonché, sempre in base agli accordi interni intervenuti e in forza del principio giuridico “do ut des”, la Fabbriceria domandò e il Comune o la Regola accettò, che d’allora in poi ai bisogni e alle spese di culto provvedesse il Comune o Regola, sostituendosi in tal modo alla Fabbriceria. In seguito a tali accordi, per quasi ottant’anni dal 1878 al 1955 le spese inerenti all’Antica Pieve di Santo Stefano (per la Chiesa, la Canonica, la Fabbriceria, il Clero e per il sagrestano) furono stanziate sul bilancio sociale comunale mentre quelle delle altre chiese furono stanziate sulla cassa di ciascuna Regola o Frazione. Con l’istituzione della Parrocchia di Costalissoio e Casada fu richiesto dai Rappresentanti di quelle Regole che il Comune si assumesse anche l’onere delle loro Parrocchie o che ogni Frazione pensasse per le rispettive spese di Culto. In un primo tempo l’azione delle Regole di Costalissoio e Casada non approdò a nessun risultato perché i Rappresentanti di queste si trovarono in minoranza nel Consiglio Comunale, ed anche perché l’istituzione della loro Parrocchia fu effettuata senza nessun preventivo accordo con il Comune (vedere il capitolo La nuova Parrocchia). Costalissoio e Casada si trovarono invece in maggioranza quando con la successiva istituzione della Parrocchia di Campolongo, i loro interessi coincisero con quelli di Campolongo, ma si prospettarono allora discordi valutazioni e proposte diverse di soluzione. La Frazione Regola di Santo Stefano che non aveva mai sostenuto direttamente nessun onere continuativo di spese di Culto affermava che godendo tutte le Regole dell’ex patrimonio della Chiesa Matrice, l’onere per la Pieve doveva gravare ancora attraverso il Comune su tutte le Regole, ossia, si dovevano mantenere gli stanziamenti sul bilancio Comunale. Le altre Regole obiettarono che mentre esse avevano dovuto sempre provvedere oltre che per la Chiesa Pievanale anche per le proprie Chiese ed ora dovevano far fronte a tutto a loro spese, anche per le rispettive Canoniche e per le maggiori esigenze inerenti alla istituzione delle loro Parrocchie, Santo Stefano avrebbe goduto ancora di una situazione di privilegio trovando modernamente sistemata sia la Chiesa che la Canonica. Non accettarono neppure lo stanziamento nel bilancio comunale di un assegno di rappresentanza e di prestigio per la Chiesa Matrice che innegabilmente aveva maggiori oneri ed esigenze. Si arrivò alla soluzione secondo la quale ogni Regola avrebbe provveduto alle spese di Culto per le rispettive Parrocchie e, pertanto, a partire dal 1956, le spese non figurarono più sul bilancio perché passarono a carico dei bilanci delle quattro Regole. Riallacciandosi idealmente alle origini del patrimonio boschivo che la Pieve di Santo Stefano ha anticamente avuto in dote, si può considerare che la Matrice abbia suddiviso con le Figlie il proprio patrimonio per un rispettivo più fecondo spirituale vantaggio. Le Regole che godono ora questo patrimonio assumendosi le spese di Culto, hanno continuato la tradizione degli Avi provvedendo i mezzi per la vita Religiosa delle proprie Comunità (Comune di S. Stefano di Cadore - Relazione sull’attività dell’Amministrazione comunale dal giugno 1951 al 27 maggio 1956) così le Tavole di fondazione della Parrocchia di Costalissoio e Casada portano a chiare lettere “La Regola ha il dovere di provvedere alla manutenzione della Chiesa ed anche a tutte le spese di culto...”.


Bibliografia:

Comune di Santo Stefano di Cadore, Relazione sull’attività dell’amministrazione comunale dal giugno 1951 al 27 maggio 1956, Tipografia Vescovile-Belluno.

Giovanni Fontana, Durante la guerra e l’occupazione tedesca dal 1939 al 1945, Castaldi -Feltre.

Fausto De Zolt - Gino De Villa - Tullio Pellizzaroli - Gio:Batta Cesco - Giovanni Doriguzzi, Relazione sullo scioglimento della comunione dei beni promiscui in Val Visdende, 12 agosto 1954.

Orlando Angoletta, Memoria difensionale per le Frazioni di Casada e Costalissoio del Comelico - aderenti le Frazioni di S. Stefano e Campolongo - nelle cause relative alla comproprietà e divisione dei promiscui di Visdende con i consorti e la Frazione di Mezza Danta di sotto e il Comune di S. Pietro-Cadore, Tip. Cavesago Belluno 1905.

Regola di Casada, Documenti Vari.

 

....segue...

 

Pillole di storia  n.17

   Dal capitolo "sCUOLA"...       ...si legge "Casada" ma vale lo stesso per Costalissoio.

 

 

A Casada, come in ogni altro paese nei secoli passati, è certo che i primi istruttori, per l’esiguo numero di persone che desideravano imparare a leggere e scrivere, furono i sacerdoti.

Durante la dominazione napoleonica, i comuni cadorini, nel 1807, furono invitati ad aprire una scuola per i fanciulli e, possibilmente, anche per le fanciulle. Il successivo governo austriaco con un regolamento del 1818 istituì tre specie di scuole: elementari minori, elementari maggiori formate da tre o quattro classi e tecniche. Nelle scuole elementari minori si dovevano insegnare: 1° i principi della religione cattolica; 2° il leggere; 3° lo scrivere; 4° aritmetica; 5° il confronto delle misure, de’ pesi e delle monete in corso; 6° i primi precetti per esprimere ordinatamente in iscritto le proprie idee (cap. Ili, art. 10). Le scuole elementari in conformità al Regolamento austriaco non furono istituite in Cadore prima del 1823. Nel 1859 le scuole del Cadore erano 53, delle quali 30 nel distretto d’Auronzo dove per trent’anni operò come ispettore distrettuale l’ab. Giambattista Zanetti. Secondo il Ronzon nel 1877 ogni paese del Cadore era fornito di scuola sia maschile che femminile.

 

....il capitolo prosegue con storia specifica di Casada.

IL LIBRO PROSEGUE CON I CAPITOLI : LATTERIA e CIMITERI che sono specifici della storia di Casada.

 

Si conclude qui lo scorrere del bel libro che ci ha informato su tante situazioni del passato, il prossimo mese seguiremo qualche altra pubblicazione.